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Immagine miniata di Dante con la sua Commedia
DANTE UOMO DEL MEDIOEVO
Appunti della relazione del 3 settembre 2021
di Alessandro Ghezzi
1. Introduzione: contesto storico. Cosa succedeva in Europa nell'anno 1300.
2. La situazione politica di Firenze.
3. Le caratteristiche dell'uomo medievale. Come Dante si identifica in queste.
4. Dante intellettuale e filosofo
5. La teoria politica di Dante: la teoria delle due spade.
6. La pratica politica di Dante: Firenze e l'esilio.
7. L'avvio dell'Umanesimo: Dante umanista?
8. Conclusione
1. Introduzione: contesto storico. Cosa succedeva in Europa nell'anno 1300.
Dante uomo e politico medievale, Dante come personaggio del Medioevo. L'uomo medievale è sempre integrato nella società, non può essere studiato senza conoscere il contesto specifico, le realtà economiche, sociali e culturali in cui è inserito. Quindi parliamo innanzitutto del Medioevo.
Sì, ma quale Medioevo? Prendiamo come riferimento l'anno in cui è ambientata la Commedia: il 1300. Siamo in pieno Medioevo, ma il Medioevo della fine del Duecento non è quello di Carlo Magno e del feudalesimo, né quello dell'anno Mille della rinascita agricola, ma neanche quello dell'inizio del 1200. Ed è un periodo in cui c'è diversità nell'evoluzione delle varie parti d'Europa: in Germania è iniziato il processo che porterà la nobiltà ad essere via via più indipendente dal potere imperiale che sarà via via più debole, in Francia e Inghilterra è già in corso il processo di costruzione di uno Stato nazionale (che dovrà poi passare dalla Guerra dei cent'anni), la Spagna è ancora divisa tra mori e regni cristiani, nell'est europeo domina l'orda d'oro mongola...
L'Italia. Nel XIII secolo la rinascita urbana raggiunge l'apice: lo si vede nell'evoluzione dei comuni italiani, che a metà Duecento raggiungono il loro massimo successo, con un modello di autogoverno sostanzialmente inedito: città indipendenti, senza un padrone, che attraversano varie fasi (aristocratico-consolare, podestarile, popolare): esperimenti di democrazia mai visti (arengario). Già dalla metà del Duecento, alcuni iniziano la loro evoluzione in signoria (Este dal 1240, Della Scala dal 1263, Visconti dal 1277). L'altra novità, è che i Comuni italiani fondano la loro prosperità sui commerci e su nuovi valori: il Dio denaro si affianca al Dio cristiano.
Nel XIII secolo abbiamo quindi una svolta, un'importante evoluzione sociale in questa realtà. La società si fa più dinamica e complessa: Arti maggiori e minori e tantissime professioni, su tutte le nuove figure spicca quella dei banchieri (con cui Dante avrà spesso a che fare, prendendo spesso denaro a prestito – mito di Dante povero).
2. La situazione politica di Firenze.
Scendiamo ancora più nel dettaglio: Firenze. Che è il caso che più ci interessa e un po' il paradigma dell'evoluzione del Comune italiano. Nella seconda metà del Duecento e nei primi anni del Trecento è probabilmente il più democratico dei grandi Comuni italiani, quello che più resiste all'evoluzione in signoria. Mentre negli altri comuni, infatti, si affermano famiglie nobili, nel 1250 a Firenze nasce il comune di popolo: il "governo del primo popolo" estromette i nobili dalle cariche cittadine. La democrazia resiste: più di 600 cittadini sempre in carica nei vari consigli cittadini (consiglio dei 100, consiglio dei savi), rinnovati ogni 6 mesi. Al vertice 6 priori, rinnovati ogni 2 mesi.
In questa situazione politica abbiamo il famoso contrasto tra guelfi e ghibellini. Spiegazione dei termini. Conte Welf e castello di Weiblingen: nomi tedeschi (XII secolo), ma in verità è proprio a Firenze che nasce questa forte distinzione tra due "partiti politici" che poi si allarga a tutta Italia: sostenitori del papa e sostenitori dell'imperatore (come vedremo, divisione spesso strumentale).
Decenni di lotte: 1248 cacciati i guelfi, 1251 cacciati i ghibellini, 1260 battaglia di Montaperti (vittoria ghibellina, Farinata al potere), 1266 battaglia di Benevento, sconfitta Manfredi e definitiva cacciata dei ghibellini da Firenze. 1289, battaglia di Campaldino (cui partecipa Dante): ghibellini (che avevano l'ultima roccaforte in Arezzo) definitivamente sgominati.
In seguito, spaccatura dei guelfi in bianchi e neri, più per motivi economici (finanziamenti alla Chiesa) e personali (rivalità tra famiglie) che politici: Cerchi leader dei Bianchi, Donati leader dei Neri. Dante, come si sa, parteggia per i Bianchi. Poi ci torniamo.
