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CANONICI SECOLARI DI SAN GIORGIO o CELESTINI

Stemma dei Canonici di San Giorgio in Alga dal ms. alfa T. 4.12 = It. 556 Ms. c. 46 proveniente da Modena (1605)

Stemma dei Canonici di San Giorgio in Alga

Modena (1605)

 

 

CANONICI SECOLARI DI SAN GIORGIO o CELESTINI

 

 

 

 

La congregazione veneziana dei canonici di San Giorgio in Alga, di osservanza agostiniana, fu fondata da san Lorenzo Giustiniani. Essa si sviluppò nell'Italia settentrionale: di quell'epoca rimangono testimonianze relative ad alcune chiese e monasteri che furono proprietà della congregazione.

 

 

San Giorgio in Braida

 

La chiesa di San Giorgio in Braida con l'annesso monastero furono fondati nel 1046 da Cadalo, da poco eletto vescovo di Parma, e futuro antipapa, che, prima di lasciare la città di Verona, decise di erigere a sue spese questo cenobio benedettino da porre sotto la protezione di san Giorgio. In accordo con Gualtiero, vescovo di Verona, scelse l'area su cui edificare il complesso, provvisto di chiesa e di chiostri e la sua attenzione si rivolse a un terreno a sinistra dell'Adige, subito fuori dalla porta di santo Stefano, di fronte alla Cattedrale, in prato dominico o Pradonego, disteso fra il fiume e la vallis domenica o Valdonica, ai piedi di un mons dominicus o Mondonicus, che corrisponde al colle odierno di san Leonardo. Si tratta di terreni fiscali, che appartenevano al dominus, cioè al Signore della città, che erano diventati poi proprietà della Chiesa veronese. Della prima chiesa costruita poco è rimasto perché, danneggiata dal terremoto del 1117, probabilmente è stata completamente ricostruita.

La presenza di una chiesa d'età romanica è testimoniata dalla torre superstite, sul lato settentrionale della chiesa attuale, mozzata in occasione della costruzione di quest'ultima. Questo campanile è databile al secolo XII. L'originaria chiesa romanica, visibile ancora nel secolo XV, doveva avere l'orientamento canonico, con facciata ad occidente e absidi ad oriente, e quindi occupare parte dell'area della chiesa attuale. Collegata alla chiesa romanica si trovava il monastero interposto all'Adige, con un complesso d'edifici di cui non si conosce l'estensione. Rimane parzialmente solo il fabbricato che alloggia la sagrestia e la sala capitolare. La muratura è composta con blocchi di tufo segato e con ciottoli dell'Adige, a filari alternati, ove resta la traccia dell'arco di una porta romanica. Sul finire del Quattrocento il complesso fu ampiamente rinnovato, dopo la sua cessione, nel 1441, alla congregazione veneziana dei canonici di San Giorgio in Alga, fondata da san Lorenzo Giustiniani. Secondo Giambattista Biancolini, che consultò i documenti d'archivio poi andati perduti, la ristrutturazione del complesso incominciò nel febbraio 1477: "Di questi [canonici] ite le memorie disperse, altro non ci è rimasto a sapere, se non che addì 14 febbraio 1477 dieder principio a riedificare la chiesa e il monastero, che fu ridotto dopo molti anni alla forma che oggi veggiamo".

C'è un ultimo documento, che chiarisce la situazione del monastero ai tempi della sua soppressione napoleonica. E' una perizia di stima dei vari fabbricati del complesso, redatta dall'architetto Luigi Trezza, per fornire la base d'asta per la vendita. Un certo Giuseppe Caperle subaffittandolo vi installò nel primo Ottocento uno zuccherificio.

La perizia, datata 27 gennaio 1813, rammenta la presenza di tre chiostri: un "chiostro principale con porticato all'interno costruito a volta sostenuto da colonne in marmo con fontana di vivo nel mezzo e pochi alberi ... altro chiostro contiguo a detto refettorio avente tre bracci di porticati all'interno costruito a volta con colonne di marmo. In esso chiostro esiste una fontana come il suddetto proveniente, dal condotto delle pubbliche fontane della città ... altro chiostro interno con pozzo nel mezzo e circondato il chiostro stesso da quattro bracci di portico a volto sostenuto da colonne di marmo". I portici dei chiostri erano abbelliti da numerose logge, di cui ne resta una sola addossata alla chiesa. Al primo piano si affacciavano "tre braci di porticato ossia di loggia costruita a volta reale corrispondente al chiostro principale ... spazioso granaio corrispondente ad uno delli due braci di loggia n. 41 con loggiato riguardante sopra il medesimo chiostro ... loggiato successivo a detto bracio di scalone formato a otto luci con colonne di marmo, il tutto appoggiato alla muraglia della chiesa ... due braci di loggiato sostenuto da colonne di pietra", relative ad un altro chiostro.

