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Chiese agostiniane: Ercolano

La chiesa di S. Maria della Consolazione a Ercolano

La chiesa di S. Maria della Consolazione a Ercolano

 

 

CHIESA DI S. MARIA DELLA CONSOLAZIONE DI ERCOLANO

 

 

 

La chiesa di Santa Maria della Consolazione nota anche come chiesa di sant'Agostino si trova nel Comune di Ercolano. Nei suoi pressi avvennero i primi rinvenimenti della città romana distrutta dall'eruzione del Vesuvio assieme a Pompei.

Come viene testimoniato nelle pagine "Della Regale accademia ercolanese dalla sua fondazione" di Giuseppe Niccolò e F. Castaldi, del 1840 "un agricoltore gli riferì, che nel vicino Comune di Resina poco dopo la chiesa di S. Agostino, mentre cavava un pozzo in sua casa, aveva rinvenuto frammenti di marmo, che mostrati al principe piacquero, e furono accettati. Il famoso pozzo, di cui è parola, ex qua prima con sepultae urbis rudera, et signa cuerserunt al dir degli accademici ercolanesi nella pianta topografica dell'antica Ercolano inserita nella dissertazione Isagogica, è situato 70 passi circa dopo la indicata chiesa di S. Agostino nella strada regia, e precisamente nel giardino della casa segnata col numero 18 appartenente ora ad Angelo Gervasio."

A quell'epoca la chiesa veniva detta di sant'Agostino in memoria e onore dei Padri Scalzi Eremitani Agostiniani che si erano stabiliti a Resina prima del 1600. Il luogo esatto dove venne "cavato" il pozzo si trova a oriente della chiesa.

L'area di proprietà del Convento con gli orti si spingeva fino al mare.

La proprietà era delimitata a ovest dal Strada Cecere, vicinissima al giardino del Palazzo Reale. Verso la costa il limite della proprietà era segnata dalla strada marittima, detta anche costiera.

La chiesa detta di sant'Agostino è nota per la ricchezza delle opere d'arte in essa contenute, in parte trafugate di recente, per i preziosi marmi e soprattutto per l'architettura barocca. Il complesso fu edificato su un terreno che era detto "Le Camere". Il toponimo richiama probabilmente l'esistenza di ambienti ipogei che forse erano comunque noti prima della scoperta della città romana. Quel terreno, compreso le abitazioni, i giardini, un uliveto e le fontane, ancor prima di venir destinato all'uso religioso appartenne ad un nobiluomo di Resina, don Alfonso Sanchez de Luna. La storia ci attesta che nel 1609 questi possedimenti furono acquistati da Scipione de Curte, un ricco borghese di Napoli. Venuto in possesso di questo appezzamento e dei beni immobili che conteneva, volle abbellirli creandovi dei percorsi e dei giardini ricchi di vegetazione e piante rare. Il 4 Gennaio 1613 il De Corte donò ai padri Agostiniani Scalzi tutta la proprietà, ponendo una sola condizione: che su quel terreno venisse edificata una chiesa ed un Convento che potesse ospitare dodici frati. Così su quello splendido appezzamento di terra venne edificato uno dei più importanti complessi ecclesiali che la Strada Regia delle Calabrie avesse mai avuto. Durante il periodo Borbonico, proprio nei pressi della chiesa sul lato nord della Strada Regia venne rinvenuta una pietra miliare. Una miliare che segnava il sesto miglio da Napoli e che risaliva all'imperatore Adriano (76 - 138).

Successivamente nel periodo napoleonica i frati vennero cacciati dal convento. Nell'abbandono della struttura molte opere d'arte vennero trafugate. Nel 1815 il complesso venne rilevato dai monaci di S. Martino di Napoli e nel 1836 passò ai padri di S. Vincenzo de' Paoli.

Molto importanti restano ancora oggi le decorazioni del soffitto e l'altare marmoreo. Tra le tele importanti va ricordata La fuga in Egitto, che molti critici attribuiscono allo Zingarelli. Qui lavorò Luca Giordano dipingendo la bellissima tela di sant'Agostino e il dipinto della Vergine. La navata centrale è ornata in alto da un soffitto con affreschi ottocenteschi incorniciati da decorazioni a stucco di colore bianco o dorato di Gennaro Palumbo. Quattro sono gli altari secondari ed in esse sono contenute opere di grande valore artistico attribuite a Giordano e a Solimena. In un contesto di particolare armonia, lo spazio centrale della chiesa ospita una copia seicentesca di un dipinto su tela, di epoca bizantina raffigurante la Madonna della Consolazione, da cui la chiesa prende il nome.