3. Le caratteristiche dell'uomo medievale. Come Dante si identifica in queste.
Questo quindi il quadro in cui ci muoviamo. Avviciniamoci ora all'argomento della nostra serata. L'affermazione che Dante sia un nuovo pienamente appartenente al Medioevo e alla sua mentalità penso sia abbastanza accertata e non ha bisogno di dimostrazioni. Anzi, quasi viene ormai affermata come una cosa scontata. Ma da cosa possiamo capire che Dante è uomo del Medioevo?
Partiamo dalla definizione. Cos'è l'uomo medievale? O meglio, come pensa l'uomo medievale? Aiutandoci con Le Goff, possiamo dire che la religiosità è la prima è più importante caratteristica: quando si pensa a un uomo del Medioevo, pensiamo a un uomo che crede. Sono rari, i non credenti. L'uomo è una creatura di Dio, e a Dio rende conto di tutto ciò che fa. L'uomo è materia e spirito, corpo vs anima.
Da questa religiosità derivano alcune "ossessioni" dell'uomo medievale, che ritroviamo in pieno nella Commedia (immagini):
- Il pensiero rivolto all'aldilà, che però per alcuni aspetti è un "aldiqua": inferno, purgatorio, paradiso (+ limbo) con una concezione più "immanente" di quanto intende oggi chi crede. Dante racconta l'esistenza "fisica" di questi luoghi (porta dell'inferno, il paradiso terrestre su un'isola in mezzo all'oceano, oltre le colonne d'Ercole, meta di Ulisse).
- Il peccato (i vizi): struttura inferno. Uomo ossessionato dal peccato.
- Il soprannaturale che interviene nel visibile, non c'è una barriera: provvidenza divina e lo stesso fatto che Dante, come sottolinea più volte, va in carne ed ossa all'inferno.
- La mentalità simbolica. Agostino: "il mondo è composto di signa e di res". Res, le cose rispondenti unicamente al criterio dell'esistenza, e signa, le cose che rimandano ad altre cose (De doctrina christiana). Commedia opera simbolica (la selva oscura, le fiere simbolo del peccato, il carro che vedremo).
- La numerologia: 100 cantiche, 3 canti da 33 ciascuno (+1) per visitare 3 regni con 3 guide (Virgilio, Beatrice, San Bernardo), terzine di endecasillabi a rima incatenata, nell'inferno 9 cerchi (3x3), 3 fiere e 3 fiumi da superare. Struttura sempre a 9 per Purgatorio (cornici) e Paradiso (cieli).
Aggiungiamo che Le Goff afferma che la concezione dell'uomo nel Medioevo è l'homo viator, l'uomo in cammino su questa Terra, il pellegrino: come non rivederci il viaggio di Dante nell'aldilà?
Più prosaicamente, ci sono anche aspetti della sua vita privata che caratterizzano facilmente Dante come uomo del Medioevo: - il caso di Geri del Bello (Inf. XXIX, cit. [1]) cugino di Dante che è sdegnato con lui perché la sua morte (avvenuta per mano della famiglia Sacchetti) non è stata ancora vendicata. La vendetta era legittimamente accettata.
- Il suo matrimonio: sanno anche i sassi del suo amore per Beatrice, ma dopo la sua morte Dante si sposerà con Gemma Donati (nobile). Un matrimonio "di convenienza", com'era normale all'epoca: quando Dante va in esilio, non si rivedranno probabilmente più.
4. Dante intellettuale e filosofo
Quindi Dante è un uomo del Medioevo. Ma cosa fa nella vita? Con il linguaggio di oggi, diremmo che sin da giovane fa lo scrittore, o forse meglio, l'intellettuale. Nel Medioevo però il termine intellettuale non esiste ("inventato" a fine ‘800). C'è il letterato, colui che lavora con la parola e non con le mani. Dante è così? Sì, ma con tre caratteristiche particolari rispetto al letterato "standard" medievale: è fuori posto rispetto agli intellettuali medievali (legati alle scuole cattedrali o alle università, esilio, cit. [2]), è iscritto a una corporazione (ci torniamo), è impegnato in politica (nuovo impegno del letterato nel XIII secolo, scelta tra guelfi e ghibellini di cui dicevamo).
Dante, comunque, si considera un uomo di pensiero, meglio, un filosofo: si occupa di indagare "la vera felicitade che per contemplazione della veritade s'acquista" (Convivio, III, xi).
Quindi sì, Dante è ovviamente un intellettuale per il senso che abbiamo oggi del termine. E in quanto tale, si occupa dei temi affrontati dagli intellettuali all'epoca.
