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Agostino consegna la sua Regola
CAVEDONE GIACOMO
1623
Bologna, chiesa del Santissimo Salvatore
Agostino consegna la sua Regola
L'ovale che raffigura sant'Agostino mentre mostra l'incipit della sua Regola "ANTE OMNIA FRATRES CARISSIMI DILIGATUR DEUS" si trova nella fascia superiore della navata centrale della chiesa di san Salvatore a Bologna. Nella navata opposta fa bella mostra di sé l'immagine di sant'Ambrogio, mentre alla loro sinistra si troviamo gli ovali relativi agli altri due Dottori della Chiesa Girolamo e san Gregorio Magno papa.
Agostino è seduto da solo e regge fra le mani un gran libro dove sta scritto a lettere cubitali l'incipit sopra riportato. Indossa la tunica nera dei monaci agostiniani, ma nello stesso tempo veste gli abiti episcopali, mentre la sua mitra è deposta alla sua sinistra. Il santo ha un aspetto di uomo maturo con una folta barba che gli scende sul petto e la fronte calva.
Anche in quest'opera si può notare che essenziale per la formazione di Cavedone fu la conoscenza di Correggio, a cui cercò spesso di ispirarsi, dietro l'esempio dei suoi maestri. L'incontro tuttavia è confinato in rapporti formali, perchè la sua innata rudezza, che d'altra parte è una delle sue attrattive, fece sì che egli non raggiungesse mai la delicatezza e la trasparenza dorata del colore di Correggio. Il suo è un correggismo dello stampo di quello di Lodovico, ma ben lontano dal modello. Conobbe certamente anche il Bonomi e Schedoni, che lo precedettero, insieme con Lodovico, nella ricerca di effetti luministici.
L'episodio della consegna della regola ai frati agostiniani è un elemento diffuso nella iconografia agostiniana già a partire dai codici miniati del XIII secolo e fa seguito alla istituzione dell'Ordine agostiniano nel 1256. La consegna ha un valore altamente simbolico in quanto vuole esprimere la diretta dipendenza degli agostiniani da Agostino. L'Ordine agostiniano sarebbe, secondo questa concezione, il naturale prolungamento dell'esperienza monastica inaugurata da Agostino in Africa.
Alcuni studiosi concordano nell'attribuire a S. Agostino solo la Regula ad servos Dei; in epoca successiva questa Regula fu adattata al femminile e unita alla Lettera 211 che già conteneva indicazioni per le monache di Ippona. La Consensoria monachorum, invece, è stata attribuita ad un anonimo autore dell'ultimo periodo della letteratura visigotica in Galizia e scritta tra il 650 e il 711.
L'Ordo monasterii pur restando nella tradizione della vita agostiniana un documento di riferimento venerando, non è stato più attribuito ad Agostino già dalla critica rinascimentale.
Sulla data di stesura della Regula ad servos Dei ci sono diverse opinioni: una prima teoria indica come data probabile il 391, più o meno in coincidenza con la fondazione del primo monastero d'Ippona, il monastero dei laici; una seconda teoria indica il 400 in coincidenza con il De opere monachorum; una terza sposta la data addirittura fino al 427-428, dopo il De correptione et gratia, in coincidenza con la controversia sulla grazia sorta nel monastero di Adrumeto. La maggioranza degli studiosi, però, pensa sia stata scritta intorno al 400.
Il luogo dove sorge la chiesa fu sede dei Canonici regolari di Santa Maria in Reno dal 1136. Qui vi avevano costruito una propria chiesa, attestata fin dal 1056 che in seguito fu ristrutturata nel XV secolo. Alla fine del Cinquecento fu deciso l'abbattimento della vecchia chiesa per costruirne una nuova più ampia e sfarzosa. Tra il 1606 e il 1623 venne edificato da Vincenzo Porta l'attuale edificio su progetto del padre barnabita Ambrogio Mazenta e dell'architetto Tommaso Martelli.
La facciata presenta lineamenti semplici con quattro nicchie che contengono le statue in cotto degli evangelisti, opera di Giovanni Tedeschi.
Al centro della navata è collocata la tomba del pittore Giovanni Francesco Barbieri, detto Il Guercino, che fu ospite per lungo tempo dei Canonici e volle essere sepolto nella chiesa nel 1666.