Antonio Barbacci nei suoi studi ricorda che "gli edifici posti a levante del chiostro furono pure trasformati, come mostrano i resti. Nel corpo del fabbrico costruito dai Benedettini nel secolo XI fu coperta l'aula capitolare aggiunta dagli Agostiniani con una volta a padiglione e lunette, impostata su peduci compositi, e similmente altre sale verso l'Adige. AI piano superiore si ricavarono camere per i canonici, aprendo finestre rettangolari con stipiti di tufo nelle tre pareti; presso l'abside fu creata una saletta, cui si accede per un'ampia arcata marmorea, coperta con volta affrescata a grottesche e illuminata da una grande e ben disegnata bifora". Alcuni dipinti, disegni e varie stampe testimoniano come doveva presentarsi la nuova fabbrica fra il chiostro e l'Adige: visto dal fiume il nuovo monastero mostrava tutta la sua imponenza. Verso il 1640 ne dà una ammirata descrizione Giacomo Filippo Tommasini, storico ufficiale della congregazione. Qualche anno prima Adriano Grandi, un canonico letterato, aveva cantato in versi il monastero, che abitava, con grande enfasi:

 

Scopri ove s'erge al Gran Guerriero il tempio,

che dal serpe salvò regia donzella;

e trasse una città dal demon empio,

rendendola fedel d'altera e fella.

Ivi scivo talhor, penso, contemplo:

mi lega amor del Cielo in breve cella,

a me più grata che i palagi e l'oro,

ove del cielo il gran Monarca adoro.

lvi si stanno in santa pace i figli,

de l'Alga, cara a me come la vita.

Odo, ricevo, dò sani consigli,

me questo e quello co' suoi pregi aita

lo mostro a questo e quello i gran perigli

c'hanno dal cielo l'anima sbandita.

Aretro 'l piè dal serpe insidioso,

che sta nel mele de' piaceri ascoso.

In quanto però può nostra natura,

ch'è una nebbia terrena, un vetro frale,

in questo nobil chiostro ogn'un procura

da l'humil terra al ciel di spiegar l'ale.

Obedisce a chi regge, ha somma cura

di ricever il pan santo e vitale.

Canta di notte, e ai matutini albori

le grandezze di Dio, gli alti favori".

 

L'ingresso al monastero era quasi a ridosso della chiesa, con prospetto ortogonale alla facciata, direttamente su piazza San Giorgio. Il grande complesso, dopo la sua ricostruzione, conobbe un periodo di declino che coincise con la sorte della congregazione di San Giorgio in Alga. Economicamente fiorente, il 6 dicembre 1668, la congregazione col breve Agri Dominici curae, fu soppressa da Clemente XI per assicurare ai Veneziani i mezzi economici necessari alla guerra contro i Turchi. Ai religiosi venne data facoltà di entrare in un altro ordine, oppure di restare sacerdoti secolari con diritto di percepire una pensione annua. Il monastero alienato fu acquistato nel 1669 dalle monache di Santa Maria di Reggio per il prezzo di 10.500 ducati, esclusa la chiesa e il campanile, con le sacre suppellettili, di cui fu concesso solo l'uso.

Si deve alle monache di Santa Maria di Reggio la costruzione della canonica sul fianco settentrionale della chiesa, su disegno di Luigi Trezza, e altri lavori di minor conto eseguiti nel monastero. Le monache di Santa Maria di Reggio rimasero a San Giorgio fino alla soppressione napoleonica. Anche la parrocchia fu soppressa nel 1807 e la chiesa divenne oratorio sussidiario di Santo Stefano. Il monastero, posto in vendita, fu acquistato dal sopra citato Giuseppe Caperle. Buona parte del monastero fu distrutto forse nel 1816. L'oratorio del Crocefisso fu demolito nel 1836 quando, abbattute le mura e i torresini scaligeri, si costruirono, quasi a ridosso della chiesa, i nuovi baluardi austriaci. L'autorità militare acquistò buona parte dei terreni e dove erigere i nuovi bastioni. Si ipotizzò di distruggere anche la chiesa di San Giorgio.