Su tutti, Dante dedica tanto spazio all'amore e il rapporto con la donna. Interessante vedere come si evolve:
- è il tema dei primi esperimenti letterari di Dante;
- ripresa dello stilnovo e della dottrina di Guinizzelli e Cavalcanti (cor gentil): legame tra amore e nobiltà d'animo (Vita nuova/Convivio). Cit. [3];
- dopo la tragica scomparsa di Beatrice, aggiunge però il tema della morte dell'amata;
- a 25 anni si dedica agli studi filosofici, il nuovo amore per la bellezza del vero: "La bellissima e onestissima figlia de lo imperadore de lo universo, a la quale Pittagora pose nome Filosofia" (Convivio, II, xiv)
- infine, però. il Dante della Commedia va oltre la filosofia: non a caso è Beatrice, non Virgilio a guidare Dante in Paradiso. La filosofia non basta per la beatitudine: è una preparazione alla teologia. L'amore giovanile "fisico" di Dante viene sublimato in amore spirituale.
- quindi Dante opera una revisione della dottrina stilnovistica dell'amore: Francesca, tipica donna "gentile" è posta all'inferno, anche se, in verità, con opposti sentimenti da parte di Dante: pietà e condanna. Cit. 3b. La stessa duplicità caratterizza Dante anche con altri personaggi che condanna ma ammira (es. Ulisse), a testimonianza della sua fede ma della sua empatia per la condizione umana.
5. La teoria politica di Dante: la teoria delle due spade.
Dante parla poi, ovviamente, di politica. È il suo interesse principale. Distinguiamo qui il Dante teorico dalla sua pratica politica. Parliamo prima del teorico, e qui faremo un po' di letture. Quali sono le idee politiche di Dante? Purgatorio canto XVI (Marco Lombardo): siamo a metà della Commedia, qua Dante espone la famosa teoria dei due soli. Cit.[4].
Dio ha dettato la necessità di due poteri, Impero e Chiesa. I due soli hanno gli stessi sudditi e la stessa estensione, sono poteri universali, ma distinti fini e giurisdizioni: la guida degli uomini su questa Terra e la salvezza delle anime. Quindi non dovrebbe esserci conflitto. Il conflitto nasce quando uno si intromette nella sfera dell'altro. La donazione di Costantino (inciso, verrà smentita da Valla nel XV secolo) ha indebolito l'autorità imperiale e fatto sorgere cupidigia nella Chiesa, che ha tradito la sua missione spirituale e ha tentato di assoggettare l'impero. Da qui, il caos politico sulla Terra, perché, al momento, "l'un l'altro ha spento".
Qui ci sono influenze gioachimite (dall'eretico Gioacchino da Fiore, diffuse nella Firenze dell'epoca): la Chiesa corrotta dal potere temporale, identificata nel mostro dell'Apocalisse.
Da qui deriva una delle immagini più particolari di Dante: l'Allegoria del carro del paradiso terrestre. Cit. [5]
Tutto nasce dalla donazione di Costantino (l'aquila che dona una piuma al carro). Dante nelle sue opere si scaglia direttamente almeno 5 volte contro la donazione: 2 volte nella Monarchia, una volta nell'inferno, una volta nel purgatorio, una nel paradiso. Dante accusa più volte la Chiesa di essere corrotta: Odio di Dante in particolare per Bonifacio VIII (che come vedremo ha avuto un ruolo importante per la sua vita privata), "lo principe dei nuovi Farisei", colui che ha trasformato la tomba di Pietro in "una cloaca del sangue e de la puzza". Nel 1300 Bonifacio non era ancora morto, ma a Dante in Inf. XIX viene profetizzato che sarà dannato tra i simoniaci.
Nella Monarchia questi temi sono trattati più esplicitamente. Nell'ottimismo di Dante i due poteri devono e possono coesistere con fini diversi. C'è in Dante la convinzione della missione di Roma e del potere imperiale nella storia del mondo. La monarchia romana è voluta da Dio per gestire l'umana cupidigia in preparazione al ritorno di Cristo. Necessaria quindi una riforma spirituale nella Chiesa, ma non basta: serve anche una riforma dell'autorità imperiale, che torni ad essere un faro per l'umanità. Necessaria quindi una duplice riforma.
Così come Costantino ha fatto il "danno", un nuovo imperatore è chiamato a porvi rimedio (il Veltro, citato in diversi passaggi). Ristabilita l'autorità imperiale, la Chiesa sarà obbligata a tornare alla sua missione unicamente spirituale. Solo così torneranno a splendere i due soli, le due guide per il duplice cammino dell'uomo: per la felicità terrena e per la beatitudine celeste. Finiranno così le lotte tra papato e impero.
Dante, comunque, si sente il profeta di questa rinascita, il profeta del Veltro. Dante, pur guelfo, pur molto religioso, nella Commedia si spinge a criticare gli alti prelati (oltre a Bonifacio altri 3 papi, Celestino V, Niccolò III, Clemente V, all'inferno!) proprio perché si sente investito di una missione divina, e sarà San Pietro a dargli ragione (cit. [6]).
Non per nulla la teoria di Dante è condannata dalla Chiesa: Monarchia messa al bando a fine 1300.
