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Chiesa di sant'Agostino
CHIESA DI S. AGOSTINO DI BRESCIA
Del primo periodo, cioè ancora degli anni 1460-70 circa, rimane una sola testimonianza pittorica purtroppo strappata e collocata nella Civica Pinacoteca Tosio e Martinengo. Si tratta del grande affresco che doveva adornare una parete, che si concludeva con volta a crociera di forme acute, raffigurante in alto la Annunciazione, con le figure laterali della Vergine e dell'Arcangelo abbastanza ben conservate, mentre è andato perso - forse per l'apertura di un successivo oculo - la colomba dello Spirito Santo o il Padre eterno che si dovevano trovare entro una ricca ghirlanda di alloro; sotto si svolgeva invece una "sacra conversazione", con la Madonna in trono e il Bambino, in mezzo, e ai lati, sulla destra san Giovanni Battista e sant'Antonio Abate, sulla sinistra san Girolamo e san Nicola da Tolentino. Giustamente l'affresco è stato avvicinato da Franco Mazzini al "Maestro di Sant' Agata" che potrebbe essere forse identificato con Andrea Bembo e non sembra un caso che un fine intenditore come Marcello Gretti nel 1775, dopo avere ricordato gli affreschi firmati da Andrea Bembo in San Domenico, purtroppo perduti, aggiunga: «Varii dipinti antichi di immagini Se [sacre] sul fare di detto Autore sparsi in chiostri e conventi di San Barnaba», forse anche con riferimento agli affreschi della libreria. G. Nicodemi avverte che l'affresco sopra descritto decorava la parete di cappella antica posta a sinistra del presbiterio!. Poiché al posto d'onore nell'affresco è il Battista e poiché già nel secolo XIV risulta esistente un altare dedicato a questo santo, tutto farebbe pensare che a questo fosse dedicata l'ultima cappella della navata di destra, che fungeva da presbiterio, in quanto quella di san Nicola da Tolentino chiudeva invece a nord la navatella sinistra e si adornava del polittico del Civerchio del 1491, oggi in Pinacoteca, ordinato dalla famiglia dei conti Secco d'Aragona provenienti da Caravaggio e che avevano usuale il nome di Nicolò nella propria schiatta, oltre ad avere anche ivi la tomba!. Tuttavia l'ipotesi, suffragata anche dallo scritto di san Carlo, lascia dubbi, perché il Nicodemi parla di cappella a sinistra del presbiterio e proprio quella di san Nicola presenta nel lato est, sopra la monofora che poteva essere stata poi chiusa per dipingervi l'Annunciazione, un occhio circolare che ritroviamo anche nell' affresco, quindi il polittico del Civerchio poteva essere collocato su altra parete della cappella oppure posto nel centro. La chiesa si arricchì forse nel 1540 di un'altra opera di grande importanza sul lato destro, e cioè la pala con la "Natività" di Gian Girolamo Savoldo, attualmente pure nella Pinacoteca Tosio e Martinengo, che adornava la quarta cappella del lato nord partendo dall'ingresso o la seconda dal presbiterio, voluta con testamento di Bartolomeo Bargnani del 1513, ma costruita fra il 1536 e il 1538. Dell' esistenza di altra cappella, dedicata alla Trinità, e di un altare a santa Maria (poi aboliti da san Carlo) è data notizia nel testamento di Mazzino q. Ottolino Maggi che vuole la sua tomba davanti all'altare di santa Maria posto a monte dell 'ingresso del coro presso la cappella della Trinità. Queste le scarse indicazioni che ci rimangono dell'antico tempio. Profondi mutamenti subì la chiesa nel secolo XVII quando fu trasformata secondo i canoni manieristico-barocchi negli anni fra il 1632 e il 1659. Alle tre navate fu sostituita una chiesa con una sola, spaziosa navata con quattro cappelle ampie su due lati e due vani minori, dei quali quello verso l'ingresso adibito pure a cappella mentre quello verso il presbiterio fu usato per l'ingresso dall'esterno e per l'ingresso al chiostro. Gli accessi alle cappelle erano costituiti da archi a pieno centro, inquadrati dalle lesene poste su alti basamenti