Contenuto
Percorso : HOME > Monachesimo agostiniano > Chiese agostiniane > Italia > GiovinazzoChiese agostiniane: Giovinazzo
Cupolone della chiesa di S. Agostino
CHIESA DI S. AGOSTINO DI GIOVINAZZO
note di Diego de Ceglia
L'analisi di un fascicolo del Tribunale della Sacra Regia Udienza di Trani (ASBa - Sez. Trani - S.R.U., Processi atti civili, b. 34, fasc. 304), rivela uno dei tanti episodi di contenzioso tra i religiosi ed al contempo arricchisce di particolari le vicende relative alla costruzione della chiesa di S. Agostino, uno dei monumenti che caratterizza la città di Giovinazzo per la sua alta cupola visibile sin da lontano, chiesa della quale già don Filippo Roscini aveva ampiamente trattato nel suo testo "Gli Agostiniani a Giovinazzo" pubblicato nel 1988. Si diede inizio alla costruzione dell'attuale chiesa grazie ad un lascito di fra Felice Leoni (Giovinazzo 1677- Ischia 1754) che fu prima maestro Generale dell'Ordine Agostiniano e poi Vescovo di Avellino sino alla morte. La costruzione della chiesa, cominciata nel 1734 come ricorda l'iscrizione nel cartiglio presente sulla porta di ingresso, rimase interrotta per più anni, la cupola infatti fu terminata solo nel 1834 come possibile rilevare dal testo della lapide apposta su di essa, ed infine la sua consacrazione avvenne nel 1846 come riportato su di una lapide al suo interno. La presenza dei padri Agostiniani in quel sito, compreso attualmente tra via de Gasperi, via Marconi ed il complesso di edilizia popolare di via Imbriani, è attestata sin dal secolo XVI e fino alla consacrazione della chiesa attuale, la primitiva chiesa conventuale sorgeva ove attualmente c'è la scalinata di accesso alla scuola Aldo Moro. Rimandando ad altra sede notizie relative al progettista della chiesa, prima di approfondire l'iter burocratico e le vicende relative ad unperiodo di interruzione della sua edificazione, è il caso di offrire alcune informazioni circa i canoni costruttivi previsti per gli edifici di culto cristiani.
CANONI COSTRUTTIVI
Le chiese erano per lo più progettate a forma di croce, con l'abside per tradizione orientato ad est. Gesù infatti aveva come simbolo il Sole e la croce era simbolo della vittoria; inoltre poiché la Croce di Cristo fu eretta sul monte Calvario rivolta verso ovest, i fedeli in adorazione dovevano essere rivolti ad est che per antica tradizione è la zona della luce e del bene. L'ingresso principale delle chiese era quindi posizionato sul lato occidentale, in corrispondenza dei piedi della croce, così ché i fedeli nel procedere al suo interno, verso oriente, potessero simboleggiare l'ascesa di Cristo. Nel rispetto delle norme, non è casuale pertanto che il primitivo progetto della chiesa di S. Agostino prevedesse che l'altare fosse collocato ad oriente, quindi il suo ingresso era stato pensato sull'attuale via de Gasperi.
L'antica cappella conventuale, ai più anziani meglio nota come "teatrino", fino alla sua demolizione comunicante con l'attuale chiesa attraverso un camerino sito in fondo al braccio destro in cornu epistolae dell'altare della Madonna del rosario, sarebbe dovuta divenire la sagrestia della nuova. Sulla parete di fronte a detto camerino è ancora visibile in alto un grande occhio circolare, che come in tutte le chiese conventuali sarebbe stato, dall'interno della clausura, l'affaccio "di controllo" sul presbiterio.
