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Percorso : HOME > Iconografia > Pittori > Elenco > Seicento: Guglielmo Caccia il MoncalvoPITTORI: Guglielmo Caccia il Moncalvo
Particolare del volto di Agostino
GUGLIELMO CACCIA detto il MONCALVO
1617-1619
Milano, chiesa di santa Francesca Romana
Madonna della cintura con i santi Agostino e Monica
Questa pala che raffigura la Madonna della Cintura con i Santi Agostino e Monica viene attribuito a Guglielmo Caccia detto il Moncalvo (Montabone 1568 - Moncalvo 1625). E' dipinta a olio su tela e si trova nel transetto destro della chiesa di santa Francesca Romana a Milano.
La figura centrale della Vergine con il Bambino in grembo è attorniata da due angeli cui fanno corona delle teste di angioletti. Ai suoi piedi altri piccoli angeli sorreggono la nuvola su cui siede. Sul piano inferiore al lato destro e al lato sinistro si ergono in piedi le figure di Agostino e Monica. Entrambi alzano la mano destra per ricevere il sacro cingolo dalla Vergine e dal Bambino. Agostino è vestito con i paramenti episcopali con la mitra in testa e il bastone pastorale nella mano sinistra. Sotto il piviale si nota la tonaca nera dei monaci eremitani agostiniani. Il volto del santo ha un aspetto giovanile e volge lo sguardo verso la Vergine.
Monica indossa la tonaca nera delle monache agostiniane e con la mano sinistra regge un libro che sta leggendo. Il volto della santa ha anch'essa un aspetto giovanile.
Il tema della Madonna della Cintura si ritrova nella "Leggenda Aurea" di Jacopo da Varagine, un testo medievale che fu fonte di ispirazione per molti artisti. Vi si legge che Maria, mentre viene assunta in Cielo con il proprio corpo, lascia cadere la cintura all’apostolo Tommaso, ancora una volta incredulo. La tradizione agostiniana fa invece riferimento a una visione avuta da santa Monica, madre di S. Agostino, in cui la Madonna le consegna la propria cintura come segno di speciale protezione per i seguaci del figlio. Per questo motivo una cintura di cuoio ha sempre costituito un elemento importante dell'abito degli agostiniani.
Guglielmo Caccia (Montabone, 9 maggio 1568 - Moncalvo, 1625)
Guglielmo Caccia è soprannominato Moncalvo perche trascorse la giovinezza nel comune di Moncalvo. Fu allievo del Sabatini ed è forse l'esponente più importante dell'arte della Controriforma in Piemonte: è l'artista devoto per eccellenza, umile e modesto glorificatone di Dio, ma grande in quanto sa esprimere sentimenti universali. Viene considerato come il più importante esponente dell'arte della Controriforma in Piemonte, tanto da essere definito il Raffaello del Monferrato. E' possibile che Guglielmo abbia esordito come frescante come collaboratore o associato di Pier Francesco, con cui lavora nel 1593 alla pala di Larizzate e che in un documento del 1596 lo chiama "mio compagno" in ogni caso, è probabile che sia attraverso di loro che il Caccia recupera la tradizione gaudenziana, anche se non bisogna dimenticare che Gaudenzio era stato attivo a Casale, dove a quel tempo si conservavano numerose sue opere.
È stato anche notato che in queste opere Caccia dimostra di ben conoscere l'estremo approdo del manierismo lombardo, studiato evidentemente dal vivo a Milano, soprattutto il linguaggio di Antonio Campi, così come appare evidente l'antico ma sempre valido modello delle architetture di Bramante (percepibile nella nitida struttura archittettonica della Presentazione al tempio). È altresì vero che sulla complessa cultura del Caccia, in questi anni giovanili in rapida evoluzione, agiscono profondamente le suggestioni della Controriforma, non solo quelle letterarie di Carlo e Federico Borromeo, e dei trattati-precetti del tardo Cinquecento, ma anche quelle irradiate da centri del territorio piemontese-lombardo: non si dimentichi che vicino alla sua città natale vi è l'importante nodo religioso costituito dal santuario di Boscomarengo, promosso da papa Pio V Ghislieri, a suo tempo decorato con opere di Giorgio Vasari e della sua scuola (e dove il Moncalvo esegue due dipinti importanti); ed anche che il pittore ha occasione di collaborare con uno dei più notevoli esponenti dell'arte del cattolicesimo controriformato italiano, Federico Zuccari, negli affreschi della Grande Galleria di Palazzo Reale a Torino (commissionata da Carlo Emanuele I di Savoia e terminata nel 1607), oggi scomparsa.
Non v'è dubbio, però, che il Caccia doveva considerare con sospetto questi grandi artisti, coltissimi depositari delle verità divine più elevate: la religiosità del Caccia, forse meglio aderente all'esempio proposto da San Carlo Borromeo, è vicina agli umili, al pio e devoto popolino di campagna, alla piccola nobiltà rurale, che viveva con piccoli possedimenti e piccole rendite, in piccoli paesi e coltivava piccoli e semplici sogni. Tra il 1605-1607 dipinse la galleria di Palazzo Reale di Torino voluta da Carlo Emanuele I, insieme al pittore Federico Zuccari, opera andata distrutta in seguito ad un incendio. In questa circostanza acquisì il titolo nobiliare di barone. La sua opera migliore è la Deposizione dalla Croce nella chiesa di San Gaudenzio a Novara. Inoltre ha dipinto la cupola di San Paolo sempre a Novara, la chiesa dei Conventuali a Moncalvo, l'Annuncio ai pastori (1614) per l'Arciconfraternita di San Michele a Casale Monferrato, San Paolo con Sant Andrea per la chiesa di Sant'Antonio Abate. Operò anche a Guarene, Vercelli, Crea, Torino, Novara, Milano. Il Moncalvo collaborò con Gaudenzio Ferrari.
A Carabbia nella chiesa parrocchiale di San Siro si conserva una sua tela raffigurante la Madonna col Bambino tra i Santi Giacomo Maggiore e Francesco d'Assisi. Il Caccia creò una scuola pittorica le cui opere si possono ammirare nei dintorni di Montabone, nelle chiese di Monastero Bormida, a Nizza Monferrato e a Acqui Terme. Tra i suoi allievi più famosi vi furono la figlia Orsola Caccia e Daniele Crespi.
Seguendo la linea della ricerca del "decoro" predicata dal Gilio e poi dagli alfieri della Controriforma, il Moncalvo si allinea alle tendenze della contemporanea pittura italiana, sia padana che dell'Italia centrale, che diviene squisitamente "religiosa" in quanto intende "commuovere" il fedele, spiegandogli con semplicità e forza persuasiva i misteri delle Sacre Scritture: operazioni affini sono svolte negli ultimi decenni del Cinquecento da pittori quali Ludovico Carracci (che certamente il Caccia ben conosceva) e Bartolomeo Cesi a Bologna, Girolamo Muziano e Federico Zuccari (con cui il Caccia lavora negli anni 1605-7) a Roma, e nella Milano borromaica, tra gli altri, da Simone Peterzano, Ambrogio Figino e - più tardi - da Daniele Crespi, con cui Moncalvo ha occasione di collaborare. Il linguaggio che adotta Moncalvo è comunque colto e raffinato, sopportato da una tecnica eccellente, di cui già i contemporanei coglievano le preziosità, anche se essenzialmente finalizzato alla divulgazione delle idee propugnate dal Concilio di Trento.