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Sant'Agostino vescovo e Dottore della Chiesa con il bambino sulla spiaggia
GREGORIO FERNANDEZ
1616-1620
Madrid, Monastero de la Encarnaciòn, Coro
Sant'Agostino vescovo e Dottore della Chiesa con il bambino sulla spiaggia
Questa magnifica statua policroma di Gregorio Fernandez che raffigura sant'Agostino si trova a un angolo degli stalli che compongono il Coro delle monache nel monastero de l'Encarnaciòn a Madrid. Il santo è stato vestito con i paramenti episcopali e la mitra in testa: tuttavia lo scultore ha ben evidenziato la nera tunica dei monaci agostiniani secondo una consuetudine consolidata nell'Ordine che vuole così riaffermare la sua stretta dipendenza da Agostino quale fondatore. Il santo porta ai fianchi anche la tipica cintura in cuoio che caratterizza i monaci dell'ordine agostiniano.
Nella mano destra Agostino impugna una penna d'oca a significare la sua estesa produzione letteraria a favore della dottrina della Chiesa cattolica, mentre nella mano sinistra regge un modello della chiesa de la Encarnacioni.
Ai piedi di Agostino si può notare un fanciullo con in mano una conchiglia in riva al mare che richiama una celebre leggenda che si diffuse nel medioevo riguardante il tentativo di Agostino di comprendere il mistero della Trinità.
L'episodio descrive una leggenda che si diffuse nel medioevo e che è stata studiata da L. Pillion in La Légende de s. Jérome in Gazette des Beaux-Arts del 1908. L'episodio che godrà di molta fortuna nella iconografia agostiniana riprende un testo della Lettera apocrifa a Cirillo che avrebbe scritto lo stesso Agostino. In un passo Agostino ricorda una rivelazione divina con queste parole: "Augustine, Augustine, quid quaeris ? Putasne brevi immittere vasculo mare totum ?".
Questa leggenda si troverebbe forse già nel XIII secolo, sotto forma di exemplum, in uno scritto di Cesare d'Heisterbach (cfr. H. I. Marrou, Saint Augustin et l'ange, une légende médioévale, in l'Homme devant Dieu, Mélanges offerts au P. de Lubac, II, 1964, 137-149).
Questa leggenda sulla Trinità soppiantò ben presto la leggenda della Vedova che trattava dello stesso argomento della Trinità. L'origine di questa tematica iconografica non proverrebbe dunque dalla agiografia medioevale quanto piuttosto dalla predicazione. P. Antonio Iturbe Saìz ha a sua volta proposto una possibile ricostruzione della sua origine: nel secolo XIII si scrivevano "exempla" per i predicatori e in uno di questi apparve questa leggenda applicata a un professore di scolastica di Parigi con un fine chiaramente morale: criticare la alterigia e la superbia dei teologi.
Ma come poi tutto ciò fu collegato ad Agostino ? Due possono essere le spiegazioni: primo che necessitava un protagonista alla storia stessa e Agostino era l'uomo adatto in quanto era considerato un sommo teologo. La seconda spiegazione sta nella diffusione del testo di un apocrifo in cui san Gerolamo (come è stato anticipato all'inizio) discute con Agostino sulle capacità umane di comprendere il mistero divino. In ogni caso la prima volta che si incontra questa leggenda applicata ad Agostino corre nell'anno 1263. In margine va ricordata la disputa sul luogo dove si sarebbe svolto l'incontro tra Agostino e Gesù Bambino: sulla spiaggia di Civitavecchia o di Ippona ? Gli Eremitani e i Canonici si batterono a lungo sul tema, soprattutto perché ciascuno sosteneva che Agostino era stato il vero fondatore del loro Ordine religioso.
L'episodio descritto in questa leggenda è abbastanza noto: Agostino, grande indagatore del problema del Bene e del Male, un giorno passeggiava per una spiaggia quando incontrò un bambino-angelo che con un secchiello prendeva dell'acqua di mare e la versava in una piccola cavità nella sabbia. Alla domanda del Santo su che cosa stesse facendo, il bambino avrebbe risposto che voleva porre tutto il mare dentro quel buco. Quando il Santo gli fece notare che ciò era impossibile, il bambino avrebbe replicato che così come non era possibile versare tutto il mare dentro la buca allo stesso modo era impossibile che i misteri di Dio e della SS. Trinità entrassero nella sua piccola testa di uomo.
Ciò detto sparì, lasciando il grande filosofo nell'angoscia più completa. Secondo il parere di alcuni studiosi di parabole e leggende la narrazione potrebbe essere considerata un sogno effettivamente fantasticato dal Santo. Altri aggiungono che forse il colloquio non si sarebbe svolto esattamente come è stato raccontato, perché, prima di sparire, il Santo aveva potuto a sua volta replicare che la risposta non lo convinceva, in quanto - avrebbe obiettato - il mare e i misteri di Dio sono due realtà assai diverse. Pur impossibile, sarebbe stato teoricamente verosimile immaginare il versamento del mare in una buca e allora allo stesso modo si sarebbe potuto supporre che i misteri divini avrebbero potuto entrare in un cervello umano adatto allo scopo e se l'uomo non aveva ricevuto una mente con tali qualità la colpa sarebbe da imputare a Dio, che non aveva appunto voluto che i suoi misteri fossero concepiti dall'uomo, per lasciarlo nell'ignoranza e nel dubbio più atroci.
"Perché Dio non vuole essere capito?" avrebbe domandato il Santo al pargolo divenuto improvvisamente pensieroso. "Te lo dimostro subito" rispose il bambino dopo un momento di perplessità e così, mentre parlava, con il secchiello divenuto improvvisamente grandissimo e mostruoso, in un sol colpo raccolse l'acqua del mare, prosciugandolo, e la pose nella buca, che si allargò a dismisura fino ad inghiottire il mondo. A quella vista il Santo si svegliò con le lacrime agli occhi e capì.
Gregorio Fernández
Nato nel 1576 a Sarria, Fernandez fu un alto esponente della scultura spagnola barocca e sicuramente il più grande esponente della scuola castigliana. Erede della espressività di Alonso Berruguete e Juan de Juni, influenzato dal classicismo di Pompeo Leoni e Juan de Arfe, ha maturato la sua arte viene abbandonando gradualmente il manierismo del suo tempo per diventare un punto di riferimento del Barocco spagnolo. Le sue opere migliori si trovano nel Museo Nazionale di Scultura a Valladolid. Fernandez ha lavorato frequentemente per le confraternite.
Tra il 1601 e il 1606 si stabilì a Valladolid, dove allora risiedeva la corte dei re di Spagna. Aveva un grande laboratorio con molti apprendisti e dipendenti. Il suo realismo è un po' duro, ma mai volgare o morboso, e cura profondamente l'espressione dei volti per migliorare la sensazione di autenticità. Utilizzava occhi di vetro, unghie e denti a volte sono in avorio, con il sughero simulava coaguli di sangue, sudore e con la resina creava le lacrime. Il raffinato sviluppo anatomico si compone armonicamente con la semplicità delle composizioni e dei gesti. Fernandez diede vita a modelli che si imposero nel barocco spagnolo, come il Cristo morto o i crocifissi. Morì nel 1636 a Valladolid.