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Agostino e il mistero della Trinità
SCUOLA DI QUITO
1750-1780
Rionegro, Museo de Arte Religioso
Agostino e il mistero della Trinità
Opera di un artista della Scuola di Quito, la tela che ci presenta un S. Augustinus, risale alla seconda metà del Settecento. Il soggetto del dipinto ci presenta Agostino che sta meditando seduto su una poltrona. La mano destra è appoggiata alla fronte e l'espressione pensierosa del santo ci introduce immediatamente al senso di estasi che lo sta coinvolgendo. La didascalia nel margine inferiore del dipinto riporta "Tria sunt difficilia mihi", ed esprime tutta l'impotenza di Agostino a comprendere la natura trinitaria di Dio. La mano sinistra è appoggiata ad un braccio della sedia con indifferenza nel travolgente abbandono che contraddistingue la figura del santo. Agostino è vestito da vescovo e sopra la poltrona sono ben visibili i suoi attributi episcopali. Sul petto, accanto alla croce, si nota un cuore ardente, simbolo abbastanza comune nella iconografia agostiniana, specialmente nel Settecento. A destra, in una struttura triangola e circolare è raffigurata simbolicamente la Trinità stessa che Agostino sta cercando di comprendere. Una moltitudine di raggi luminosi ne escono rischiarando la scena. La struttura dell'opera è una rielaborazione abbastanza fedele di una stampa incisa da Gottfried Bernhard Göz fra il 1737 e il 1742.
L'anonimo artista dipinse ad olio su tela questa popolare raffigurazione del santo, che è presentato con aspetto maturo e dalla folta barba grigiastra. In basso si nota volteggiare un angioletto che reca in mano un cucchiaio. Anche questa raffigurazione è simbolica e ricorda l'episodio dell'incontro di Agostino con un bambino in riva al mare.
Questa leggenda è stata studiata da L. Pillion in La Légende de s. Jérome in Gazette des Beaux-Arts del 1908. L'episodio che godrà di molta fortuna nella iconografia agostiniana riprende un testo della Lettera apocrifa a Cirillo che avrebbe scritto lo stesso Agostino. In un passo Agostino ricorda una rivelazione divina con queste parole: "Augustine, Augustine, quid quaeris ? Putasne brevi immittere vasculo mare totum ?".
Questa leggenda si troverebbe forse già nel XIII secolo, sotto forma di exemplum, in uno scritto di Cesare d'Heisterbach (cfr. H. I. Marrou, Saint Augustin et l'ange, une légende médioévale, in l'Homme devant Dieu, Mélanges offerts au P. de Lubac, II, 1964, 137-149).
L'episodio descritto in questa leggenda è abbastanza noto: Agostino, grande indagatore del problema del Bene e del Male, un giorno passeggiava per una spiaggia quando incontrò un bambino-angelo che con un secchiello prendeva dell'acqua di mare e la versava in una piccola cavità nella sabbia. Alla domanda del Santo su che cosa stesse facendo, il bambino avrebbe risposto che voleva porre tutto il mare dentro quel buco. Quando il Santo gli fece notare che ciò era impossibile, il bambino avrebbe replicato che così come non era possibile versare tutto il mare dentro la buca allo stesso modo era impossibile che i misteri di Dio e della SS. Trinità entrassero nella sua piccola testa di uomo.
Ciò detto sparì, lasciando il grande filosofo nell'angoscia più completa. Secondo il parere di alcuni studiosi di parabole e leggende la narrazione potrebbe essere considerata un sogno effettivamente fantasticato dal Santo. Altri aggiungono che forse il colloquio non si sarebbe svolto esattamente come è stato raccontato, perché, prima di sparire, il Santo aveva potuto a sua volta replicare che la risposta non lo convinceva, in quanto - avrebbe obiettato - il mare e i misteri di Dio sono due realtà assai diverse. Pur impossibile, sarebbe stato teoricamente verosimile immaginare il versamento del mare in una buca e allora allo stesso modo si sarebbe potuto supporre che i misteri divini avrebbero potuto entrare in un cervello umano adatto allo scopo e se l'uomo non aveva ricevuto una mente con tali qualità la colpa sarebbe da imputare a Dio, che non aveva appunto voluto che i suoi misteri fossero concepiti dall'uomo, per lasciarlo nell'ignoranza e nel dubbio più atroci.
"Perché Dio non vuole essere capito?" avrebbe domandato il Santo al pargolo divenuto improvvisamente pensieroso. "Te lo dimostro subito" rispose il bambino dopo un momento di perplessità e così, mentre parlava, con il secchiello divenuto improvvisamente grandissimo e mostruoso, in un sol colpo raccolse l'acqua del mare, prosciugandolo, e la pose nella buca, che si allargò a dismisura fino ad inghiottire il mondo. A quella vista il Santo si svegliò con le lacrime agli occhi e capì.