che salivano ai lati a sostenere l'architrave sul quale si impostava la volta a botte; quelli dei vani esterni erano più piccoli degli altri. L'abside della navata centrale fu ampliata col coro retrostante, sempre di forma rettangolare e con copertura a volta; sul presbiterio venne impostata una specie di "cupola" circolare non visibile dall'esterno perché racchiusa entro tamburo cilindrico e con tetto lievemente conico. Sono queste le forme caratteristiche del manierismo tardo cinquecentesco o dell'inizio del Seicento care al Bagnatore, all' Avanzo, al Lantana. Il Faino la dice «fatta di novo» e veramente riuscita con l'unica navata e il coro proporzionato ad essa, mentre l'Averoldo mette in valore l'altezza, la bizzarria dei fregi, la ricchezza di luce. Dove invece si cercò di sovrabbondare fu nella decorazione della facciata marmorea nuova che si costruì, addossandola all'antica, e che costituisce ancora oggi l'unico esempio in Brescia di barocco ricco in edificio chiesastico, dove l'elemento decorativo si sovrappone senza legarsi intimamente alle strutture architettoniche dei due ordini nei qua- li è divisa e nella cimasa conclusiva: quattro statue nelle nicchie, di modesto valore, la dovizia di festoni, di fregi, le piramidi, le balaustre, conferiscono tuttavia un insieme pittorico e chiaroscurale. Notevole è l'accenno che ne dà l'Averoldo quando parla di facciata "incrustata" con statue, marmi antichi e moderni. Il portale - nonostante sia l'ultima parte eseguita, come si ricava dall'iscrizione datata 1675 - sembra ancora cinquecentesco nella struttura ed anche negli elementi decorativi. L'architetto a cui deve si la trasformazione è ignoto: si è pensato ad Antonio Comino, che lavorava per il Duomo Nuovo e per la chiesa parrocchiale di Verolanuova, in quanto il suo nome compare in documenti relativi al cantiere della chiesa nel 1641. Barocchi invece erano gli altari in stucco, salvo quello di san Carlo, in marmo, purtroppo andati tutti dispersi o distrutti; esempio tipico di decorazione barocca in stucco ed affresco era poi la cappella con cupola e con lanterna posta. sul lato nord - cioè la quarta dall'ingresso - dedicata alla Madonna della Cintola, sfortunatamente purtroppo demolita nel 1927 per ampliare corso Magenta. Per mezzo delle guide artistiche della città fra la metà del secolo XVII e la fine del secolo XIX, dal Faino agli inventari dopo la chiusura della chiesa, dall' elenco delle epigrafi funerarie dovute a P. Guerni, si può a grandi linee ricostruire il ricco arredo della chiesa fino alla sua spogliazione. Nella contro facciata era, sopra la porta, una vastissima tela raffigurante "Sant' Agostino che governa la nave", firmata da Luca Martelli nel 1689 e ancora in sito, ma in pessimo stato, nel 1896 (secondo il Fè); ai lati della porta, incastonate negli stucchi, a sinistra era la "Carità", data ora al Barbello ora al Panfilo, oggi presso la chiesa delle Grazie a Brescia, ed a destra una copia di una Madonna di scuola raffaellesca. Nella navata, sopra gli archi estremi dei due lati, più bassi degli altri come si è detto, erano quattro ampie tele di Pompeo Ghitti raffiguranti, nel primo a sinistra, "Sant' Agostino convertito dalla voce di un angelo" e nell'ultimo a sinistra sopra l'andito della porta laterale, il "Battesimo di sant'Agostino"; invece sull'ultimo arco di destra, in corrispondenza della porta che dava al chiostro, era "Sant'Agostino che riceve l'abito sacerdotale da san Simpliciano presente Ambrogio", e nel primo arco a destra la "Consacrazione episcopale di sant' Agostino". La distribuzione delle cappelle sul lato sinistro, con la riedificazione del secolo XVIII, subì vari mutamenti; infatti, il Faino ci testimonia che la cappella della Madonna della Cintola era spostata più verso occidente. Ad ogni modo, dal secolo XVII in poi la distribuzione era la seguente, partendo, sul lato nord, dall'ingresso. Primo