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Africa romana: La Via Adriana

Leptis Magna: l'anfiteattro in riva la mare

Leptis Magna: l'anfiteattro in riva la mare

 

 

LA VIA ADRIANA

 

 

 

Dopo aver lasciato il Pharos e la città di Alessandria la strada costiera evitava, com'è logico, il delta paludoso del Nilo. Girando anche al largo dei laghi e degli acquitrini seguiva per novanta chilometri, fino a Andropolis (Khirvita), il canale del Nilo. Qui, traversata con diversi ponti la rete dei vari rami del fiume, continuava a ovest fino ad incontrare la superficie relativamente solida delle rive dell’Arabia, spingendosi come «Via del Mare» fino a Gaza, Sidone, Tiro e oltre.

Carro e ruota erano arrivati tardi in Egitto: prima d'allora le strade erano nel caso migliore soltanto complementari di quella principale: il fiume. Tutte le altre si facevano terminare al limite dell'acqua. Prima del 1500 a.C. quasi tutti i monumenti più pesanti venivano trasportati con slitte e rulli. I manoscritti egiziani sono pieni di lagnanze contro gli inconvenienti di quel sistema.

Ecco come ne parla un funzionario che si presenta come Tuthopte: «La strada che dovevano seguire era molto accidentata, sicché gli uomini faticavano a farci passare (servendosi di rulli) la preziosa statua». Per trasportare il materiale estratto dalle note cave di Assuan furono costruiti fino al Nilo brevi tratti di strada. Alcune strade di questa regione, che portavano alle zone più alte della Nubia, erano protette da muri di mattoni cotti al sole, alti da cinque a otto metri. Su una di quelle che portava alle miniere d'oro, da Edfu a Eshuranib, si leggeva quest'iscrizione: «Una strada senz'acqua è una non-strada». Il protettore delle strade occidentali del deserto doveva essere il «dio dubbio», Seth dalle corna di arietè. Nel caso migliore quelle che proteggeva erano piste larghe sui cinque metri, dove la direzione era indicata da cumuli di pietre. Al termine di ogni giornata di marcia vi si trovava un pozzo. Entro i limiti delle città o delle zone sacre correvano brevi tratti di «strade processionali» pavimentate, come, per esempio, in una città del delta fondata da Ramsete III. «Vi ho costruito», ha lasciato detto quel re, «una strada sacra che brilla dei fiori di tutti i paesi».

Scoperta da poco, una di queste strade processionali, la Sphinx, che collegava Karnak con Luxor - due chilometri di lastroni di calcare, nella migliore tradizione romana - è bordata di sfingi e di aiuole circolari irrigate da canali ancora visibili. Secondo testimonianze di contemporanei «era illuminata da piante ricche di fiori, e papiri ed altri fiori vi crescevano più numerosi delle sabbie». Il geroglifico egiziano simboleggiante la strada, che si leggeva UAT, era composto di due linee parallele ondulate e steli di papiri raffiguranti le sponde dei canali. Se ne deduce che in Egitto, allora come adesso, le strade erano in realtà sentieri che seguivano gli argini dei canali o dei fiumi. Gli Egiziani non ignoravano, come si potrebbe credere, la tecnica delle costruzioni stradali; piuttosto, date le loro abitudini di vita e il loro sistema economico, le strade non erano per loro una vera necessità. Erodoto dice che durante la costruzione della piramide di Cheope le pietre venivano trascinate su un terrapieno lungo cinque chilometri, che lo impressionò «quanto la piramide stessa». Quando apparvero in Egitto i veicoli a ruote alcune strade vennero livellate perché i carri potessero percorrerle più facilmente.