6. La pratica politica di Dante: Firenze e l'esilio.
Quindi l'Italia nel caos politico è diventata un caos: "Ahi serva Italia, di dolore ostello / nave sanza nocchiero in gran tempesta / non donna di province, ma bordello" (Purg. VI, Sordello). E Firenze per il Dante della Commedia e della Monarchia è l'esempio più lampante della mala politica: perché è la prima città dov'è maturata la mentalità borghese affaristica; perché la politica non è più guidata da valori, ma dal calcolo; guidata da una generazione di uomini freddi, che aspirano al guadagno e al successo. Anche su questo Dante appare fortemente medievale: rispettoso dell'ordine divino, poco profetico dello sviluppo politico e quasi reazionario.
Apriamo quindi il capitolo della pratica politica di Dante, ma facciamo un passo indietro. Commedia ambientata nel mezzo del cammin di nostra vita, nel 1300: ma cosa faceva Dante in quell'anno? Si trovava in una selva oscura, cioè oltre a ricercare la verità solo tramite la ragione, era pure ai vertici della politica fiorentina (diventa priore nell'estate del 1300). Fa politica ad alti livelli praticamente ininterrottamente dal 1295 all'esilio.
Per fare politica all'epoca bisognava aver soldi (li aveva), essere guelfi (lo era) e non essere nobili (Firenze era un comune di popolo dal 1250, governava la "borghesia", il "popolo grasso", cioè chi svolgeva attività economiche). Dante è uomo di popolo? Sì, non è cavaliere e non ha parenti stretti cavalieri, anche se il suo rapporto con la nobiltà è complesso e controverso. Inciso: lo stesso termine "nobile" (che all'epoca era poco usato, si usava gentili o magnati) aveva confini molto labili, non era facile definire chi era nobile e chi no. Per semplificare, il Comune di Firenze aveva deciso che erano nobili le famiglie che avevano dei cavalieri.
Perché un rapporto controverso? Dante fa politica nel comune popolare, ma parla a favore e vota per la mitigazione delle limitazioni ai magnati (1295, prima volta che parla in comune); è iscritto a una corporazione (medici e speziali, proprio in seguito a quella legge lo può fare), quindi si spaccia per "lavoratore", ma non lavorava (viveva di rendita); nelle Dolci Rime e poi ancora nel Convivio, sulla scia di una lunga tradizione, dice che la nobiltà di sangue non esiste (esiste solo la nobiltà d'animo individuale, la virtù, il cor gentil), ma in verità molti dei suoi amici sono nobili (Cavalcanti) così come la moglie. Quindi frequenta molto spesso i nobili e forse li invidia, arrivando a criticare "la gente nuova e i subiti guadagni" (Inf. XVI) che hanno portato alla decadenza di Firenze, o a inorgoglirsi quando "scopre" di avere un antenato Cavaliere (il trisnonno Cacciaguida, Par XV: Poi seguitai lo ‘mperador Currado / ed el mi cinse de la sua milizia / tanto per bene ovrar li venni in grado.)
Torniamo all'attività politica: Dante, quindi, governa nella Firenze guelfa e popolare, ma fautore di una politica moderata nei confronti dei nobili. L'apice della carriera di Dante è nell'anno 1300. Proprio in quell'anno si acuisce la rivalità tra bianchi e neri con i primi scontri. La città si spacca, Bonifacio VIII invia un cardinale per mettere pace, vengono espulsi magnati di entrambe le fazioni, poi rientreranno solo i bianchi (in maggioranza al governo del comune).
Nel novembre 1301, si consuma il dramma. Dante è ambasciatore a Roma quando proprio papa Bonifacio VIII (ecco il perché delle critiche) promuove un colpo di Stato dei neri a Firenze, grazie all'ingresso a Firenze dei francesi (Carlo di Valois, fratello del re). Violenze e vendette da parte dei Neri.
All'inizio del 1302 si è quindi consumata la catastrofe politica ed esilio. Dante e altri guelfi bianchi vengono condannati per baratteria in contumacia. Nonostante la professata fede guelfa, Dante è uno dei principali fautori di un accordo con i ghibellini per cacciare i neri da Firenze: il partito degli esuli. Dante all'Inferno X incontra Farinata degli Uberti, considerato il grande nemico in quanto storico capo dei ghibellini, e fa dire proprio a lui che la sua famiglia è di provata fede guelfa: "Fieramente furo avversi a me e a miei primi e a mia parte, sì che per due fiate li dispersi". Poi, però, fa accordi con suo figlio. (Convegno di San Godenzo, 8 giugno 1302).
Nel 1304 scrive al cardinale Nicolò da Prato, mandato dal nuovo papa Benedetto XI a pacificare Firenze, a nome del partito bianco, rivendicando di essere dalla parte giusta nella guerra civile "Cos'altro chiedevano le nostre candide insegne, e per cos'altro erano rosse le nostre spade, se non che fossero costretti a sottomettersi alla legge, e obbligati a dare pace alla patria, quelli che si erano permessi di troncare la convivenza civile?"