La chiesa non fu abbattuta, ma fu atterrato nel 1837 "la maggior parte di esso monastero", assieme all'edificio d'accesso al monastero su piazza San Giorgio, all'intero fronte sull'Adige, alla chiesa e all'oratorio del Crocefisso. Dell'antico complesso restò solo una parte del chiostro cinquecentesco e l'ala orientale dei fabbricati.

 

 

 

Chiesa di san Pietro in Oliveto

a Brescia

 

Antonio Vivarini e Giovanni d'Alemagna San Pietro, Sant'Orsola e le Vergini martiri, San Paolo 1443 - 1444 circa Brescia, Seminario Vescovile da Brescia, da San Pietro in Oliveto

Antonio Vivarini e Giovanni d'Alemagna

San Pietro, Sant'Orsola e le Vergini martiri

da San Pietro in Oliveto

La chiesa di San Pietro in Oliveto a Brescia era retta, dal 1437, dai canonici di San Giorgio in Alga di Venezia. Conserva oggi tre tavole che facevano parte di un polittico. L'opera evidenzia uno spiccato carattere tardogotico, in sintonia ideale con le prove lombarde di Masolino da Panicale. Le tavole sono attribuite ad Antonio Vivarini che operava, dal principio degli anni quaranta, in società con il cognato Giovanni d'Alemagna.

 

 

 

Il convento di san Giacomo

a Monselice

 

Le vicende del cenobio di san Giacomo in Monselice, allo stesso tempo ospizio, monastero e collegiata, costituiscono alcuni dei momenti più importanti della vita religiosa padovana e veneta. La costruzione di san Giacomo è ricordata in un documento datato 6 marzo 1162. Nel testo si afferma che tra i Consoli di Monselice ed il Canonico di Ferrara Guido si stabilì un accordo per la cessione di un terreno comunale incolto "causa ellevandi et ordinandi atque edificandi hospitale in cibis et potibus et refectionibus pauperum." Si voleva cioè costruire ed organizzare un ospizio per accogliere e sfamare poveri e pellegrini di passaggio. L'istituzione è dedicata all'Apostolo Giacomo Maggiore, ritenuto nel medioevo Patrono dei pellegrini, del quale si può ammirare nella chiesa del convento una pala d'altare dipinta forse da Palma il Giovane. L''ospizio si trasforma ben presto in monastero benedettino doppio dove alloggiano cioè sia frati che suore e viene unito alla congregazione padovana dei monaci "albi". Il convento nel XIII sec. acquisisce importanza in parallelo al progredire del valore strategico che Monselice, città murata, assume nel conflitto tra la Chiesa e l'Impero. La città parteggia per Federico II di Svevia seguendo la politica del suo vicario Ezzelino III da Romano: tra il duecento ed il trecento, Monselice è al centro di operazioni militari che hanno conseguenze pesanti per i suoi abitanti. La crisi del convento si aggrava così tanto che nel 1420 il vescovo di Padova, Pietro Marcello, promuove la riforma del convento e lo affida ai Canonici veneziani di San Giorgio in Alga. di osservanza agostiniana.

Questi lo reggeranno sino al 1668, anno della soppressione del loro ordine. Durante la loro presenza il monastero vive il suo periodo di massimo splendore. Viene totalmente ricostruito: sorgono due splendidi chiostri, di cui ne resta solo uno con delle brune colonne di tracheite, con al centro la cisterna. In mezzo sorgeva il refettorio dei monaci decorato dal Moretto da Brescia con una splendida cena. Al Seicento risale la ristrutturazione della salita delle Sette Chiesette, progettata dallo Scamozzi. Oltre la villa e la chiesa di San Giorgio, i Duodo, fanno erigere sei cappelle presso le quali i visitatori possono lucrare le stesse indulgenze che i pellegrini acquistavano visitando le sette Basiliche romane. A proposito della vita e dell'ambiente che si trovava nel monastero il Tomasino, annalista della Congregazione di San Giorgio, scrive che: "dalla parte meridionale ed orientale del convento si ha una vista giocondissima sull'orto cinto di mura ... ornato con arte speciale da vari alberi. Così qui trovi vicino senza tanta fatica quanto è più piacevole agli occhi ed al palato". Quando nel 1668, papa Clemente IX sopprime la Congregazione dei Canonici di San Giorgio, concedendo alla Repubblica Veneta tutti i beni di proprietà della medesima, il convento di San Giacomo diventa proprietà del Pio Ospedale della Pietà di Venezia.