Ma molti continuarono a deplorare «la noiosa strettezza delle strade faraoniche». Roma cominciò ad occuparsi direttamente dell'Egitto al tempo delle guerre di Cesare. Pompeo, che vi si era rifugiato dopo la sua sconfitta in Grecia, vi fu pugnalato nella schiena il 28 settembre del 48 a.C. La sua testa imbalsamata venne offerta a Cesare, che, si dice, fu visto distoglierne piangendo inorridito lo sguardo. Rinviata l'attuazione dei suoi piani militari, Cesare insisté perché il re Tolomeo e sua sorella Cleopatra «anziché con le armi, sistemassero davanti a lui stesso per vie legali la loro lite». Se Tolomeo lo invitò a «andarsene a badare ai suoi affari importanti», Cleopatra si comportò in maniera più astuta. Vibrante di vitalità, intelligentissima - a ventidue anni la sorella del re parlava correntemente varie lingue - la sua molla principale non fu mai l'amore ma l'ambizione. I Romani, che non condividevano sempre le opinioni dei loro sovrani, la chiamavano «una regina di eunuchi» e la temevano. Come si sa, Cesare se ne lasciò affascinare. Sconfitta Cleopatra, Cesarione, - il figlio nato dalla loro unione - fu ucciso da Augusto. Dopo la vittoria di Azio l'Egitto diventò un feudo personale del nuovo «Augusto», - Ottaviano - che lo affidò a un proconsole responsabile unicamente verso di lui. Fu presto uno dei granai di Roma a cui forniva annualmente 1625000 di staia di grano. Alessandria era in quel tempo un deposito gigantesco straripante di vetro, lino, tessuti di ogni genere, papiri e generi alimentari, che venivano spediti fino in India, in Arabia e in Etiopia, La maggior parte di questo traffico passava per la città. «Qui l'unico dio è il denaro», scrisse qualcuno.

Mentre al tempo di Augusto, ansiosa soltanto di sfruttare l'Egitto Roma non si curò, almeno in principio, di migliorarne la rete delle comunicazioni, Domiziano affrontò appena salito al trono quel problema. E presto due strade, presumibilmente ghiaiate o battute (viae terrenae) corsero sulle rive del Nilo. Quella a ovest traversava Menfi, Philadelfia, saliva dopo Dendera alle cateratte e terminava alle frontiere dell'Etiopia. Sulla riva opposta le correva parallela l'altra, che giunta alla città che sarebbe stata un giorno Antinopolis proseguiva attraversando Qena, Luxor, Edfu per concludersi a Contra Pelcis, esattamente davanti al Caput Stradae della prima. Su questa strada il traffico non era regolato da miliari ma all'uso egiziano da semplici cumuli di pietre. Pur trattenendosi solo brevemente in Egitto, Traiano si preoccupò di far riparare e migliorare la Via Nerva, che andava dalla Libia ad Alessandria, e di prolungarla verso la Palestina. I suoi tecnici cominciarono nel 113 d. C. a rendere di nuovo praticabile, fra il Mar Rosso e il Lago Amaro, l'antico canale che si era ostruito, prolungandolo fino al Nilo con un altro lungo 100 miglia. Fu anche eretto un tempio a Philae, attualmente coperto - dopo la costruzione della diga - dalle acque del Nilo. Con la venuta di Adriano, accompagnato da numerosi funzionari e tecnici, il sistema romano di comunicazioni fu esteso anche in Egitto. Quando, nel 131 d. C., l'imperatore fece un lungo soggiorno ufficiale in Grecia, Asia ed Egitto, molte città erano ancora in rovina, dopo che nel 115-116, gli Ebrei si erano rivolti piombando con ferocia inaudita sui loro concittadini greci. Alessandria aveva avuto lo stesso destino. Durante la sua visita Adriano ordinò al suo architectus Decrianus di ricostruire la città e allargare la strada che l'attraversava. Avviati i lavori si prese un po' di riposo risalendo in un pigro viaggio il Nilo.

Fu, a quanto sembra, il primo imperatore romano che si recasse a ispezionare personalmente il vasto dominio da cui arrivavano ogni anno a Roma un milione e mezzo di tonnellate di grano. Facevano parte della comitiva imperiale sua moglie Sabina e Antinoo, uno stupendo efebo della Bitinia, che avrebbe ispirato dopo la sua morte un vero culto della bellezza virile, la fondazione di una città, e, per strano che possa apparire, la costruzione dell'unica strada regolare di tutto l'Egitto. Quando Adriano l'aveva conosciuto in Bitinia, quel demiurgo dalle ampie spalle aveva solo diciotto anni, e se le centinaia di statue che lo ritraggono gli somigliano, era di un'avvenenza affascinante. Facendo parte, come abbiamo detto, del seguito personale dell'imperatore, partecipò a quel viaggio sul Nilo, durante il quale, il 30 ottobre, doveva morire annegato. Una lunga e meticolosa inchiesta non riuscì a stabilire se si trattasse di un delitto, di un incidente o di un suicidio. Per lenire il suo dolore acerbo per la perdita dell'amico, Adriano fondò addirittura il culto della gioventù; vennero organizzate in tutto l'Impero, e in onore del bellissimo efebo, competizioni sportive e si parlò perfino di un oracolo di Antinoo. Il cenotafio che Adriano fece erigere in suo onore sul Pincio ha resistito ai secoli. A cento miglia al di sopra e a sud del luogo dov'era annegato Antinoo sorsero per ordine dell'Imperatore la città sul Nilo che recava il suo nome - Antinoopolis - e una strada che la congiungeva al Mar Rosso e che doveva diventare lo sbocco sul Nilo del commercio di quel mare. Oggi Antinoopolis è scomparsa, ma nel 1799 ne rimanevano ancora resti sufficienti perché gli archeologi di Napoleone potessero studiarli e descriverli.

