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Martiri Africani: Mariano

Il martirio di san Mariano di Guido Palmerucci (1350 ca.), Nancy, Museo delle Belle Arti

Il martirio di san Mariano di Guido Palmerucci (1350 circa)

Nancy, Museo delle Belle Arti

 

 

MARIANO, GIACOMO E I LORO COMPAGNI

 

 

 

Mariano, Giacomo e i loro compagni non hanno certo la statura di Cipriano. La Passione che riferisce le loro sofferenze è lontana dalla concisione di Atti come quelli dei martiri scillitani o di Cipriano stesso. Nulla vi è, in essa, che si avvicini alla commovente umanità di Perpetua. L'opera tuttavia, letterariamente elaborata ma veritiera, ci fa soprattutto conoscere un gruppo di chierici che, sull'esempio dei vescovi (in primo luogo di Cipriano), vedono nel martirio una vera e propria consacrazione. Mariano e Giacomo viaggiano tranquillamente nella Numidia degli anni 259-260, nella quale per i Romani il problema cristiano doveva essere meno grave di quello costituito dalle popolazioni indigene confinanti. Così, i modi rudi di un governatore persecutore sono argomentati da motivi meno grossolani di uno stupido e diabolico odio contro la fede.

La Passione è una fonte molto ricca per lo storico, in quanto testimonianza di un atteggiamento religioso. Di fronte all'ostilità del mondo, la reazione è certamente di rigetto, con tutto ciò che ne consegue in fatto di tensione escatologica e di fantasie apocalittiche, e anche di volontà di affermare l'unità della Chiesa intorno ai suoi pastori. Ma questa reazione negativa ha in sé la consapevolezza, genuinamente gioiosa e fiduciosa, di essere nelle mani di Dio, di non dipendere che dalla sua grazia: nessuno stoicismo in questi uomini, e in questo senso, i martiri, o l'amico che dice di prestar loro il proprio stile, anche se hanno letto il loro Cipriano, affondano tuttavia le radici nella terra in cui doveva nascere un Agostino.

 

Documenti e date dei fatti

La critica non mette in dubbio il valore dell'anonima Passio sanctorum Mariani et Iacobi. Certo, bisogna comprendere bene la prospettiva in cui si colloca lo scritto: si tratta di un'opera retorica dalla struttura complessa, composta per l'uso liturgico, nella quale si manifesta l'influsso di possenti affinità letterarie. Essa non è deturpata da nessun errore o anacronismo, e la contraddizione in cui sembra trovarsi a causa di un'iscrizione di Costantino si risolve senza difficoltà.

Si deve distinguere lo stilista che avrebbe curato la redazione definitiva dell'intera Passione dal testimone oculare, probabilmente reale, che afferma di parlare in essa ? Quel che appare certo è che non si può, per le ragioni appena enunciate, porre tra i due uomini un troppo grande intervallo di tempo. L'anno probabile è il 259 (in ogni caso dopo il 14 settembre del 258, data del supplizio di Cipriano, il quale visita in sogno Mariano), ma ancora sotto il regno di Valeriano, che fu catturato dai Persiani nell'inverno 259-260. Sembra temerario affermare che le vaghe «prigioni» predette da Mariano in punto di morte indichino, nelle intenzioni del cronista, quella catastrofe.

 

Che cosa dice la Passione

Mariano (lettore) e Giacomo (diacono) viaggiano, com'è loro abitudine, in compagnia del «narratore», per le strade accidentate di Numidia (il testo sembra suggerire che essi venissero da un'altra provincia: la Proconsolare ? ). Nessun timore in loro. Arrivano a Muguas, località dei sobborghi di Cifra (Costantina), e si fermano in una casa di campagna. Lì scoprono che «il furore dei pagani e i militari» hanno scatenato la persecuzione con una rara violenza. La bufera raggiunge anche i chierici che un editto aveva mandato in esilio. Fra questi erano i vescovi Agapio e Secondino, uniti da legami «di un affetto spirituale»; uno dei due (non sappiamo quale) era «noto per «la santità della sua continenza carnale», Circondati da chierici come loro agli arresti, la soldatesca li aveva tratti dall'esilio per condurli dinanzi al governatore. Il convoglio passa per la fattoria di Muguas proprio nel momento in cui vi si trovano Mariano, Giacomo e i loro compagni.