ALCUNE IMPERFEZIONI
Un'attenta osservazione all'interno della chiesa mostra come la costruzione della sagrestia sia posticcia in quanto, per l'altezza della sua volta, penalizza il finestrino ad oblò sicuramente preesistente e previsto per dar luce all'ambiente, ancor'oggi visibile in cornu evangelii dell'altare di S. Michele sito nella cappella in fondo al braccio destro. Stessa cosa dicasi per le aperture speculari delle prime due cappelle laterali. A forma di oblò dall'interno, esse prendono luce solo grazie ad un tronco di cono con volta a botte appena accennata. Da un'attenta lettura della planimetria dell'attuale chiesa e osservando tutto il blocco della facciata si può notare come questo addossandosi a "T" sulla parete della chiesa copra parzialmente le due aperture ad oblò che risultano così poste proprio sullo spigolo e che quindi, data l'inusuale posizione, erano già preesistenti rispetto al blocco della facciata.
NARRAZIONE DEI FATTI
Il fascicolo del Tribunale della Sacra Regia Udienza di Trani è del 1772-1773 anni durante i quali i lavori per la costruzione della chiesa erano fermi. Sebbene è accertato che la sospensione dei lavori era dovuta alla mancanza di fondi, dal summenzionato documento appare chiaro che i lavori si erano bloccati anche a causa di un contenzioso aperto dai frati del Convento di S. Domenico. Il fascicolo intitolato: Diligenze praticate in esecuzione di real carta a ricorso del provinciale dell'Ordine Eremitico di Santo Agostino per la costruzione della nuova chiesa del convento di Giovinazzo, si apre con il seguente provvedimento, datato Napoli 25 luglio 1772, a firma di Carlo de Marco, Segretario di Stato di Grazia e Giustizia e degli Affari ecclesiastici, provvedimento che faceva seguito ad una supplica rivolta al Re dal Provinciale dell'Ordine eremitico di S. Agostino che domandava il real permesso «di menare avanti la fabbrica» della chiesa del convento di Giovinazzo: «Mi ha Sua Maestà comandato di dire a V.S. che con codesta l'Udienza s'informi e riferisca, specialmente se tal rifazione dell'antica chiesa porti seco alcuna amplificazione della medesima».
Perché fossero esperite le indagini, il Sindaco di Giovinazzo segnalò al Tribunale, in qualità di periti, gli architetti Vitantonio Bovino e Giovanni Mastropasqua, i mastri muratori Sebastiano Paterno, Michele Mastropasqua e Vito Capursi che, dopo la nomina formale del 18 agosto 1772, comparirono più volte a deporre dinanzi al notaio Francesco Antonio Manzari. Allo stesso notaio il priore del convento di S. Agostino, fra Agostino Maria Rizzi, esibì un libro dei conti «della fabbrica [della nuova chiesa] principiato in ottobre 1739» nel quale tra le spese sostenute nell'ottobre del 1741 era segnata anche quella per «l'architetto che ha fatto il disegno del convento, e della chiesa, una colla veduta della facciata del campanile, e lo spaccato della chiesa, zecchini numero undeci, che coll'aggio fanno ducati ventinove e grana ottantotto».
Il 22 agosto 1772 oltre i periti, venivano ascoltati i testimoni: canonico teologo don Giuseppe Abatangelo di anni 57, don Vito di Palma cappellano di S. Felice di anni 53, don Giuseppe Avvantaggiato di anni 41, il nobile Giuseppe Siciliano di anni 51 ed i sindaci Berardino Ciardi di anni 55 e Saverio Gentile di anni 46 ed il petrarolo Marcantonio Caccavo di anni 60. Attraverso tutte le deposizioni rese, Enrico Dusmet, preside e governatore del Tribunale della Sacra Regia Udienza di Trani, il 30 agosto 1772 predispose la seguente relazione da inoltrare a Napoli in risposta alla richiesta del Re che il 25 luglio aveva chiesto di appurare se il rifacimento «dell'antica chiesa porti seco alcun'amplificazione della medesima». Egli così scriveva: «il convento de' suddetti Padri Agostiniani della città di Giovenazzo, è situato nel borgo della stessa in luogo disabitato che non apporta soggezione, ne pregiudizio ad alcuno e che quaranta e più anni indietro essendosi modernato con nuova fabbrica a spese del fu padre maestro fra' Felice Leoni Procuratore Generale ed indi Generale dell'Ordine Eremitico di S. Agostino, figlio di detto convento, il quale anche lo dotò di molti migliaia di ducati, acquistati nella Religione co' suoi impieghi, fu indi risoluto formarsi nel proprio suolo di detto convento, e su di un vivo sasso la chiesa per il maggiore culto di Dio, e comodo del pubblico, e gittatesene le fondamenta furono innalzate per circa sedici palmi in tutta quasi la circonferenza di quella» (un palmo corrisponde a 0,263670 metri).