Però la prospettiva di un rientro man mano si allontana. Alla fine del 1304 Dante si stufa e decide di fare "parte per se stesso": persa sia la patria sia il partito bianco. Inizia il peregrinare (Bologna, Verona, ecc fino a Ravenna). L'ultima speranza sarà l'imperatore Enrico VII, che tra il 1311 e il 1313 sembra sul punto di poter restaurare il potere imperiale in Italia. Ma è una vana speranza. Da questo suo progressivo avvicinamento all'impero nasce la definizione di "ghibellin fuggiasco" (usata da Foscolo per definire Dante nei Sepolcri) e, come abbiamo visto, la teoria politica esplicitata nella Commedia la Monarchia (dov'è cambiata anche la concezione di nobiltà: una persona è nobile grazie alla propria virtù o a quella dei suoi antenati: riabilitata la nobiltà di sangue).
Diventa infine "esule solitario e impotente" (Auerbach), chiedendo anche più volte perdono al governo di Firenze: è la sua resa politica (exul immeritus, Tre donne intorno al cor, cit. [7]). C'è da dire che l'esilio influenza tantissimo la sua opera: probabilmente senza esilio non avremmo avuto la Commedia che rappresenta quella missione di cui abbiamo parlato. "Egli fu capace di superare la prova e di trarne il più enorme arricchimento" (Auerbach)
7. L'avvio dell'Umanesimo: Dante umanista?ta?
Ci avviamo alla conclusione, che mi porta a parlare di un ultimo aspetto. Questo è quanto dice afferma Erich Auerbach, uno dei più grandi dantisti del XX secolo: "Per la storia del pensiero europeo l'opera di Dante è rimasta quasi senza influenza; subito dopo la sua morte, anzi ancora durante la sua vita, avvenne un mutamento totale nella struttura spirituale dei letterati e dei dotti, in cui egli non ebbe più parte, il trapasso dallo spirito scolastico a quello umanistico".Il "problema" di Dante è anche questo: che subito dopo la sua morte si struttura un processo di cambiamento di valori che porterà alla nascita di una nuova cultura, radicalmente diversa da quella del Medioevo: l'Umanesimo.
- Riferimento alla Roma classica e alle humanae litterae
- Condanna del Medioevo e dei suoi valori (secoli bui)
- Ricerca di testi antichi per "salvarli dall'oblio"
- Nascita della filologia
- Soprattutto: uomo non più in balia della natura e del soprannaturale, ma artefice del proprio destino.
Quindi ecco perché c'è così grande distanza tra Petrarca e Dante. Ancora Auerbach: "Basti pensare al Petrarca, più giovane di appena 40 anni, per rendersi evidente il significato di questo mutamento di valori. Il Petrarca non è in fondo di un altro partito, non è un oppositore delle aspirazioni di Dante; ma tutto ciò che ha mosso Dante, i suoi atteggiamenti e la sua forma di vita, gli è divenuto estraneo. [...] Non più con lo sguardo verso l'alto crede il Petrarca di trovare la perfezione e la realizzazione di se stesso, ma in una consapevole cura del proprio essere." La centralità della persona umana, appunto.
8. Conclusioneone
In definitiva, la Commedia può essere quindi considerata come il puntò più alto della cultura medievale, quasi un'incarnazione letteraria dello spirito medievale, scolastico e cristiano. Ma arriva proprio nel momento in cui questa visione del mondo inizia a mostrare le prime crepe. Per questo "l'atteggiamento concettuale di Dante è quello difensivo di un conservatore e la sua lotta tende alla riconquista di ciò che è già perduto."
Dante però, nella sua grandezza, è comunque per certi aspetti una figura di passaggio tra due mondi: soprattutto per la sua rivalutazione della centralità e storicità della sorte dell'individuo. La Commedia è fondata su individui storici, anime che però hanno una straordinaria concretezza, Dante cerca gli individui e li trova nella loro completezza corporeo-spirituale: pensiamo ai grandi personaggi della Commedia: Virgilio, Beatrice, Paolo e Francesca, Ugolino, Ulisse, Casella, Marco Lombardo, San Bernardo ... Hanno tutti una caratterizzazione così intensa che già – forse – anticipa quella che sarà l'attenzione degli Umanisti per la figura umana.L'opera di Dante è quindi insieme cosa un po'antica e un po' moderna ed è forse il motivo per cui ancora oggi i personaggi della Commedia hanno da dirci qualcosa e paiono così attuali.li.
(1) - 1. Geri Del Bello (Inferno, XXIX, seminatori di discordia)
Parte sen giva, e io retro li andava,
lo duca, già faccendo la risposta,
e soggiugnendo: «Dentro a quella cava 18
dov'io io tenea or li occhi sì a posta,
credo ch'un spirto del mio sangue pianga
la colpa che là giù cotanto costa». 21
Allor disse 'l maestro: «Non si franga
lo tuo pensier da qui innanzi sovr'ello.