I vescovi edificano i nostri viaggiatori con il loro eroismo, suscitando nel loro cuore l'amore del martirio. Due giorni dopo la presenza di queste pie persone, una perquisizione nella «villa, come se si trattasse di un noto covo della fede», provoca l'arresto del narratore. Lo si conduce a Cirta, dove Mariano e Giacomo lo seguono per incoraggiarlo. Nella città entrambi, interrogati a loro volta, confessano di essere cristiani, e sono dunque rinchiusi in carcere. Un ufficiale di polizia, affiancato da un centurione e dai magistrati locali, sottopone Mariano alla tortura: Giacomo, pieno di forza (e già agguerrito nella persecuzione di Decio), aveva spontaneamente riconosciuto la sua condizione di diacono, il che lo faceva cadere sotto i colpi della legge, ma Mariano - così si pensa - dichiarandosi lettore tenta di sfuggire ai rigori imperiali.

Egli è appeso per i pollici, con pesi attaccati ai piedi; il suo corpo è spezzato, ma, non avendo mutato la sua confessione, lo si riconduce nella cella per farla finita. Nella tenebra in cui marcisce, insieme con Giacomo e altri ancora, una visione viene a consolare il torturato; Giacomo allora si ricorda di un sogno che l'aveva turbato e affascinato a un tempo, e del quale gli avvenimenti presenti danno la chiave d'interpretazione; un cavaliere rinchiuso con loro, Emiliano - che, precisa il testo, era rimasto, all'età di quasi cinquant'anni, un «fanciullo» (vale a dire «vergine») e non cessava, in prigione, di digiunare e pregare -, ha anch'egli un sogno, nel quale il suo «fratello secondo la carne», un pagano malevolo, gli garantisce una morte imminente per tutti. (Probabilmente a questo punto dell'inchiesta il narratore fu rilasciato: egli doveva aver dimostrato il suo stato di laico o di chierico inferiore. Il racconto passa alla terza persona). Mariano e Giacomo languono per alcuni giorni nel carcere di Cifra. Poi i magistrati, terminata l'istruttoria, li mandano dinanzi al tribunale del governatore. Al momento della partenza, un cristiano fino a quel momento libero non sa nascondere la sua gioia; lo si interroga, egli proclama la sua fede, ed eccolo unito ai due prigionieri. Il racconto, che del resto a questo punto dimentica gli altri detenuti menzionati precedentemente, trascura anche di specificare se questo esaltato abbia poi subito un supplizio; la frase «Così, grazie soltanto all'accusa che li colpisce, i beati martiri [Mariano e Giacomo] guadagnano parecchi testimoni di Dio» potrebbe suggerire che siano avvenuti altri casi analoghi. I confessori giungono infine a Lambesi, dove sono messi in carcere.

Il governatore procede con metodo e, stabilendo una «gerarchia» tra i martiri, nel corso di numerosi giorni fa giustiziare dei laici che, secondo il cronista, egli considerava più accessibili «alle tentazioni del mondo e alle minacce»; tiene in vita i chierici, con loro grande dolore, giacché la loro vittoria è per il momento rinviata. Un sogno rassicura Giacomo. Egli vede, nella beatitudine di un'agape celeste, Agapio che aveva subito il martirio insieme con due giovinette, Tertulla e Antonia (Secondino non è nominato); Giacomo si sente chiamare, in compagnia di Mariano, a quel banchetto al quale li invita per l'indomani un fanciullo che era stato messo a morte due o tre giorni prima insieme con la madre e il fratello gemello.