altare: con pala di santa Chiara di Montefalco, dipinta da Francesco Paglia, che non è citata dal Faino ed è ricordata invece dal Paglia stesso nella sua guida; nel pavimento davanti all'altare era la tomba Butturini (1696). Secondo altare: con pala di Pietro Muttoni detto il Vecchia raffigurante santa Monica, sant'Agostino e san Barnaba, oggi nella parrocchiale di Borgosatollo, venduta nel 1877 per lire 750. Davanti al- l'altare erano la tomba terragna di Giovanni Battista Maggi (1775) e quella di G. B. Soardi (1767). Terzo altare: in origine con san Tommaso da Villanuova sostenuto da un angelo, di Pompeo Ghitti; ma nel 1823, per la trasformazione della cappella di san Nicola, fu qui portato il polittico del Civerchio, oggi in Pinacoteca. Davanti all'altare era la tomba di G. B. Avanzi (1713), mentre fra la terza e la quarta cappella era la tomba della fami- glia Regola (1795). Quarto altare o cappella della Madonna della Cintura: era in costruzione al tempo del Faino, con altare adorno di sculture; la pala con la Beata Vergine era in bassorilievo (secondo il Sala) e ai lati le statue della Carità e dell'Umiltà, nonché la Trinità nel cimiero, angeli e putti - elencati dal Carboni, - opere tutte eseguite da Antonio Calegari nel 1739; il bassorilievo (secondo il Sala) o la statua (secondo il Brognoli) era ricoperta da tela di Pietro Avogadro. L'altare con statue (ma non la tela) venne venduto al parroco di Lovere nel 1879 per lire 5.000. Sulle pareti laterali erano due grandi tele, una di Giuseppe Amatore con la "Salita al Calvario di Gesù" (perduta) e una di Grazio Cossali con "Santa Monica che dispensa le elemosine" (la tela passata nel Bergamasco è stata ritrovata da Luciano Anelli a Roma e di recente ac- quistata dal Comune di Orzinuovi). La cupola era decorata da stucchi e da affreschi - citati dal Faino, dal Paglia e dall'Averoldo - di Pietro Ricchi detto il Lucchese. Davanti alla cappella erano la tomba terragna di Mattia Piccinelli, quella della Confraternita dei Centurati e quella dei Follatori (1658). La cappella fu demolita nel 1927 per allargare, come si è detto, corso Magenta. La primitiva cappella della Madonna della Cintura che era fra la terza e la quarta cappella (cioè fra il sesto e l'ottavo altare del Faino) è così ricordata da questo scrittore: con affreschi di Bernardino Gandino, con la pala raffigurante la "Madonna che porge la cintura al Bambin Gesù", di Pier Maria Bagnatore, con i due quadri laterali dell' Amatore e del Cossali, formando così un tipico complesso manieristico di scuola bresciana. Fra la quarta e la quinta cappella era la tomba terragna di Alessandro Losio (1680). Quinto altare: il Faino ricorda la pala con "Cristo che sale al Calvario" di Pietro Marone; il Paglia invece parla dell'" Angelo Custode" di un romagnolo, mentre l'autore viene citato da Giulio Antonio Averoldo come della scuola di Roma; il pittore verrà poi identificato come Giulio Motta dagli altri autori delle guide. L'inventario della chiesa del 1819 dice il dipinto di proprietà del nobile Giacinto Feroldi, ma esso venne venduto nel 1880 al sacerdote Gaetano Scandella che poi lo lasciò alla chiesa di San Zeno dove tutt'ora si trova. Davanti all'altare erano le tombe terragne di Francesco Secco d'Aragona (1616) e di Carlo Maggi (1683). Sopra la porta minore verso nord è indicata la tela di Pompeo Ghitti, con "Gli infermi risanati da san Nicola"; nel pavimento davanti all'ingresso era la tomba di don Giulio Maggi (1707). "Fuori dal vaso della chiesa" o "cappella separata fuori dall'ordine della chiesa" o "cappella a mattina" è definita la cappella di san Nicola da Tolentino che doveva costituire l'abside della navata sinistra della chiesa gotica e si adornava, fino al 1823, del polittico di Vincenzo Civerchio (oggi nella Pinacoteca Tosio e Martinengo; il Faino dice che fu «fatta nova la sua pala»; l'Averoldo ricorda che intorno