Giacomo Cavedone o Cavedoni
Figlio di Pellegrino, nativo di Sassuolo, modesto decoratore garzone di Domenico Carnevale, venne battezzato a Sassuolo il 14 aprile 1577. A soli quattordici anno fu inviato a studiare pittura a Bologna, a spese della Comunità di Sassuolo, a cui il padre aveva rivolto una supplica, facendo presenti le attitudini del figlio, che prometteva "una buona riuscita" se avesse potuto studiare presso "qualche valentuomo" "per due o tre anni", e le proprie condizioni di povertà che non gli consentivano di "mantenerlo fuori di Sassuolo". Nel 1591 i Reggenti gli concessero un sussidio di uno scudo al mese per tre anni.
Giunto a Bologna fornito probabilmente dei soli semplici rudimenti tecnici paterni, fu allievo secondo il Malvasia del Passarotti e del Baldi, frequentando contemporaneamente l'Accademia dei Carracci. Anche se non deve da prestare completamente fede allo storico bolognese, le sue indicazioni circa la frequentazione dell'Accademia degli Incamminati, come allievo prima di Annibale, poi, dopo la partenza di quest'ultimo per Roma (1595), di Ludovico, e gli studi "sui freschi del Tibaldi in casa Poggi ed in San Giacomo" appaiono attendibili, poiché ampiamente testimoniate dalle opere. Primo dipinto documentato è il S. Stefano in gloria (1600) già nella chiesa omonima di Sassuolo ed ora nella Galleria Estense di Modena. Fra il 1604 e il 1605 partecipa alla decorazione del celebre chiostro di S. Michele in Bosco con tre affreschi. Nel 1610 fu sicuramente per breve tempo a Roma con Guido Reni, impegnato nella decorazione della cappella Paolina al Quirinale. A Roma resta impressionato dall'opera di Michelangelo Merisi da Caravaggio
Nel decennio successivo si collocano le opere più felici del pittore. Databile fra il 1612 e il 1614 è la decorazione della cappella Arrighi in S. Paolo Maggiore a Bologna, le cui due tele laterali il luminismo di origine caravaggesca concorre a sottolineare le semplificate squadrature dei volumi, di una ricchezza cromatica alla veneta. Tra il 1612 e il 1613 è a Venezia, in cui trovò l'ispirazione per la composizione, nell'anno seguente, della grande pala con La Madonna e i santi Alò e Petronio, dipinta su commissione della Compagnia dei fabbri per la chiesa di S. Maria dei Mendicanti (1614). Esegue altri lavori come la decorazione della cappella Bavosi in S. Giacomo Maggiore a Bologna (verso il 1613), il Battesimo di Cristo in S. Pietro a Modena, gli affreschi dell'oratorio di S. Rocco a Bologna (dove poté lavorare a fianco di artisti quali Lucio Massari e il giovane Guercino), l'Ascensione ora nell'oratorio di S. Martino, Cristo che appare al beato Giovanni da San Facondo (1620) e il Beato Giovanni che resuscita un fanciullo in S. Giacomo Maggiore, il Miracolo della cena in S. Salvatore (1621), tutte a Bologna. Nel 1613 si sposa, l'anno successivo acquista casa nella contrada Mirasol Grande, nel 1615 chiede ed ottiene la cittadinanza bolognese, nel 1618 fa parte del Consiglio dell'arte dei pittori e alla morte di Ludovico Carracci nel 1619 viene nominato capo sindaco dell'Accademia degli Incamminati. Negli anni seguenti l'artista viene colpito da una serie di dolorose vicende. Già in una lettera del 20 marzo 1622 si lamenta delle sue condizioni economiche, poi nel 1623 mentre stava dipingendo i quattro Dottori della Chiesa in S. Salvatore, cade dai ponteggi e deve rinunciare a dipingere, per la conseguente inabilità.
Sei anni dopo gran parte della sua famiglia fu decimata dalla peste. Visse ancora 30 anni nella miseria piu squallida, senza poter più lavorare e cosciente della propria impotenza, finchè un giorno fu trovato sfinito dietro il muro dei Domenicani ed un amico lo condusse a casa sua, lo rifocillò e lo invitò a tornare; ma dopo pochi giorni fu raccolto morente e spirò in una stalla. Morì a Bologna nel 1660.