Attendi ad altro, ed ei là si rimanga; 24
ch'io vidi lui a piè del ponticello
mostrarti, e minacciar forte, col dito,
e udi' 'l nominar Geri del Bello. 27
Tu eri allor sì del tutto impedito
sovra colui che già tenne Altaforte,
che non guardasti in là, sì fu partito». 30
«O duca mio, la violenta morte
che non li è vendicata ancor», diss'io,
«per alcun che de l'onta sia consorte, 33
fece lui disdegnoso; ond'el sen gio
sanza parlarmi, sì com'io estimo:
e in ciò m'ha el fatto a sé più pio». 36
PARAFRASI
Intanto la mia guida se ne andava e io lo seguivo, continuando a rispondere e aggiungendo: «Dentro quella fossa dove poco fa tenevo fissi gli occhi, credo che uno spirito mio consanguineo espii la colpa che laggiù si sconta tanto gravemente».
Allora il maestro disse: «Il tuo pensiero non si tormenti, d'ora in avanti, su di lui. Pensa ad altro, e quello rimanga dov'è;
infatti io lo vidi ai piedi del ponte che ti indicava col dito, e ti minacciava, e sentii che lo chiamavano Geri del Bello.
Allora tu eri a tal punto impegnato ad ascoltare Bertran de Born, colui che tenne il castello di Hautefort, che non guardasti verso di lui finché se ne fu andato».
Io dissi: «O mio maestro, la sua morte violenta che non è ancora stata vendicata da nessuno che, in quanto membro della sua consorteria, ne condivida l'onta, lo rese disdegnoso; ecco perché se ne andò senza parlarmi, come io credo: e questo mi ha reso più pietoso verso di lui».
(2) - 2. L'esilio (Convivio I, iii)
Poi che fu piacere delli cittadini della bellissima e famosissima figlia di Roma, Fiorenza, di gittarmi fuori del suo dolce seno - nel quale nato e nutrito fui in fino al colmo della vita mia, e nel quale, con buona pace di quella, desidero con tutto lo core di riposare l'animo stancato e terminare lo tempo che m'è dato -, per le parti quasi tutte alle quali questa lingua si stende, peregrino, quasi mendicando, sono andato, mostrando contra mia voglia la piaga della fortuna, che suole ingiustamente al piagato molte volte essere imputata.
Veramente io sono stato legno sanza vela e sanza governo, portato a diversi porti e foci e liti dal vento secco che vapora la dolorosa povertade.
(3) - 3. Lo Stilnovo
DANTE
Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand'ella altrui saluta,
ch'ogne lingua deven tremando muta,
GUINIZZELLI
Lo vostro bel saluto e 'l gentil sguardo
che fate quando v'encontro, m'ancide:
Amor m'assale e già non ha reguardo
s'elli face peccato over merzede […]
CAVALCANTI
Chi è questa che ven, ch'ogn'om la mira,
E fa tremar di claritate l'a' re,
E mena seco Amor, sì che parlare
Omo non pùo, ma ciascun ne sospira? […]
Non si porria contar la sua piagenza,
Ch'a lei s'inchina ogni gentil vertute,
E la beltate per suo Dio la mostra. […]
3b. La compassione di Dante (Inferno, V, Paolo e Francesca)
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto. 129
Per più fiate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse. 132
Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso, 135
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante». 138
Mentre che l'uno spirto questo disse,
l'altro piangea; sì che di pietade
io venni men così com'io morisse.
E caddi come corpo morto cade. 142
(4) - 4. La Teoria dei Due Soli (Purgatorio, XVI, Marco Lombardo, iracondi)
Esce di mano a lui che la vagheggiagia
prima che sia, a guisa di fanciulla
che piangendo e ridendo pargoleggia, 87
l'anima semplicetta che sa nulla,
salvo che, mossa da lieto fattore,
volontier torna a ciò che la trastulla. 90
Di picciol bene in pria sente sapore;
quivi s'inganna, e dietro ad esso corre,
se guida o fren non torce suo amore. 93
Onde convenne legge per fren porre;
convenne rege aver che discernesse
de la vera cittade almen la torre. 96
Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?
Nullo, però che 'l pastor che procede,de,
rugumar può, ma non ha l'unghie fesse; 99
per che la gente, che sua guida vede
pur a quel ben fedire ond'ella è ghiotta,
di quel si pasce, e più oltre non chiede. 102
Ben puoi veder che la mala condotta
è la cagion che 'l mondo ha fatto reo,
e non natura che 'n voi sia corrotta. 105
Soleva Roma, che 'l buon mondo feo,
due soli aver, che l'una e l'altra strada
facean vedere, e del mondo e di Deo. 108
L'un l'altro ha spento; ed è giunta la spada
col pasturale, e l'un con l'altro insieme
per viva forza mal convien che vada; 111
però che, giunti, l'un l'altro non teme:
se non mi credi, pon mente a la spiga,
ch'ogn'erba si conosce per lo seme. 114
L'anima semplice, che non sa nulla, esce dalle mani di Colui (Dio) che la ama, prima di essere formata, come una fanciulla, che piange e ride senza saperne il motivo, salvo che, mossa da un lieto Creatore, torna volentieri a ciò che le dà piacere.