Di fatto, alla data fissata Mariano, Giacomo e altre persone, anonime e tutti forse chierici, compaiono dinanzi al governatore, che li condanna alla decapitazione. Sono subito condotti fuori della città, sulla sponda di un torrente, tra due rive scoscese che salgono da una parte e dall'altra, offrendo come delle gradinate agli spettatori. Dato il numero considerevole delle vittime, il carnefice, per potere svolgere il suo compito con maggior comodità, le dispone in file. Negli ultimi istanti di vita essi hanno nuove visioni, mentre Mariano, a edificazione dei fedeli e terrore degli empi, predice diverse sciagure. Non lontano c'è sua madre, simile alla madre dei sette Maccabei o alla Vergine, madre di Cristo, della quale porta il nome: ella esulta per il trionfo del figlio.

 

La Passione e la storia

Le notizie contenute nella Passione concordano con ciò che sappiamo della persecuzione di Valeriano e dell'esercizio del potere in Numidia intorno alla metà del III secolo. Come Cipriano, così pure Agapio e Secondino erano stati esiliati in virtù del primo editto di Valeriano - editto che, promulgato nell'agosto del 257, ordinava ai chierici maggiori (vescovi, preti, diaconi) di sacrificare sotto pena d'esilio, e proibiva ogni assemblea pena la morte. Come Cipriano, così anch'essi saranno condotti al supplizio in conformità del secondo editto (agosto del 258). Le disposizioni di questo atto legislativo sono enunciate in modo particolareggiato dall'Ep. 80 di Cipriano; due di esse interessano direttamente il nostro testo: la morte per i chierici maggiori; la degradazione per i senatori e i cavalieri, la morte anche per questi in caso di ostinazione.

I martiri d'Africa. Incisione tratta dal Triomphe des Martyrs (1766) Biblioteca nazionale di Parigi

I martiri d'Africa.

Incisione tratta dal Triomphe des Martyrs (1766)

La prima disposizione spiega perché il narratore sia stato rilasciato, mentre Mariano (ma non Giacomo) fu sottoposto alla tortura. I magistrati di Cirta non hanno il "diritto della spada" (ius gladii); si limitano a compiere la parte istruttoria dei processi, con la necessaria diligenza (di qui l'impiego della tortura, definita propriamente come preparatoria»); poi mandano gli imputati al governatore. Questo militare (si chiamava allora Gaio Macrinio Deciano) aveva la propria sede a Lambesi, dove comandava la III legione «Augusta» e governava, di conseguenza, la provincia imperiale di Numidia, istituita a pieno titolo all'epoca di Settimio Severo. Un tale ordinamento spiega la presenza di soldati in tutte le fasi dell'inchiesta, accanto alle autorità locali. Alcuni punti rimangono d'interpretazione più difficile: perché Mariano, semplice lettore, è alla fine decapitato ? Perché la persecuzione colpisce dei laici, come il «fratello» che a Cirta lascia trapelare la sua gioia ?

Si può pensare che questi laici avessero violato il primo editto (ancora in vigore, secondo questa ipotesi), o appartenessero alle classi alte (così Emiliano, cavaliere). Si può supporre anche che il governatore, conformemente al suo «diritto di coercizione», avesse la facoltà di punire un cristiano per i «disordini» da lui provocati. Macrinio Deciano inclinava forse tanto più al rigore in quanto le tribù berbere erano in agitazione fin dal 253 (si pensi alla razzia di cui ci dà notizia Cipriano, Ep. 62) e ci si trovava ormai alla vigilia di una rivolta della quale abbiamo testimonianza nell'epigrafia: era facile che barbari e cristiani si unissero contro Roma. Tutto ciò spiega anche perché, venendo forse dalla Proconsolare meno esposta a questi pericoli, i tre viaggiatori si trovino improvvisamente di fronte alla burrasca che scuote le Chiese numide.

 

Visioni

Dopo essere stato torturato, Mariano riposa di un sonno tranquillo, propizio ai sogni ... Mi fu mostrata - disse - fratelli, la parte superiore, molto elevata, di un seggio di tribunale altissimo, di una bianchezza straordinariamente abbagliante, su cui sedeva come presidente, al posto del governatore, un giudice di assai bell'aspetto. C'era là un palco non basso, al quale non si saliva con un solo gradino, ma che aveva una serie di numerosi gradini ed era molto alto a salirvi. Ed erano fatti avvicinare, uno alla volta, diversi gruppi di confessori, e il giudice ordinava che fossero condotti a morte. Si giunse anche a me. Allora odo una voce chiara e possente che dice: "Fa venire avanti Mariano"', e io cominciai a salire sul palco.