sono i "Miracoli" del santo, che vengono dati al Ghitti, al Tortelli, a Francesco Paglia dal Maccarinelli, dal Carboni e dagli altri. Nel pavimento davanti all'altare era la tomba di Cervatto Secco d'Aragona (1509). Nel 1823 la cappella fu divisa in tre parti e ridotta a magazzino; sempre a questa forse si riferisce il Gelmini quando scrive «nel presbiterio, parte sinistra, cappella antica ora ripostiglio di legname nella quale è collocata la tomba di Lauro Pesenti»; ma potrebbe essere anche la cappella opposta. Il presbiterio, al quale si saliva dai gradini e davanti ai quali era la tomba comune degli Agostiniani di forma quadrata, non sapremmo se era chiuso da balaustre oppure se il riferimento del Paglia al «parapetto dell'altare maggiore, di finissimi marmi, con figure in candido marmo, con frutti fiori e uccelli», riguardasse il paliotto; ma l'Averoldo chiarisce il problema dicendo che i due gradini che portavano al presbiterio erano «entro a balaustri» e questi balaustri si vedono ancora in una delle piante ottocentesche della chiesa. All'inizio, ai tempi del Faino, l'organo era posto dove solitamente è collocata la pala dell'altare maggiore, ma nel 1693 fu spostato per collocarvi la pala col martirio di san Barnaba dovuto a Giuseppe Panfilo che la firmò; la pala, ricordata dall' Averoldo, non è citata dal Paglia che però ha un'annotazione sulla necessità di rivedere e correggere la propria descrizione. Stranamente il Maccarinelli afferma che la pala dell'altare maggiore era di Girolamo Rossi e che il "Martirio di san Barnaba" del Panfilo era «a canto sinistro dell'altare maggiore», mentre il Carboni avverte che «copre tutta la muraglia settentrionale» anziché quella orientale. Se poi si pone mente al Brognoli che dice «ora sull'altare maggiore la pala del Panfilo», sembra scorgere da tali testimonianze un periodo fra metà del secolo XVIII e il 1826 nel quale il dipinto fu tolto dal suo posto originario. Della tela non si ha più notizia, era grandissima secondo l'inventario del 1819; è ricordata ancora dall'Odorici (1853) e dal Fé (1896) ma a quell'epoca la chiesa era già chiusa. Ai lati del presbiterio erano le due cantorie che dall'inventario del 1819 risultano con piccole casse di legno ad intagli e due quadri della Passione; il Paglia scrive che ai lati del presbiterio sono stati riposti «nuovamente» l'organo e le due tele che le guide, dal Paglia all'Averoldo, elencano come "Redentore morto sostenuto dalla Madonna e intorno sant' Agostino, san Girolamo, san Giovanni Battista e san Barnaba e in alto il Padreterno", dovuto ad Antonio Gandino. Questa tela era nella cantoria dalla parte dell'Epistola, mentre dalla parte del Vangelo era la tela col "Redentore che sale al Calvario", di Pietro Marone: sono le due tele che il Faino ricorda, nella cappella quinta di sinistra quella del Marone, e collocata nel secondo altare di destra (quarto per il Faino) quella del Gandino. Il Carboni (1760) elenca nel presbiterio «da mezzodì» (ma forse si tratta del coro) la pala di "Sant'Onofrio eremita" di Francesco Paglia già sul terzo altare di destra. Nel presbiterio, nella parte destra, era la tomba Zanelli (1698) e a sinistra quella Pedersoli (1702), mentre dietro l'altare maggiore era quella dei Martinengo Cesaresco. Dietro alla pala dell'altare era il coro che faceva cappella a sé (la decima per il Faino) che aveva come pala la "Crocifissione con sant' Agostino" di Grazio Cossali, che è ricordata dal Paglia e che si è ritenuta da alcuni scrittori erroneamente la pala dell'altare maggiore. Sempre nel coro al tempo del Faino era la Ultima Cena di Paolo da Caylina il Giovane, poi portato in sagrestia e infine in Pinacoteca. Nel 1819 il coro era divenuto un magazzino di tele dipinte, poiché ne sono ricordate diciotto, ma ritenute di non grande pregio. Passando nel lato sud della navata, sopra la porta che conduce al chiostro, era la mezzaluna