Dapprima sente il sapore dei beni di scarso rilievo; qui s'inganna e corre dietro ad essi, a meno che una guida o un freno non distolga il suo amore mal riposto.
Per questo fu necessario porre dei freni con le leggi; fu necessario avere un re che distinguesse almeno la torre della vera città.
Le leggi ci sono, ma chi le fa rispettare? Nessuno, dal momento che il pastore (il papa) che guida il gregge può ruminare, ma non ha le unghie fesse (possiede la capacità di interpretazione delle scritture ma non ha le unghie divise, ovvero non riesce a distinguere il bene dal male);
quindi la gente, che vede la sua guida ricercare quei beni terreni di cui essa è ghiotta, si nutre di quelli e non chiede nient'altro.
Puoi capire bene che la cattiva guida dei pontefici è la ragione che ha corrotto il mondo, non certo la vostra natura influenzata dai Cieli.
Roma, che costruì il mondo virtuoso, era solita avere due soli, che indicavano entrambe le strade, del mondo e di Dio.
L'uno ha spento l'altro; e la spada si è unita al pastorale, ed è inevitabile che le due cose stiano male insieme, unite in modo forzato;
infatti, uniti, l'un potere non teme l'altro: se non mi credi, pensa alla spiga (alle conseguenze), poiché ogni pianta si riconosce dal suo seme.
(5) - 5. Il carro (Purgatorio, XXXII, Paradiso Terrestre)
Non scese mai con sì veloce moto
foco di spessa nube, quando piove
da quel confine che più va remoto, 111
com'io vidi calar l'uccel di Giove
per l'alber giù, rompendo de la scorza,non che d'i fiori e de le foglie nove; 114
e ferì ‘l carro di tutta sua forza;
ond'el piegò come nave in fortuna,
vinta da l'onda, or da poggia, or da orza. 117
Poscia vidi avventarsi ne la cuna
del triunfal veiculo una volpe
che d'ogne pasto buon parea digiuna; 120
ma, riprendendo lei di laide colpe,pe,
la donna mia la volse in tanta futa
quanto sofferser l'ossa sanza polpe. 123
Poscia per indi ond'era pria venuta,
l'aguglia vidi scender giù ne l'arca
del carro e lasciar lei di sé pennuta; 126
e qual esce di cuor che si rammarca,
tal voce uscì del cielo e cotal disse:
«O navicella mia, com'mal se' carca!». 129
Poi parve a me che la terra s'aprisse
tr'ambo le ruote, e vidi uscirne un drago
che per lo carro sù la coda fisse; 132
e come vespa che ritragge l'ago,
a sé traendo la coda maligna,
trasse del fondo, e gissen vago vago. 135
Quel che rimase, come da gramigna
vivace terra, da la piuma, offerta
forse con intenzion sana e benigna, 138
si ricoperse, e funne ricoperta
e l'una e l'altra rota e 'l temo, in tanto
che più tiene un sospir la bocca aperta. 141
Trasformato così 'l dificio santo
mise fuor teste per le parti sue,
tre sovra 'l temo e una in ciascun canto. 144
Le prime eran cornute come bue,
ma le quattro un sol corno avean per fronte:
simile mostro visto ancor non fue. 147
Sicura, quasi rocca in alto monte,
seder sovresso una puttana sciolta
m'apparve con le ciglia intorno pronte; 150
e come perché non li fosse tolta,
vidi di costa a lei dritto un gigante;
e baciavansi insieme alcuna volta. 153
Ma perché l'occhio cupido e vagante
a me rivolse, quel feroce drudo
la flagellò dal capo infin le piante; 156
poi, di sospetto pieno e d'ira crudo,do,
disciolse il mostro, e trassel per la selva,
tanto che sol di lei mi fece scudo
a la puttana e a la nova belva. 160
Mai un fulmine scese così rapidamente da una spessa nube, quando cade da quella zona del cielo che è più in alto (vicino alla sfera del fuoco), come io vidi calare dall'alto l'uccello sacro a Giove (un'aquila) sull'albero, lacerandone la corteccia, i fuori e le foglie appena nate;
e colpì il carro con tutta la sua forza; esso oscillò come una nave nella tempesta, ondeggiando da una parte all'altra.
Poi vidi che si avventava sul fondo del carro trionfale una volpe, che sembrava digiuna da ogni buon pasto;
tuttavia, accusandola di gravi colpe, la mia donna (Beatrice) la mise in fuga, tanto rapidamente quanto poté sopportare la sua estrema magrezza.
Poi vidi tornare l'aquila dalla stessa parte da cui era venuta prima, e scendere giù nel carro e lasciarvi alcune delle sue penne;
e come una voce esce da un cuore che si rammarica, così uscì una voce dal cielo e disse: «O navicella (carro) mia, come sei malamente carica!»
Poi mi sembrò che la terra si aprisse fra le due ruote, e vidi che ne usciva un drago che conficcò la coda su per il carro;
e come una vespa che ritrae il pungiglione, il drago, tirando a sé la coda maligna, portò via una parte del fondo del carro, e se ne andò serpeggiando.