Con questi pochi righi il Governatore introduce la storia delle vicende costruttive della chiesa, per poi proseguire così: «ma come nel decorso del tempo si andò a scorgere che le medesime erano mal fatte, e difettavano ne' fondamenti, che vi era dell'improprietà essendosi situata la porta maggiore a tramontana nel frontespizio di un giardino che possedevano i Padri Domenicani di detta Città pochi passi distante da detta chiesa, senz'averlo voluto a detti padri agostiniani alienare, e che detta incominciata chiesa era troppo ampia, ed in corrispondente alle forze del convento, e che per tali motivi i Padri Agostiniani suddetti nell'anno 1741 la demolirono dalle fondamenta, e furono formate una nuova pianta più ristretta, a di minor dispendio per costruire la chiesa con la porta maggiore non già a tramontana come sopra, ma sì bene a ponente, e corrispondente alla strada pubblica, con essersi innalzate le di lei fabbriche quasi per la metà con tutti i piegamenti, e pilastri assieme colle mura laterali dal pianoterra, palmi diciassette in alcune parti, in altre ventidue, ed in altre trenta, le quali fabbriche furon poi sospese per essere al detto convento ammancate le forze a proseguirle».Viene quindi fornito dettagliato resoconto delle soluzioni alternative adottate dai padri agostiniani anche per mantenere vivo il loro rapporto con i fedeli, pur in assenza di un edificio consono alle funzioni: «Che il divisato convento essendo di noviziato, e conseguentemente di stretta osservanza, i padri di quel tempo si avvalsero per uso di chiesa, e per gli esercizi della di loro religione, di un angusto luogo che servir dovea per sagrestia di detto nuovo tempio e non essendo capiente al concorso del popolo nelle pubbliche funzioni che di continuo vi si sono con tutta devozione celebrate, si è esperimentato che la gente in simili rincontri è stata necessitata uscire nella maggior parte senza essersi perciò permesso esercitarvi atti di pietà; per gli stessi religiosi per l'angustezza di tal luogo, non che per essersi nel decorso del tempo molto lesionato, e reso rovinoso, ed umido non potendovi oggi celebrare convenevolmente i divini offici son costretti recitarli in una punta del corridoio che attacca a detta interina piccola chiesa».
Il Governatore dopo aver incaricato un architetto e un capo mastro muratore, di effettuare il confronto tra il nuovo progetto della chiesa ovvero quello con "nuova pianta più ristretta" con quello di maggiore ampiezza, la cui fabbrica era già stata innalzata per metà, nonché verificare lo stato della chiesetta che i padri agostiniani utilizzavano per le loro celebrazioni, concluse poter dichiarare che «non trattasi di rifrazione ma di un prosieguo della fabbrica antica cominciata sin dall'anno 1741 ... quale tirandosi avanti verrà a formare la chiesa nuova, posta dentro lo stesso sito della vecchia (che fu demolita perché difforme ed incomoda al popolo) con diversa configurazione e più ristretta di quella, vidi benanche con gli esperti medesimi la necessità effettiva che hanno quei frati di proseguire tale fabbrica …perché oltre che tengono il SS. Sacramento in una angusta, umida, lesionata e anzi quasi ruinante interina chiesetta, ridotta sforzatamente a tal uso, non hanno i frati stessi luogo da coriferare e recitar gli officii se non che si avvalgono di un angolo del chiostro corrispondente alla espressata chiesetta con disdicenza non poca ed incomodo del popolo perché non si possono adempiere quelle funzioni chiesastiche che le occorrenze ed i tempi e la devozione del medesimo popolo richiedono».