Ed ecco, improvvisamente mi apparve Cipriano, seduto alla destra del giudice, e mi tese la mano e mi sollevò alla sommità del palco e sorrise e disse: "Vieni, siedi accanto a me". E avvenne che furono interrogati altri gruppi di confessori, mentre anch'io sedevo come giudice assistente [oggi diremmo "giudice a latere"]. E si alzò il giudice e noi cominciammo ad accompagnarlo al suo palazzo. Camminavamo per un luogo coperto di prati ridenti e rivestito del rigoglioso fogliame di boschi verdeggianti, ombreggiato da cipressi che si levavano a grande altezza e da pini che toccavano il cielo, così che si sarebbe creduto che quel luogo fosse circondato da ogni parte da selve verdeggianti. Nel mezzo di avvallamento, poi, sgorgavano sovrabbondanti le acque copiose e pure di una sorgente cristallina. Ed ecco, a un tratto, il giudice scompare ai nostri occhi.

Allora Cipriano prese una coppa che si trovava vicino alla sorgente e, riempitala come se avesse sete, la vuotò; e riempiendo la di nuovo la porse a me, e bevvi volentieri. E dicendo "Grazie a Dio", destato dalla mia stessa voce, mi levai». (6,5-15)

In prigione, Giacomo ricorda ... Alcuni giorni prima, verso mezzogiorno, sulla strada, l'ha colto il sonno, profondo nonostante i sobbalzi. Al risveglio ... Sono turbato - disse - fratelli, ma non senza un sentimento di gioia: e anche voi dovete gioire con me. Ho visto un giovane di grandezza indicibile e straordinaria, il cui abito era una tunica senza cintura, di un candore così luminoso che gli occhi non potevano guardarla fissamente; i suoi piedi non poggiavano a terra e il suo volto era sopra le nubi. Mentre passava correndo, ci gettò in grembo due cinture di porpora, una per te, Mariano, e una per me, e disse: "Seguitemi, presto!"». (7, 2-4)

«Allora Agapio, che già da tempo con il martirio aveva adempiuto fino in fondo i sacri obblighi di una fede perfetta, e che aveva avuto egli stesso una rivelazione - poiché infatti non cessava di pregare insistentemente per due giovinette, Tertulla e Antonia, che gli erano carissime e che egli amava come figlie, affinché Dio concedesse anche a loro di subire il martirio con lui, e aveva avuto la certezza che le sue preghiere erano state esaudite sentendo una voce che gli diceva: "Perché continui a chiedere ciò che hai ottenuto con una sola preghiera ?", Agapio dunque apparve a Giacomo, in carcere, mentre questi dormiva. Infatti, quand'era ormai giunto il momento della passione, mentre si attendeva il carnefice, Giacomo disse: "Ebbene, vado al banchetto di Agapio e degli altri beatissimi martiri. Questa notte infatti, fratelli, ho visto il nostro Agapio che, più lieto degli altri, in mezzo a tutti coloro che erano stati rinchiusi con noi nel carcere di Cirta, celebrava un banchetto solenne e pieno di letizia. E mentre io e Mariano eravamo tratti con forza a questo convito, come a un'agape, da uno spirito di amore e di carità, ci corse incontro un fanciullo: era uno dei gemelli che tre giorni fa hanno sofferto il martirio insieme con la madre; aveva intorno al collo una corona di rose e portava nella mano destra una palma tutta verde, e disse: "Perché avete fretta ? Gioite ed esultate: domani anche voi pranzerete con noi"». (II, 1-6)

Benché secondo l'uso, prima di colpirli con la spada, avessero bendato loro gli occhi, nessuna tenebra tuttavia impedì lo sguardo della loro mente libera, e rifulse l'immenso e prezioso splendore di una luce infinita. Molti di loro, infatti, parlando con i fratelli che erano più vicini e che li assistevano, dicevano che, sebbene i loro occhi fossero chiusi secondo la carne, essi vedevano tuttavia delle cose meravigliose: apparivano loro, nel cielo, dei cavalli di un bianco abbagliante come neve, sui quali c'erano dei giovani dalle vesti bianche splendenti. E non mancarono, tra i martiri, quelli che, pur non vedendo nulla, confermavano il racconto dei compagni dicendo di udire nitriti e strepito di cavalli. (12,4-7)