 

 

Chiesa di S. Rocco

a Vicenza

 

Chiesa di san Rocco a Vicenza

Chiesa di S. Rocco

Nell'aprile del 1485 scoppiarono alcuni casi di peste nel borgo di Portanova a Vicenza. Per contenere la paura si deliberò la fondazione di una chiesa intitolata a San Rocco, protettore degli appestati. Il 16 maggio, con il concorso del comune venne posta la prima pietra. La costruzione si protrasse alquanto con alterne vicissitudini. Verso il 1530 la chiesa venne prolungata verso oriente e fu innalzata una nuova facciata. La paternità del progetto viene attribuita a Lorenzo da Bologna, anche se la realizzazione fu portata a termine, forse fino al 1510, da Rocco da Vicenza. La nuova chiesa venne affidata ai Canonici Secolari di San Giorgio in Alga, una congregazione di regola agostinina sorta a Venezia alla fine del sec. XIV Qui un gruppo di nobili, chierici con alcuni laici, facendosi portavoce delle istanze di rinnovamento avevano portato una ventata di novità nel mondo religioso. La spiritualità si fondava sulla meditazione, la vita comunitaria e la povertà: per queste caratteristiche i canonici secolari di san Giorgio erano subentrati spesso nella gestione di conventi e abbazie ormai in declino. Già presenti a Vicenza in S. Agostino e a Lonigo, in San Fermo, i Celestini, così chiamati dal colore della tunica, si trasferirono a san Rocco nel maggio del 1486.

Poco dopo nel 1488 ottennero la facoltà di istituire un monastero, dove rimasero sino al 1668, quando l'ordine venne soppresso dal papa. A reggere la chiesa di San Rocco furono chiamate allora le Carmelitane di Santa Teresa, dette Teresine, appartenenti ad una congregazione di antichissima origine (i Carmelitani erano nati alla fine del XII secolo). Dai documenti risulta che il loro servizio in San Rocco fu sempre svolto con cura: più numerose dei Celestini, annoverarono tra le loro monache fanciulle di illustri famiglie vicentine. Di quest'epoca è noto soprattutto la nuova funzione del complesso, che trasformato a sede dell'Istituto degli Esposti. I neonati, di nascita illegittima o con handicap psicofisici o ancora appartenenti a famiglie non in grado di mantenerli, venivano lasciati presso la ruota dietro la porticina che si apriva lungo la parete sinistra della chiesa.

 

 

Abbadia Celestina di San Paolo di Valdiponte

a Civitella Benazzone (Perugia)

 

L'abbadia si trova su un promontorio che sovrasta la valle del torrente Resiana poco distante dal corso del fiume Tevere. Solo alcune parti rimangono del vecchio edificio: la torre alta m. 20, la facciata occidentale della chiesa, il muro esterno del refettorio lungo m. 44, la zona di abitazione sul lato meridionale e una porzione della torre d'angolo sud-est. Quasi tutti gli edifici ancora esistenti furono eretti nel XIII secolo. La facciata della chiesa fu ricostruita nel XIV secolo e il complesso meridionale degli edifici venne modificato e rafforzato nel seicento. Non è noto l'archivio dell'Abbadia, ma da altre fonti risulta che essa esisteva fin dal 1109 come casa Benedettina e si chiamava San Paolo di Valdiponte. Una data di consacrazione del 28 maggio 1100 è registrata da un autore secentesco. L'Abbadia ospitava forse 10 monaci e possedeva un patrimonio fondiario nelle vicinanze e in altre località della diocesi di Perugia e Gubbio. Godeva inoltre di vari diritti su alcune chiese. Nel 1468, essendo la sua vita religiosa in declino, fu tenuta in commendam dal cardinale Latino Orsini. Su sua richiesta, l'Abbadia di San Paolo, con la chiesa di San Salvatore in Lauro, a Roma, fu concessa da papa Paolo II alla congregazione di San Giorgio in Alga di Venezia. L'Abbadia prese il suo attuale nome di Celestina dagli abiti celesti dei canonici di San Giorgio. Nel 1668, in seguito alla soppressione della congregazione il papa ne confiscò le entrate. L'Abbadia continuò ad essere retta in commendam fino al 1771, quando il commendatore la concesse alla provincia romana dei cistercensi. Nel 1817 un cappellano officiava ancora nella chiesa, ma l'abbadia non era più abitata da monaci.