con la "Resurrezione" che l'Averoldo e il Maccarinelli dicono del Bagnatore, mentre il Carboni afferma che sembra opera del Marone, ma è più antica; il Brognoli non si sbilancia, dopo avere accennato sia al Marone che al Bagnatore, non potendo decidere perché simili opere, soprattutto se piccole, sono molto difficili da identificare nel loro autore; infine il Sala, l'Odorici, il Fé parlano erroneamente del Savoldo. L 'Anonimo del 1791 e il Sala poi aggiungono che sotto è un quadro votivo del Tortelli, con un miracolo. Nel quinto altare (dall'ingresso, primo invece dal presbiterio) la cappella aveva come pala d'altare la tela di Bernardino Gandino (l'Averoldo e il Maccarinelli invece la dicono di Antonio) con "San Carlo che dà la comunione ad Alessandro Luzzago". Ai lati dell'altare erano due iscrizioni: sulla parete orientale quella funeraria del venerabile Alessandro Luzzago (morto nel 1602), sulla parete occidentale quella posta dai Luzzago in onore di san Carlo (1647); davanti all'altare invece era la tomba del Luzzago spostata nel 1649 e qui rimasta fino al 1878, quando fu trasportata nella chiesa della Pace. Davanti alla lesena fra il quinto e il quarto altare era la tomba Gorno (1622) nel pavimento, e davanti al quarto altare quella Sala (1660). Il quarto altare si fregiava della tavola con la "Natività" di Gian Girolamo Savoldo, fatta eseguire come si è detto dal Bargnani, oggi in Pinacoteca; il Carboni ricorda sopra i gradini (dell'altare) "San Venanzio" di Angelo Paglia. Fra la terza e la quarta cappella era la tomba Cappelli Bertoni (1710). Al terzo altare era per il Faino una copia fatta a Firenze di pala di Andrea del Sarto con "Madonna su piedestallo, col Bambino, san Giovanni Evangelista e san Nicolò"; ma la tela (che poi venne portata in sagrestia dove perì per l'incendio del 2 gennaio 1689) era stata sostituita da una tela di Giacinto Brandi con 'Santa Rita spossata davanti al Crocifisso e sostenuta da angelo", tela che copriva le reliquie della chiesa; la tela del Brandi, poi portata essa stessa in sagrestia, venne sostituita successivamente con la tela di "Sant'Onofrio" di Francesco Paglia; sotto ad essa erano però sempre le reliquie. Successivamente il Carboni afferma che la tela del Paglia era nel presbiterio; da notare F. Odorici (1853) che equivoca Paglia con Palma il Vecchio. Ai lati erano due «piccoli antelli» con la "Deposizione di Cristo" e il "Martirio di santa Felicita", che il Paglia dice di «maniera gandina». Il secondo altare al tempo del Faino aveva il quadro di Antonio Gandino con il "Cristo morto sulle ginocchia della madre e santi", poi inserito in una delle cantorie nel presbiterio; il Paglia, l'Averoldo, il Maccarinelli, il Carboni ricordano invece la tela di Giuseppe Panfilo con il "Miracolo di san Giovanni di San Secondo, eremita", che con la cintura salva un fanciullo caduto nel pozzo. Alla metà del secolo XVIII questa tela fu sostituita con quella della "Beata Vergine del Buon Consiglio", di «sconosciuto moderno pittore», dice il Brognoli; la tela è oggi nella cappella dell'Opera Pavoniana nella sua sede in Brescia; l'altare è documentato da un ex voto del 1799 esistente presso il convento delle Grazie. Il primo altare di destra aveva sotto cristallo la figura di Cristo in piedi, di maniera antica, che il Fé suppone appartenesse alla prima chiesa. Tre altari - che sono da individuare - vennero venduti nel 1879 alla chiesa di Paderno Cremonese. Il Paglia è poi l'unico a citare i candelabri e i messali (certamente quelli dovuti ad Apollonio da Calvisano che alcuni vogliono del 1476, altri invece del 1486). Ben poche sono le notizie relative alle opere d'arte negli altri ambienti del convento che si possono ricavare dalle antiche guide; nell'andito per il quale si va alla sagrestia e all'interno del chiostro, il Gelmini ricorda la lapide posta da Francesco Osti ani nel 1623 per messa in suo