 

Influssi letterari sulla Passione

Nel prologo, il cronista afferma di aver preso la penna per ordine espresso dei suppliziati (cfr. passio Perpetuae, 16, l, cui si richiama anche Passio Montani, 12, 1). Il tema dell'esemplarità dei martiri è tratto dal prologo della passio Perpetuae, privato però di ogni riferimento montanista. Contrariamente a questa (e alla Passione di Lucio e Montano), il nostro testo non trascrive nessuna pagina che sia stata anche soltanto abbozzata dai confessori. A somiglianza della Passione di Perpetua, tuttavia, esso alterna visioni e racconto; l'alternanza sembra anzi più rigorosa e si intreccia con un altro procedimento: la divisione della narrazione in tre atti, che si svolgono ciascuno in un suo luogo.

Mariano e Giacomo condotti in carcere di Guido Palmerucci (1350 ca.), Nancy, Museo delle Belle Arti

Mariano e Giacomo portati in carcere di Guido Palmerucci (1350 ca.)

Nancy, Museo delle Belle Arti

Un ultimo, originale motivo di complessità nasce dall'inserimento negli Acta di Mariano e Giacomo di alcuni frammenti che si riferiscono a Secondino e Agapio: la sutura è evidente nella frase lunga e confusa che apre il capitolo XI. Le immagini delle visioni mostrano l'influsso della passio Perpetuae. I gradini della catasta per i quali sale Mariano ricordano la scala percorsa da Perpetua (Pass. Perp., 4, 3-7), e la sorgente a cui attinge Cipriano con l'aiuto di una coppa ricorda la vasca piena d'acqua che Dinocrate riesce infine a raggiungere, anch'egli con una coppa (ibid., 8, 1-4; la medesima fiala ritorna in Passo Mont., 8, 5); il giovane senza cintura e gigantesco assomiglia al lanista di Passo Perp.,10, 8. Certamente i motivi, nel passare da un testo all'altro, mutano talvolta significato: la condivisione dell'acqua pare un rito di comunione al calice di sofferenza e, per mezzo di questo, alla felicità eterna. Il nostro documento non è una copia servile.

I cavalieri risplendenti di bianchezza provengono dall'Apocalisse (XIX, 14) e la descrizione del Paradiso presenta qualche analogia con quella che ne dà il trattato dello Pseudo- Cipriano De laude martyrii, 21 (cfr. però Passio Perp., II,5 - 6); le fattezze giovanili e la statura smisurata attribuite a Cristo si ritrovano in Cipriano (De mortalitate, 19). Si deve, d'altro canto, evitare di vedere una troppo netta opposizione fra i sogni della nostra Passione (che, come alcuni altri riferiti da Cipriano o da Ponzio, rivelerebbero soltanto un destino personale) e le visioni di Perpetua e di Saturo, più profetiche o dottrinali.; il sogno, infatti, di Emiliano (8, 2 - 11) affronta una questione che fu oggetto di discussione, da Tertulliano ad Agostino: la diversità delle ricompense promesse agli eletti. Accanto all'influsso esercitato dalla Passio Perpetuae, si deve sottolineare la destinazione liturgica del nostro testo: di qui, indipendentemente dagli ornamenti di stile (colore poetico di un certo sogno, o carattere pittoresco di una data descrizione), derivano le esclamazioni, le esortazioni, le apostrofi, che manifestano una tendenza al panegirico.