LA SENTENZA DEFINITIVA
La considerazione conclusiva del Governatore era che «la rifazione di detta chiesa non porta seco alcuna amplificazione della medesima, giacché la prima pianta era della lunghezza di palmi centoquarantadue e della larghezza palmi centotrentadue ed oggi è ristretta in palmi cento e dieci di lunghezza e di altrettanta larghezza, e che l'urgenza sia positiva nemmeno per l'angustezza di quella di cui si sono detti padri agostiniani sin ora serviti, che per essersi la medesima resa umida, e lesionata nelle fabbriche onde minacciano rovine, le quali precipiterebbero altre fabbriche superiori attaccate a uno de' corridori di detto convento, in cui quei padri di presente perlopiù esercitano gli offici della loro religione, conforme il detto con maggiore distinzione rilevasi da una pianta fattane dalli divisati periti formare e dagli atti delle diligenze sull'assunto da me praticate».
Per vari disguidi, questa relazione fu recapitata al Re il 3 ottobre 1771, e solo il 7 luglio dell'anno successivo il Segretario di Stato Carlo de Marco poté notificare al priore del convento agostiniano di Giovinazzo fra Agostino Maria Lezzi la decisione reale ovvero che «Sua Maestà si è degnata di concedere al padre Provinciale degli Agostiniani di Puglia il suo real permesso di potersi continuare la fabbrica della nuova chiesa del convento di Giovinazzo, a condizione di dover rimanere interamente profanata la vecchia chiesa». La dichiarazione del Governatore che «la rifazione di detta chiesa non porta seco alcuna amplificazione della medesima» in realtà risulta essere stata mendace, infatti nella pianta i bracci della croce greca dell'attuale chiesa sono di mt. 36,70 all'interno e di mt. 50,00 all'esterno, misure che sono più vicine a quelle della «prima pianta» le cui fabbriche si sarebbero dovute demolire e non già a quelle di minore valore dichiarate al solo fine di ottenere l'autorizzazione al rifacimento. Quindi non si fece altro che orientare diversamente la chiesa. Perché solo il confronto tra la prima ipotesi di progetto e l'attuale edificio rende più chiara la sostanza dei documenti esaminati, pur nella consapevolezza di operare in modo inconsueto, proponiamo una forzata e singolare ricostruzione planimetrica con leggenda degli ambienti: Chiesa: rosso; Vecchia chiesa: blu; Convento: verde.
L'INSEDIAMENTO DEI PADRI AGOSTINIANI A GIOVINAZZO
di Diego de Ceglia
Quando si parla di S. Agostino a Giovinazzo il pensiero corre immediatamente alla grande cupola che domina il paese, visibile a tutti coloro che arrivano in città dai paesi limitrofi. Ma l'attuale sito della chiesa non corrisponde a quello in cui i Padri Agostiniani ebbero la propria sede al momento dell'arrivo in città.
Sono trascorsi più di settanta anni da quando il 15 novembre 1949 mons. Achille Salvucci elevò a parrocchia quella chiesa ex-conventuale, e per il quarantesimo anniversario dell'evento, la Comunità parrocchiale fece pubblicare un lavoro dello storico giovinazzese don Filippo Roscini, relativo a quel tempio ed alle vicende della comunità monastica degli Agostiniani nella città di Giovinazzo. Don Filippo Roscini, ammettendo la scarsità di fonti documentarie, ipotizzava che l'insediamento dei padri Agostiniani in Giovinazzo fosse avvenuto sin dal X-XI secolo.
Dei documenti custoditi presso l'Archivio Diocesano di Giovinazzo, il più antico, nel quale sono menzionati i padri Agostiniani, risale al 1394 (fondo Spirito Santo perg. n. 48) ma fortuna ha voluto che tra le numerose annotazioni rilevate dallo storico bitontino Eustachio Rogadeo (1855-1920) da alcuni volumi una volta conservati presso l'Archivio di Stato di Napoli e distrutti durante gli eventi bellici del 1943, ben tre del ventennio1318-1340 (Biblioteca Comunale di Bitonto, Ms. Rogadeo A21, ff. 124, 203, 262), siano relative alla "costruzione" del primo convento Agostiniano di Giovinazzo sorto nei pressi delle antiche mura cittadine, da non confondere con l'attuale sito della chiesa di S. Agostino dove i padri si trasferirono soltanto nel secolo XVI.
