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PITTORI: Marco Cardisco

Agostino e i Dottori della Chiesa

Agostino e i Dottori della Chiesa

 

 

CARDISCO MARCO

1533

Napoli, chiesa di S. Agostino alla Zecca

 

Agostino e i Dottori della Chiesa

 

 

 

L'opera di Cardisco raffigura i santi Agostino, Girolamo e Gregorio Magno e risale al 1533. La tavola faceva originariamente parte di una grande pala d'altare a più pannelli dipinta iper la chiesa di Sant'Agostino alla Zecca a Napoli. A destra l'artista ha raffigurato san Gregorio Magno che porta in testa la tiara del pontefice e ha davanti a sé un libro aperto sul tavolo. Al centro è dipinto san Gerolamo in abiti cardinalizi mentre è intento a leggere un libro che regge con la mano sinistra. A fianco di Gerolamo troviamo infine Agostino vestito con i paramenti episcopali. In testa porta una semplice ed elegante mitra mentre regge con entrambe le mani un voluminoso libro che tiene aperto. Il suo sguardo ha un atteggiamento meditativo, nel bel mezzo di una riflessione personale che lo sta avvincendo. Una fortissima e riccioluta barba grigiastra gli copre il mento e gli dona una notevole austerità.

La chiesa di Sant'Agostino alla Zecca è una tra le più importanti e grandi chiese di Napoli. Sorge nel centro antico della città e nel 1287 vi fu fondato lo studio generale dell'Ordine agostiniano.

 

 

Cardisco Marco (1486-1542)

Il giovane Cardisco, detto pure Marco Calavrese, era di bella presenza, intelligente, irrequieto; amava la musica e dimostrava una particolare tendenza per la pittura. Non potendo trovare a Tiriolo una scuola di pittura, decise, col consenso del padre, di portarsi a Roma. Il Vasari però afferma che il Cardisco non si recò mai a Roma. Nel corso del viaggio fece tappa a Napoli, una città che lo incantò. Valente suonatore di liuto, non tardò ad unirsi alle allegre brigate. Il Vasari dice: "uscito della sua patria, elesse come ameno e pieno di dolcezza per sua abitazione Napoli, se bene indrizzato aveva il camino per venirsene a Roma. Restò prigioniero di questo Sito, finché rese lo spirito al cielo e dalla terra mortale". Insomma, il biografo assume l'opinione che il Cardisco, nel volersi portare alla volta di Roma, sia prima giunto a Napoli; e che lì, dov'era "dolce il canto della Serena, dilettandosi egli massimamente di sonare di liuto", si sia fermato per tutta la sua vita; senza mai più uscirne. Una tesi, questa, che risulterebbe smentita; se non altro da un suo soggiorno romano di formazione. Altri scrittori affermano che egli fu discepolo del pittore Polidoro Caldara, che aveva la bottega a Roma, e che venne a Napoli nel 1527 per sfuggire al famoso Sacco dei Lanzichenecchi. Cardisco incominciò a dipingere a Napoli dopo il 1530. A Napoli si fece presto conoscere: era già un artista di grande capacità; la sua arte infatti era maturata e si era affermata.

Nella città partenopea svolse in maniera costante la sua attività di pittore nelle chiese, nei palazzi, a fare ritratti, a ricoprire tavole con le immagini di Madonne e Santi. Oltre che a Napoli lavorò ad Aversa e a Cava dei Tirreni. La sua attività fu così apprezzata che riuscì a fare una propria bottega. La vita che condusse fu alquanto scapigliata. Il Vasari sintetizza il suo modo di vivere con queste lapidarie parole: "visse di continuo allegramente e bellissimo tempo si diede". Se lo poteva permettere perché, continua il Vasari, "dalle sue cose si fece con buonissimi pagamenti soddisfare". Lo stesso Vasari nella sua biografia gli riconosce ampi meriti artistici e scrisse che in Napoli il maestro calabrese "mostrò valere più di alcuno altro che tale arte in suo tempo esercitasse". Morì a cinquantasei anni, in età matura, ma non vecchio; avrebbe certamente potuto ancora lavorare. A questa morte non dovette essere estranea la sua vita di artista scapigliato e disordinato. Le pitture del Cardisco sono disseminate in molte località della Campania: a Napoli principalmente, ma anche in altri centri di detta provincia, come Aversa e Cava dei Tirreni. Fra tutte le sue opere è di un certo interesse un quadro che viene considerato il suo capolavoro e che è intitolato "Disputa".

Fu dipinto per la Chiesa di S. Agostino della Zecca di Napoli e qui rimase per lungo tempo sull'altare maggiore di essa; ma nel 1814 fu trasferito, per essere restaurato, nel Museo della stessa città. In esso è rappresentato S. Agostino che parla agli eretici. Il Santo, vestito dei paludamenti vescovili, circondato da religiosi, con gesto solenne ma energico, parla agli eretici che, a distanza, stanno ad ascoltarlo. I religiosi sono attratti dal suo dire ed ascoltano devotamente, qualcuno anzi trascrive quello che il santo dice. Gli eretici, invece, sono presentati in atteggiamento di dubbio e dissenso verso l'oratore. Questo dipinto ci porta a ricordare. le famose raffigurazioni pittoriche di Raffaello intitolate "La disputa del Sacramento" e la "Scuola di Atene" alle quali il Cardisco si dovette ispirare. Altra magnifica tela del Cardisco, raffigurante la "Deposizione di Cristo dalla Croce" si trova nella Chiesa di S. Pietro ad Aram di detta città.

Camillo Tutini, uno scrittore del 1600, segnala che 'Marco Cardisco calabrese visse nel '500 e fu pittore di molta fama per le buone regole della pittura", e cita quale suo capolavoro "La gran tavola dell'altare maggiore di S. Agostino, ove si vede il Santo che disputa con gli eretici". Il Vasari afferma che fece "infiniti lavori in olio ed in fresco ed in quella patria (Napoli) mostrò valore più di alcun altro che tale arte esercitasse." A Cava dei Tirreni si trovano diversi quadri di ignoto autore che però vanno citati come appartenenti alla scuola di Cardisco, intitolati "Un episodio. della vita di S. Andrea", "Re David ed altri Profeti", "Crocefissione e Santi", il più bello, forse, ed il più interessante.