 

La Chiesa

La cripta è la parte più antica della chiesa che è sopravvissuta. Si conservano ancora due absidi: il resto della cripta è suddiviso in tre coppie di recessi con archi gemelli. Il soffitto a volta della cripta era sostenuto al centro da due colonne. L'estremità orientale della chiesa in origine era di forma absidale. La cripta era stata costruita all'interno di una chiesa romanica precedente, e l'attuale navata del XIII secolo si congiunge alla cripta formando quasi un angolo. Non sono state trovate tracce di occupazione precedente alla costruzione della chiesa, tuttavia, chiusi dall'ultimo pavimento e tagliati nel letto di malta di un pavimento precedente, si sono trovati dei pozzi, che venivano usati per la fusione delle campane dell'abbadia. Recenti scavi hanno riportato alla luce molti pezzi delle forme d'argilla, di cui alcuni erano impressi con le lettere dell'iscrizione. Si sono ritrovati frammenti di metallo e scaglie caduti durante la fusione, la cui analisi ha dimostrato che era stato impiegato il 20-25% di bronzo stagno. Le forme erano di argilla e paglia tagliuzzata, forse avena, come legante. La forma era stata portata ad un calore di almeno 400-500 °C: nel suo trattato del XII secolo "De Diversis Artibus", Teofilo quando parla della fusione delle campane descrive come la forma dovrebbe essere cotta ad altissimo calore prima di colarvi il metallo, onde evitare che si spacchi durante la fusione. Uno dei pozzi più piccoli conteneva una moneta bronzea di Perugia (1395-1471) e l'esigua quantità di ceramica proveniente dai pozzi indica che la fusione della campana ebbe luogo nell'ultimo quarto del secolo XV o successivamente, quando l'abbadia era occupata dalla Congregazione di San Giorgio in Alga. Sembra probabile che molti dei cambiamenti del complesso degli edifici attorno al chiostro si riferiscono tutti all'occupazione della Congregazione di San Giorgio in Alga.

 

 

Chiesa di san Calogero

a Naro

 

Non si hanno notizie dell'epoca in cui fu costruita la chiesa di San Calogero. Si pensa tuttavia che la fondazione della chiesa sia anteriore al convento, poichè sembra che una chiesa dedicata a San Calogero sia stata edificata verso il 1436, al tempo di Papa Eugenio IV. Il convento fu fondato dai Padri di San Giorgio in Alga nel 1543, sotto il pontefice Paolo III. Il 29 giugno dello stesso anno, la chiesa fu concessa dal vescovo d'Agrigento P. Pietro D'Aragona e Tagliavia ai Padri di San Giorgio in Alga, essendo giurati della Città Placido Camastra, Giovan Battista Gueli, Antonio Di Sazio e Giulio Mazza. I Padri di San Giorgio in Alga, chiamati così perché avevano la loro casa principale nell'isola di San Giorgio in Alga a Venezia abbellirono ed ingrandirono la chiesa. Tennero la chiesa ed il convento fino all'abolizione del loro ordine. Il complesso religioso fu acquistato dai Padri Minori Conventuali di san Francesco con atto del 4 aprile 1672, rogato dal notaio Lorenzo Favara, per la somma di cinque mila scudi, con la condizione di mantenere lo studio di Filosofia e vegliare sul culto del Protettore San Calogero. La chiesa fu restaurata varie volte, nel 1666, nel 1748 (anno inciso nell'architrave della porta principale), nel 1819 (quando fu riportata alla luce la cripta del Santo), nel 1950 e nel 1957. La chiesa si presenta ad unica navata con profonda abside e presenta dipinti di D. Bennardino Buongiovanni e di P. Domenico Di Miceli. L'attuale struttura rispecchia l'impianto seicentesco.