La prima annotazione tratta dal foglio 266 del Registro Angioino n. 220 e datata 10 novembre 1318 riporta: "Re Carlo d'Angiò scrive al giustiziere di Terra di Bari all'istanza dei religiosi dei frati dell'Ordine Eremitano del Beato Agostino nella città di Giovinazzo i quali in un luogo loro donato avevano cominciato a costruire il convento e chiesa loro ed erano stati molestati in tale costruzione (per) essere troppo vicini alle mura di tale città di Giovinazzo e perciò pericoloso per tale città nelle guerre. Però avendo su di ciò presa diligente informazione ed essendo risultato tale luogo essere uguale ad altri luoghi di Puglia dove sono conventi per la vicinanza alle mura ed alle preghiera della Università di Giovinazzo per le cui elemosine tale convento si elevava toglie ogni impedimento ed ordina fare pregredita tale opera."
Stando alla nota del Rogadeo quindi la costruzione sarebbe cominciata nel 1318 e verrebbe così inficiato quanto Bisanzio Lupis (1475/6-1555) riporta a pag. 39 delle sue Cronache ovvero di aver "sentito" che quel convento esisteva già un secolo prima in quanto il glorioso concittadino Beato Nicola (1197-1256) "passando per Iovinazzo alloggiò al loco vecchio di S. Agostino presso il Fosso."
Qualora quanto riportato dal Lupis fosse realmente accaduto, unica ipotesi è che i padri Agostiniani prima del 1318 fossero già presenti per breve tempo a Giovinazzo, oppure che un secolo prima del loro insediamento "ufficiale" già esistesse una chiesa dedicata al loro Titolare; pare però opportuno segnalare che nei diversi documenti dei secoli XII e XIII nei quali sono menzionate numerose chiese giovinazzesi site sia intra che extra moenia, non ne appare alcuna intitolata a S. Agostino (Cf. Codice Diplomatico Barese, II, Appendice I: Le carte di Giovinazzo, Bari 1899).
La costruzione della chiesa e convento dei Padri Agostiniani, cominciata nel 1318, per quanto sostenuto dalla civica amministrazione (Universitas), non dovè essere semplice. La seconda nota del Rogadeo infatti, rilevata dal foglio 233 del Registro Angioino n. 280 e datata 13 maggio 1330, riporta che "Re Roberto scrive al Giustiziere di Terra di bari ad istanza del Priore e Convento del Monisterio del Beato Agostino dell'Ordine Eremitano di Giovinazzo, ordinando di concedersi al detto Monisterio una via ad esso vicina che comincia da una strada puplica fino ad una certa altra strada puplica di lunghezza di canne 18 circa, da concedersi dopo esame ed intervento dell'Università di Giovinazzo."
Sebbene anche questo documento testimoni la volontà dell'Universitas di voler realizzare la chiesa conventuale, a distanza di ulteriori dieci anni alcuni membri della nobiltà locale si ostinavano a non voler cedere parte di un proprio immobile perchè venisse completato il complesso agostiniano. L'ultima nota del Rogadeo infatti, rilevata dal foglio 324 del Registro Angioino n. 321 e datata 4 novembre 1340, riporta che "Re Roberto d'Angiò scrive al Giustiziere di Terra di Bari ad istanza del Priore e frati del Monisterio di S. Agostino di Giovinazzo dell'Ordine degli Eremitani i quali avendo esposto che non si poteva finire la fabbrica del detto Monistero se non avessero avuto una certa casa vuota appartenente al giudice Francesco de Chiurla e suo fratello della predetta terra i quali in nessun modo la volevano ad essi cedere, ordina stimarsi tale casa per idonea persona di detta terra e distruggersi per tale opera risarcendo del danno detti possessori."
