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Percorso : HOME > Iconografia > Pittori > Elenco > Settecento: Giuseppe Antonio PiancaPITTORI: Giuseppe Antonio Pianca
Agostino vescovo e cardioforo
PIANCA GIUSEPPE ANTONIO
1760
Collezione Privata
Agostino vescovo e cardioforo nel suo studio
Questa bella raffigurazione di Agostino cardioforo è a dimensioni quasi naturali, poichè è stata realizzata a olio su tela delle dimensioni 95x71cm
Autore dell'opera è un pittore settecentesco che si è mosso nell'orizzonte culturale lombardo, un certo Giuseppe Antonio Pianca, che si formò artisticamente nell'ambito della tradizione valsesiana, all'ombra della fabbrica del Sacro Monte di Varallo, con nello sguardo la pittura del fiammingo Giovanni Antonio De Groot.
Con lo spirito nuovo e con l'animo antico, in accordo con il clima della chiesa ambrosiana, Pianca si impegnò a raffigurare immagini devozionali e di santi.
La tela raffigurata appartiene probabilmente ad una serie di opere che portò a termine nel 1760. Si tratta di diverse tele realizzate per la chiesa e il convento cappuccino di Pescarenico, che furono donate da padre Pompeo da Oggiono: sette dipinti, raffiguranti i quattro Dottori della Chiesa latina, due sante (Margherita da Cortona e Caterina da Bologna), e la pala con l’Immacolata.
Sono segni estremi di un maestro che, dopo aver rifiutato la moda del rococò, scioglie le tenebre manieristiche e barocche in esaltazioni protoromantiche.
Qui Pianca immagina Agostino nel suo studio in un momento di esaltazione estatica con lo sguardo rivolto al cielo nel tentativo di penetrarne il senso da fissare su una carta ad uso dei fedeli.
Il volto del santo è molto espressivo e travolto da una profonda inquietudine del vero, un'espressione quasi autobiografica per un pittore lacerato dai tormenti e dalle inquietudini del vivere, che mai l'abbandonarono per tutta la vita.
Giuseppe Antonio Pianca
Nasce nel 1703 ad Agnona, una frazione di Borgosesia.
Fu principalmente attivo nell'Italia nord-occidentale, risiedendo dapprima a Milano.
Dal 1721 Pianca studiò approfonditamente la drammatica eredità seicentesca, preso da una grande ammirazione per i protagonisti della stagione borromea. In particolare era attratto dal Morazzone, da Francesco Cairo e dalle narrazioni, cupe ma eloquenti, di Filippo Abbiati. Per lavoro, si trasferì anche a Genova, dove la sua opera venne influenzata dal Magnasco, con cui collaborò in alcune opere. Dal 1744 si trasferì a Novara, che nel 1743 era passata al re di Sardegna.
Alla morte della moglie nel nel 1748 ritornò a Milano. Qui lavorò a lungo per committenze soprattutto religiose. Morì a Milano dopo il 1762.