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PITTORI: Domenico Fiasella

Sant'Agostino fra il sangue di Cristo e il latte della Vergine

Sant'Agostino fra il sangue di Cristo e il latte della Vergine

 

 

FIASELLA DOMENICO

1660-1665

Lerici, chiesa di san Francesco

 

Sant'Agostino fra il sangue di Cristo e il latte della Vergine

 

 

 

Il dipinto, che presenta le misure di cm 200x140, raffigura sant'Agostino tra Cristo e la Madonna, che appartiene a un filone iconografico agostiniano, che è relativo a una leggenda che nasce probabilmente in Italia nel Cinquecento.

Sembra che l'episodio sia stato codificato da un passo della S. Aurelii Augustini Hipponensis episcopi et S. R. E. doctoris vita di Cornelius Lancelotz (1574-1622) O.S.A. edito ad Anversa nel 1616.

Lancillottus scrive, riportando parole apocrife di Agostino: "Positus in medio quo me vertam nescio. Hinc pascor a vulnere, hinc lactor ab ubere." La medesima scritta fu riportata da Francesco Francia e poi da Kartarius, un incisore nativo di Viterbo, che lavorò a Roma fra il 1560 e il 1570, nella sua stampa della Vita di Agostino edita nel 1570.

Nel caso di Fiasella il filatterio riporta solo la parte iniziale del testo: "Positus in medio quo me vertam nescio", mentre sul lato orizzontale inferiore a destra, campeggia il testo DOMI.G FIAX.LA SAR.NEFONTE.

Dipinta fra il 1650 e il 1660, la tela di Domenico Fiasella detto il Sarzana (1589-1669) raffigura tre soli personaggi: Agostino, la Vergine e Cristo. Nella fascia superiore compaiono degli angeli che reggono il filatterio e che accompagnano in gloria la scena. Agostino indossa la tunica dei monaci eremitani, è inginocchiato con la braccia e le mani rivolte verso il basso. Il volto è segnato dal tempo, con una folta barba e lo sguardo rivolto estaticamente verso l'alto indeciso se volgersi a destra o sinistra. Ha posto a terra, in segno di umiltà, i simboli della sua dignità episcopale: a destra, ai piedi della Vergine, stanno un libro aperto e sopra la mitra e il bastone pastorale. La Madonna e Cristo lo guardano ed entrambi si offrono per accoglierlo.

L'opera è un mediocre dipinto di Fiasella, probabilmente di epoca tarda. La figura del santo e il particolare con il libro, il pastorale e la mitra sono certamente di mano dell'artista, ma il resto del quadro sembra piuttosto opera di bottega. La presenza della firma di Fiasella ha il sapore di una vera e propria autenticazione di un quadro. La scena è raffigurata in maniera abbastanza convenzionale, mentre la cromia, piuttosto intensa e pastosa nella parte centrale e inferiore, è alquanto più scialba nel resto del quadro.

In basso a sinistra si nota uno stemma, che raffigura una palma, relativo forse alla nobile famiglia committente.

L'opera, che oggi è conservata nella chiesa di san Francesco a Lerici, in origine si trovava nel santuario agostiniano di Maralunga. Sebbene la firma dell'opera sia di Fiasella e sia del tutto fiasellesca la composizione, con un evidente riferimento al San Nicola insignito dello scapolare della chiesa genovese di san Siro, la figura della Vergine, la pennellata più libera e gli angioletti nella parte alta rimandano alla pittura di Giambattista Casoni, che lavorò nella bottega del maestro Fiasella nella fase finale della sua parabola artistica.

 

 

Domenico Fiasella

Questo pittore nasce a Sarzana nel 1589 da una famiglia originaria di Trebiano. Il padre, un certo Giovanni Fiasella, lavorava l'argento e ci ha lasciato alcune sue opere che si conservano in questa città. Domenico esprime ben presto una predisposizione per la pittura e grazie alle raccomandazioni del vescovo di Sarzana, Monsignor Salvago, probabilmente conoscente di famiglia, riesce a lavorare a Genova presso la bottega del Paggi, che era ben conosciuto dal prelato.

Fiasella resta a Genova alcuni anni nonostante desiderasse andare a Roma. Nella città ligure riceve una solida formazione artistica al seguito di Paggi che aveva formato molti giovani pittori in quel primo Seicento. I suoi metodi educativi erano applicati sulla base di una sua opera, andata persa, dal titolo "Diffinizione o sia divisione della pittura".

Finalmente dal 1607 al 1616 riuscì a trasferirsi a Roma dove eseguì alcune tele per Vincenzo Giustiniani. Nella città eterna conosce l'opera di Raffaello Sanzio, quella di Michelangelo Buonarroti, di Tiziano Vecellio, di Sebastiano del Piombo. Nel 1617 Fiasella rientra a Sarzana, dove dipinge la Madonna con San Lazzaro per la parrocchiale di San Lazzaro, e l'Adorazione dei Pastori, un notturno, per la chiesa di San Francesco.

Il pittore mantenne stretti legami con la città natale, che conserva molte sue opere e lavorò a più riprese per i Malaspina di Massa. Ebbe commesse da Mantova, Piacenza e dalle chiese della "nazione" genovese di Napoli e Palermo. Verso la metà del Seicento Fiasella raggiunge la maturità artistica. Tra il 1630 e il 1640 esegue disegni e progetti per le statue ufficiali in Genova, e dipinge la grande Assunzione di Nostra Signora del Monte. Forse contribuisce a portare Orazio Gentileschi a Genova dal 1621 al 1625, certo è che gli rimase amico sino alla morte. Fiasella assume nella sua bottega Francesco, figlio di Orazio Gentileschi, cui insegna il mestiere. Il nostro collabora anche con Passignano e con altri artisti ed esegue anche una Fuga in Egitto, regalata dal pittore a Paolo V che la gradì molto. Ebbe molti allievi, fra i quali spicca Giovanni Battista Casoni, che nel 1668 scrisse la sua biografia, stampata nel 1674. Al 1667 data la sua ultima opera (Santa Chiara che mette in fuga i Saraceni) che oggi è conservata presso la chiesa di San Giovanni Decollato a Montoggio.