Non ci è dato sapere cos'altro avvenne fino a quando chiesa e convento furono portati a termine, ma oggi è possibile non ritenere più la seguente nota, riportata nelle fonti ufficiali dell'Ordine Agostiniano, come la più antica: "Conventus Iuvenatii tituli S. Augustini in Apulia nominatur ad an. 1454, quo a loco ubi extabat prope moenia ad alium extra civitatem uno stadio procul translatus fuit" (N. Crusenii, Pars tertia monastici Augustinian completens epitomen historicam ... Vallisoleti 1890, p. 478).
L'attuale chiesa e il convento annesso appartennero agli agostiniani di Giovinazzo che, dopo persecuzioni e lunghe peregrinazioni, finalmente nel 1581, si stabilirono sulle rovine dell'antica chiesetta di san Tommaso "sulla via di santa Lucia" ove ora è l'ingresso della Scuola Elementare "Aldo Moro". L'iscrizione collocata sull'architrave del portale d'ingresso fa risalire al 1574 (o secondo altri al 1734) l'inizio dei lavori per la costruzione della nuova chiesa, progettata dall'architetto Barbiero Barba e realizzata ad opera dell'ingegnere giovinazzese Giovanni Mastropasqua.
Dopo varie interruzioni dovute anche a difficoltà finanziarie, l'opera fu completata, a circa un secolo di distanza, dal figlio del Mastropasqua, Giuseppe, architetto di fama, cui si deve la realizzazione della monumentale cupola. I Mastropasqua erano una famiglia che si occupò per generazioni di costruzioni. Un Michele Mastropasqua mastro muratore, nel 1770 diresse ed eseguì i lavori di restauro della Chiesa di S. Maria di Corsignano, volgarmente detta del Padre Eterno.
La facciata si presenta in stile neoclassico a due ordini e timpano con stemma degli Asburgo, riprodotto anche sul pavimento al centro della chiesa. La pianta è a croce greca allungata a tre navate, con cappelle laterali. Lo spazio interno è diviso da quattro grandi pilastri sui quali è impostata la maestosa cupola. Questa, a due calotte di muratura, con soprastante lanterna, poggia all'interno su grandi pennacchi di raccordo, ove possono ammirarsi i dipinti dei quattro evangelisti.
La chiesa termina con il presbiterio e la zona absidale ove è collocato un coro ligneo del XVIII secolo di discreta fattura. Ornano la chiesa, oltre a vari dipinti, altre tele della pittrice giovinazzese Giuseppina Pansini (1892-1981), raffiguranti quattro momenti della vita di sant'Agostino, il battesimo di Gesù, la Madonna del Rosario e le tele della Cappella della Madonna di Lourdes. Risalgono invece sempre al XVIII secolo le quattro tele di Saverio de Musso (1681-1763) raffiguranti la Madonna della Consolazione o della Cintura con sant'Agostino e santa Monica, la Pietà con san Gennaro e san Nicola da Bari, la Trinità con santa Rita da Cascia e santa Chiara da Montefalco, san Vito con il beato Nicola Paglia e sant'Antonio Pierozzi. Nella chiesa di S. Agostino ha sede la Confraternita del Rosario, la cui storia ha molto del romanzesco. A ricordo della vittoria nel 1571 dei cristiani sui turchi nelle acque di Lepanto venne approvata a Giovinazzo l'istituzione dell'arciconfraternita del Rosario che esprime la devozione verso la Vergine invocata sotto il titolo del Rosario. Tuttavia, e qui sta l'aspetto più curioso, vennero approvate nello stesso giorno dal Vescovo due confraternite, entrambe intitolate alla Vergine del Rosario, con l'eccezione che una portava il titolo di Pompei, allora diffuso da Bartolo Longo. Esse furono erette una nella parrocchia di S. Domenico e l'altra nella chiesa di S. Agostino, allora dipendente proprio dal parroco di S. Domenico.
Come è citato da diversi autori «per opera di alcuni preti, amanti di novità, si è stabilita nella chiesa di S. Agostino, la devozione alla Vergine del Rosario di Pompei». La chiesa di S. Agostino ottenne che «fosse arricchita di tutte le indulgenze del Rosario di Pompei, mentre la chiesa di S. Domenico ne è priva del tutto. E quasi ciò fosse poco quei preti per discreditare la chiesa di S. Domenico, vanno spacciando per le case e per le vie che questa chiesa non possiede indulgenze di sorta e che la vera Associazione del Rosario si trova in S. Agostino».