suffragio; nell'angolo nord-est del chiostro antico era un affresco, oggi strappato, con la testa di profilo di Ludovico Pavoni con iscrizione; il ritratto, importante per l'iconografia del venerabile, è oggi conservato nell'Opera Pavoniana. Nella sagrestia posta a sud della chiesa, che subì l'incendio del 1689, erano secondo il Paglia una "Ascesa al cielo di sant' Agostino" del Perugino (sic!), per il Maccarinelli e il Carboni nella volta si nota il medaglione affrescato da Pompeo Ghitti con san Barnaba, affresco che è tutt'ora esistente; qui era stato portato il quadro con santa Rita da Cascia, già nel terzo altare di destra (Maccarinelli), e vi era per il Carboni il "Cieco illuminato da Cristo" che egli ritiene di Francesco Barbieri e che il Paglia ricorda invece in chiesa, come opera di Annibale Carracci e che forse è da riconoscere nella tela esistente in Pinacoteca. A tale proposito il Maccarinelli, che lo ritiene invece di Anonimo, scrive che faceva da sovrapporta alla porta di destra per cui si passa all'altra sagrestia (nella seconda redazione corregge: all'inferiore sagrestia). Da questa si passava a sud nell'antisagrestia o vecchia sagrestia dove era un altare in cotto con "bradella" di marmo e la pala con la "Cena di Cristo", secondo l'inventario del 1819; ma l' "Ultima Cena" di Paolo da Caylina il Giovane, già nel coro della chiesa, è qui ricordata pure dal Maccarinelli intorno alla metà del secolo XVIII e poi dal Carboni, dal Brognoli, dal Sala, dall'Odorici. L'opera, già data a Foppa il Giovane, è oggi conservata nella Pinacoteca Tosio e Martinengo. Nell'inventario sopraddetto è scritto che il vecchio altare fu poi coperto da altro altare ligneo con pala di proprietà del nob. Ludovico Pavoni e che l" 'Ultima Cena" era stata posta sull'ingresso di detta antisagrestia. È questa la cappella nella quale ebbe la prima sepoltura il venera- bile Ludovico Pavoni (1849), che qui rimase fino al 1861, quando fu trasportato in San Desiderio, dove si erano trasferiti i Pavoniani e poi definitivamente portato nella chiesa dell'Opera Pavoniana a Sant'Eustachio. Sempre nell'inventario del 1819 sono ricordati nell'antisagrestia cinque quadri e nove in sagrestia, ma di scarso valore; il Sala ricorda anche il Crocefisso del Cossali già nel coro e così il Brognoli che equivoca dicendolo già sull'altare maggiore; egli ricorda in sagrestia anche i due quadri del Marone e del Gandino già inseriti nelle cantorie. Il Paglia è l'unico autore a ricordare la sala del Capitolo, nella quale erano quattro ovali con figure che, benché antiche, nondimeno hanno del naturale, «d'incerto autore»; ma purtroppo non si riesce ad ubicare detta sala.
Lastra tombale
Poco prima della soppressione (30 settembre 1797) degli ordini e delle congregazioni religiose da parte del Governo Provvisorio Bresciano, di loro volontà gli Agostiniani di San Barnaba decisero, il 31 maggio, lo scioglimento del convento bresciano. Il Governo Provvisorio trasformò subito l'edificio in caserma; poi la parte orientale - costituita dalle costruzioni poste ad oriente, dalle ortaglie e dalla zona nella quale era la Disciplina di san Barnaba che era staccata dalla chiesa - fu ceduta a privati come la famiglia del miniaturista Pietro Vergine, quella dei conti Balucanti proprietari del vicino palazzo Oldofredi (oggi Liceo Arnaldo): si tratta dell'area dove attualmente è il giardino pubblico con il monumento alla Resistenza. Con il passaggio sotto l'Austria, la parte dell'ex convento ad occidente del chiostro del primo Quattrocento fu ceduta al Comune per trasformarla in scuole elementari, eseguite su progetto dell'architetto comunale Luigi Donegani nel 1837. Tale data compare infatti nell'iscrizione latina, dettata dall'abate Pianta, posta sull'architrave della parte centrale terminale dell'edificio, conformata a timpano triangolare su cui a bassorilievo è pure lo stemma di Brescia sorretto