Ciò che rimase del carro, l'una e l'altra ruota e il timone, in modo simile a una terra fertile soffocata dalla gramigna, si ricoprì tutto delle penne che forse erano state lasciate con intenzioni benevole e sane, in un tempo più breve di quello che si impiega a tirare un sospiro con la bocca aperta.
Così trasformato, il carro santo mise fuori delle teste in ogni sua parte, tre sul timone e quattro nei suoi angoli.
Le prime tre erano cornute come la testa di un bue, ma le altre quattro avevano un solo corno sulla fronte: non si è mai visto un mostro simile a quello.
Mi sembrò che su di esso sedesse una sfacciata prostituta, sicura come una rocca su un'alta montagna, che ruotava intorno gli occhi seduttivi;
e vidi accanto a lei un gigante, che sembrava non volere che gli fosse sottratta; e si baciavano insieme più volte.
Ma poiché la prostituta rivolse a me uno sguardo carico di desiderio, quel feroce amante (il gigante) la frustò da capo a piedi;
poi, pieno di sospetto e crudele d'ira, staccò il mostro (il carro) dall'albero e lo trascinò via per la selva, tanto che fu solo quella a impedirmi di vedere la prostituta e la nuova belva (il carro).
Le vicende allegoriche del carro rimandano a quelle storiche della Chiesa, a cominciare dalle persecuzioni degli imperatori pagani rappresentati dall'aquila che dapprima lacera l'albero in quanto l'Impero ha offeso la giustizia divina, poi scuote il carro che tuttavia resiste e resta in piedi; poi si allude al diffondersi delle eresie raffigurate dalla volpe, messa in fuga da Beatrice che rappresenta la scienza divina e l'azione dei Padri della Chiesa. Poco oltre il carro sarà attaccato da un drago uscito dalla terra, concordemente interpretato come simbolo degli scismi all'interno della Chiesa e, forse, in particolare dell'Islam, il cui fondatore Maometto è già stato posto da Dante tra i seminatori di discordie all'Inferno e che qui sarebbe rappresentato da un animale di forte significato demoniaco (il drago stacca una parte del fondo del carro, intendendo proprio che la Chiesa è stata menomata nella sua integrità). Prima del drago, l'aquila era tornata a lasciare alcune delle sue penne sul carro, chiara allusione alla presunta donazione di Costantino che era fonte, per Dante, dell'inizio della corruzione ecclesiastica (ciò rimanda a Inf., XIX, 115-117 ed è sottolineato dalla voce celeste che si rammarica per quanto accaduto): ciò provocherà in seguito la mostruosa trasformazione del carro, che si ricoprirà tutto di penne e metterà sette teste cornute, simbolo probabilmente dei sette peccati capitali, sormontato da una volgare meretrice che raffigura, secondo l'opinione concorde dei critici, la Curia papale corrotta.
(6) - 6. San Pietro (Paradiso, XXVII)
Non fu nostra intenzion ch'a destra mano
d'i nostri successor parte sedesse,
parte da l'altra del popol cristiano; 48
né che le chiavi che mi fuor concesse,
divenisser signaculo in vessillo
che contra battezzati combattesse; 51
né ch'io fossi figura di sigillo
a privilegi venduti e mendaci,
ond'io sovente arrosso e disfavillo. 54
In vesta di pastor lupi rapaci
si veggion di qua sù per tutti i paschi:
o difesa di Dio, perché pur giaci? 57
Del sangue nostro Caorsini e Guaschi
s'apparecchian di bere: o buon principio,
a che vil fine convien che tu caschi! 60
Ma l'alta provedenza, che con Scipio
difese a Roma la gloria del mondo,
soccorrà tosto, sì com'io concipio 63
La nostra intenzione non era che il popolo cristiano sedesse in parte alla destra, e in parte alla sinistra dei nostri successori;
né che le chiavi che mi furono concesse diventassero simbolo su vessilli usati per combattere gente battezzata;
né che la mia effigie comparisse sul sigillo di privilegi falsificati e venduti, cosa per cui io spesso arrossisco e fremo di sdegno.
Da quassù si vedono per tutti i pascoli dei lupi famelici nelle vesti di pastori: o vendetta divina, perché tardi ad arrivare?
Papi originari di Cahors (Giovanni XXII) e di Guascogna (Clemente V) si preparano a bere del nostro sangue (ad arricchirsi con la Chiesa): o nobile principio, come sei destinato a cadere in basso!
Ma la Provvidenza divina, che con Scipione difese a Roma la gloria del mondo, interverrà presto, così come io prevedo
(7) - 7. Tre donne intorno al cor mi son venute (finale)
Canzone, uccella con le bianche penne; 101
canzone, caccia con li neri veltri,
che fuggir mi convenne,
ma far mi poterian di pace dono.
Però nol fan che non san quel che sono: 105
camera di perdon savio uom non serra,
ché 'l perdonare è bel vincer di guerra.