La confraternita di S. Agostino, sin dal suo sorgere, si diede un'insegna e commissionò una statua da portare in processione. Inoltre prendeva parte alle varie processioni cittadine. La confraternita eretta in S. Agostino ed oggi avente sede nella chiesa dello Spirito Santo ha celebrato nel 1996 il 1° centenario della sua fondazione dando alle stampe un opuscolo con note storiche, ma a questo contenzioso non si fa alcun cenno.
Il rapporto fra questa Confraternita e quella di San Domenico ha conosciuto diversi dissapori che si possono conoscere grazie a due dei verbali della Confraternita eretta in S. Domenico. «"la nostra umile associazione di Spirito sin dal suo nascere come forse alle S. V. è noto, è stata invisa e combattuta ingiustificatamente dai promotori della Congregazione del Rosario di Maria di Pompei in S. Agostino. Per quali ragioni ciò facessero, non vogliamo ora discutere, il certo si è che da parte nostra non si è dato mai motivo di attirarci addosso questa persecuzione che non deve certo piacere alla SS. Vergine, che pure profetò che in un solo popolo ed un solo ordine dei persone ovvero in una sola chiesa "mi diranno Beata" ma tutte le genti e per conseguenza ovunque. Gli accennati promotori fino a poco tempo fa dando a credere quello che non ci è e che non vi è stato mai non hanno lasciato intentato presso l'Ill. mo Vescovo nostro mons. Picone nessun mezzo ed a voce e per iscritto allo scopo per vederci sciolti dal nostro santo vincolo di devozione alla Vergine del Rosario in questa chiesa secolare di S. Domenico. Il vescovo però prudente e giusto qual è, mi ha più volte mostrato il desiderio che si gangiasse il titolo alla pia unione ma non ha mai espresso pensieri avversi alla esistenza di essa, dappoichè una congregazione od una pia unione di Spirito del S. Rosario non sono incompatibili nello stesso luogo. E questo è il parere di una persona competentissima interrogata al proposito cioè un religioso domenicano. Le cose stavano a questo punto quando un bel giorno e proprio il dì 7 settembre p.p. con premura fui chiamato nel Palazzo Municipale di questa città unitamente ad altri nostri associati ... alla presenza degli egregi sigg. Cav.Uff. Giuseppe Palombella e Cav. Filippo Marziani il nostro Sindaco e circondati dal Presidente della Associazione del Rosario in S. Agostino Sac. De Pergola ed altri confratelli. Per non esser lungo dico solamente che per insistenza del Cav. Palombella e per ogni riguardo alla persona di lui, che merita, purtroppo, da me e dai nostri (chiamati già alla spicciolata ed alla sprovvista) si addivenne ad un accordo di fusione delle due Associazioni del Rosario in una sola con tutte quelle condizioni che si vollero fissate dai presenti ... E' il compromesso di persone che non avevano dall'assemblea avuto alcun mandato speciale per stipulare un accordo ... fecero pervenire quell'abbozzo di accordo al nostro Vescovo, sorprendendolo ed ottenendo un visto di approvazione, forse facendo credere per già fatto e compiuto ciò che doveva andare ancora soggetto alla discussione dinanzi alla sovranità di una assemblea generale. Ci lasciarono fare la festa del SS. Rosario procurandoci pure qualche dispiacere di cui è meglio tacere e a festa appena passata mi inviarono una copia del voluto concordato col visto del Vescovo e dopo qualche giorno con lettera mi invitavano a favorire nella sagrestia di S. Agostino per porre la pietra sepolcrale alla nostra pia unione. Allora mi vidi costretto ad incomodare le SS. VV. domandandovi: "Piace a voi di unirvi alla congregazione del Rosario di S. Agostino in una sola Associazione? Tutti ad una voce risposero: "Questo mai" ».
L'accordo non fu raggiunto e la confraternita eretta nella chiesa di S. Agostino continuò a vivere autonomamente.