da due Vittorie in volo: SCHOLA PRIMORDlORUM AERE MUNICIPALI PUERIS CONSTI TUTA AN. MDCCCXXXVII. La parte centrale e le due ali terminali sono lievemente aggettate e movimentano l'ampia facciata disegnata dal Donegani in severe linee neo classiche a due ordini; se nelle ali laterali una porta e finte bugne danno una certa animazione, questa è concentrata nella zona centrale con il portale fiancheggiato da due fontane a piano terra, con il rivestimento a finte bugne in botticino, con l'alternato gioco di semicolonne ioniche e di finestre architravate nel secondo ordine. Internamente, invece, venne demolito l'antico chiostro pericolante nel 1834 e si costruì l'attuale cortile con portici dalle colonne tuscaniche in botticino e semplice tetto secondo un gusto che giustamente è stato definito quasi da casa pompeiana. I lavori erano conclusi nel 1838; le strutture ottocentesche originarie vennero poi in parte alterate per la sovrapposizione di nuovi piani e il rifacimento degli edifici circostanti, fino alla costruzione della nuova ala della scuola "Tito Speri" nel 1926-1927. Invece la parte più mediana del convento, comprendente il chiostro più antico e la zona dove era la biblioteca, fu affittata nel 1820-1821 al canonico Ludovico Pavoni che, essendo dal 1818 rettore della chiesa di san Barnaba ancora aperta al pubblico, iniziò a radunare, in alcune casette adiacenti alla chiesa che aveva comperate, giovani abbandonati per educarli, e a questi poi aggiunse i sordomuti a partire dal 1841. Nacque così il suo nuovo Istituto, ottenendo dal Municipio l'uso perpetuo dell'ex convento che non occorreva alla scuola, e poté, nel 1847, istituire la Congregazione religiosa dei Figli di Maria Immacolata. Ma nel 1866 l'Istituto Pavoni, in base alla legge che sopprimeva le congregazioni religiose, fu tolto ai Figli di Maria Immacolata e divenne corpo morale retto da una commissione amministratrice; questa nel 1877 comperò la chiesa di San Barnaba - che nel frattempo aveva continuato a funzionare come tale - e la trasformò in magazzino, disperdendo altari e opere d'arte, anche se alcune delle più importanti passarono, come si è visto, nella Civica Pinacoteca Tosio e Martinengo. La chiesa dal 1879 al 1895 fu poi affittata alla Banca Popolare, e dal 1895 al 1955 alla Banca Commerciale. Nel 1925-26 questa parte dell'ex convento fu ceduta dall'Istituto Sordomuti Pavoni al Comune di Brescia, che la trasformò in sede dell'Istituto Musicale Venturi, mentre la "libreria" fu destinata a salone per concerti, conferenze e altre manifestazioni culturali; l'ex chiesa divenne invece in epoca fascista sede teatrale del Dopolavoro Dipendenti Comunali col nome di Teatro Antonio Duse e nel dopoguerra cinema affittato a privati col nome di Aquiletta. Per questa utilizzazione vennero gravemente alterate le strutture architettoniche originarie che si erano fortunatamente conservate; con la statizzazione dell'Istituto Musicale Venturi, questa parte è divenuta sede del Conservatorio musicale. Nel 1960 la caduta di frammenti architettonici dalla sommità della facciata obbligò il Comune ad un intervento e fu allora che si scoprirono, al colmo della facciata, frammenti di lapidi romane riadoperate. Sono tuttora in corso lavori di ristrutturazione dell'interno della chiesa per trasformarla in auditorium, interrotti per la scoperta archeologica di una necropoli. Accurate ricerche potrebbero portare ad ulteriori ritrovamenti anche nei locali dell'ex convento, come quello di decenni orsono, quando si trovò sulla parete di fondo del corridoio al primo piano dell'ala orientale del cortiletto neoclassico, che è in comune con la parete nord della libreria, un frammento affrescato con Crocifisso e a fianco la figura di sant' Agostino (inizio secolo XVII), nascosto da un monocromo grigio di epoca neoclassica, con la scena, certo voluta dal Pavoni, di Gesù lavoratore e la Sacra Famiglia.