Ma soprattutto è importante l'autorità di Cipriano, che si fa sentire fin nella lingua. La concezione del martirio come trionfo su Satana, conseguito dal fedele in cui è presente Cristo, è comune in Cipriano: per non citare che un esempio, la lotta di Perpetua contro l'Egiziano (8, 6 - 14) aveva un valore assai simile; non vi è nulla di significativo, sebbene Cipriano costituisca in questi casi un possibile mediatore, neppure nell'espressione «tempio di Dio (cfr. I Corinzi, VI, 19) usata per indicare il corpo di Mariano (5, 8: cfr. Ad Donatum, 15), nell'esempio dei Maccabei (13, I: cfr. Ad Fortunatum, II; Epistulae, 58, 6, 1) o nella nozione di battesimo del sangue (cfr. in II, 9 l'accostamento, per noi singolare, tra il sangue dei condannati e l'acqua del torrente, e cfr. Passio Mont., 22, 3). Maggiormente degna di nota è l'insistenza sull'importanza attribuita al clero: i chierici, considerati (soltanto dal governatore ?) più saldi nella fede, si dolgono che i laici li precedano alla vittoria; Agapio e Secondino uniscono in sé il carisma e l'istituzione, superando il conflitto da cui era stato tanto provato Cipriano; il vescovo di Cartagine appare a Mariano e, doppiamente intercessore per il suo sacerdozio e per la sua confessione, lo assicura della salvezza porgendogli la coppa: anche se non bisogna esagerare le divergenze con la Passio Perpetuae, l'ecclesiologia ciprianea fa sentire qui tutto il suo peso.

Particolarmente significativo per la sua collocazione è il fatto che la conclusione - Dio agisce sempre con patema benevolenza, in modo tale che persino ciò che crediamo di acquistare con il nostro sangue ci è in realtà donato dalla sua onnipotenza» (13, 5) - faccia eco a una frase dell'Ep. 76 (4, 2): - (Dio) premia in noi, con bontà e tenerezza di padre, ciò che egli stesso ci ha donato ...»; il Prefazio dei Santi dirà: Eorum coronando merita coronas dona tua. Il cronista ha reimpiegato, non senza discernimento, le cornici della Passio Perpetuae, e ha messo in rilievo le somiglianze: l'autorevole Passione costituisce un modello agiografico al quale fanno riferimento sia la Passio Mariani che la Passio Montani, nata probabilmente nel medesimo ambiente. In entrambe (e, sembrerebbe, già nei martiri stessi), si avverte fortemente l'impronta di Cipriano: le circostanze, in parte, rendevano ciò inevitabile.

Iscrizione in memoria di Mariano e di Giacomo: Gola di Rummel in Algeria

Lapide di Mariano e di Giacomo: Gola di Rummel in Algeria

 

Analisi di alcuni documenti accessori

Parecchie fonti secondarie contribuiscono a precisare meglio le notizie contenute nella Passione. Il Codex Veronensis, oggi perduto, di san Cipriano segnalava come martire, nelle postille alle Sententiae episcoporum de haereticis baptizandis (concilio dello settembre 256), un Secundinus a Cedias, che aveva espresso la propria opinione dopo altri dieci vescovi. Lo si identifica volentieri con il Secondino della Passione. Il medesimo nome si legge nella soprascritta di due documenti sinodali anteriori (Ep. Cypriani, 57 e 67). Di Agapio non si ha traccia nei documenti contemporanei conservati.

Il Calendario di Cartagine, la cui ultima stesura risale al VI secolo, pone alla data del 6 maggio la morte di Mariano e Giacomo.

Esso concorda con la testimonianza di Agostino (Sermo 284, pronunciato a Cartagine il mercoledì 6 maggio 397 per il dies natalis dei martiri; la conclusione del Sermo 256, del 5 maggio 418, annuncia per il giorno successivo il medesimo anniversario). Il Calendario latino (si pensa di origine africana del VII secolo), che fu ritrovato sul Sinai, nomina solamente, il 6 maggio, un Emilianus. Il cosiddetto Martirologio geronimiano fissa la data del 6 maggio per Mariano e Giacomo; fa morire Agapio il 30 aprile e Secondino con il diacono e il lettore. Quest'ultima asserzione non pare trovare conferma nel racconto della Passio. Il Martirologio romano, così come Floro, Adone, Usuardo, colloca il martirio dei vescovi il 29 aprile e quello dei due protagonisti il 30. Il confronto di questi diversi testi tra loro e con la Passione consente di proporre come possibili le date qui indicate.