La Via Adriana partiva dal foro della città. Sulla base del monumento ad Adriano conservata nel Museo del Cairo si legge: «L'Imperatore Cesare Traiano Augusto, figlio del deificato Traiano Partico e nipote del deificato Nerva, Pontefice Massimo, che detenne per ventuno anni il potere del suo Paese, costruì da Berenice ad Antinoopolis attraverso terreni solidi e ben livellati la nuova Via Adriana, fornendola lungo il suo percorso di numerose cisterne, posti di tappa e guarnigioni. Nel 21° anno del suo regno (138 d.C.) ». La Via Adriana tagliava l'altopiano desertico orientale più o meno al 28° parallelo, 220 chilometri a est del Mar Rosso. Nel 1790 due membri della spedizione archeologica francese rinvennero sulle alture dell'Uadi Tarfar un lungo tratto di una strada lastricata - senza dubbio l'Adriana - e nel 1822 degli esploratori inglesi ne scoprirono un altro. Vi furono praticati per l'ultima volta scavi nel 1922 e ne sussistono ancora dei tratti con resti delle hydreumata, le cisterne a cui allude l'iscrizione. Raggiunta la costa, la Via Adriana girava a sud.

La sua prima tappa importante, Myos Hormos (L'autore anonimo del Periplus Maris Erytbraei, comincia il giornale di bordo del suo viaggio dal Mar Rosso in India da questo porto di Myos Hormos) l’attuale Abu Sha'ar, fornita di un forte e di un pozzo profondo, era un entrepôt; il «porto girevole» dove si raccoglievano grano, vino, olio e stoffe, per essere spediti nell'interno, alle miniere imperiali di porfido del Mons Porphyrites. Perché in quella zona desertica potessero sussistere migliaia di minatori e i loro branchi di buoi da tiro era indispensabile un servizio intenso di rifornimento. Alle miniere dovevano arrivare regolarmente alfalfa, acqua, grano, vino, olio, attrezzi e carri robusti da trasporto. Il traffico sulla Via Adriana (e naturalmente il contrabbando) era così imponente, che, come c'informa un papiro recentemente scoperto (Oxyrhynchus Papyrus n. 36), le autorità avevano dovuto emanare precise norme doganali: «tutti gli articoli», dice il papiro, «saranno soggetti a una tassa del 2 e 1/2 per cento a carico del loro produttore».

Leptis Magna: La Palestra nelle terme di Adriano

Leptis Magna: La Palestra nelle terme di Adriano

Le derrate di base dell'alimentazione che giungevano alle miniere del Mons Porphyrites - pesce fresco e secco, sale, ortaggi freschi (principalmente «l'amato ravanello»), datteri, - nonché stuoie per le slitte - erano per lo più di provenienza locale. Prescindendo dalle poche testimonianze ufficiali, informazioni su questo commercio si possono trovare nelle interessanti «lettere» o ostraca, tracciate su frammenti di vasi di coccio e usate per la corrispondenza da chi non poteva permettersi la carta di papiro. Ecco il testo di uno di questi ostraca (proveniente dal Mons Porphyrites) inviata al marito da una donna che viveva nel I secolo a Myos Hormos: «Isidora al suo padrone e signore. Salve! Prima di tutto spero che tu stia bene quanto me. Come ti ho già pregato, per favore non dimenticarmi. Riceverai da Primus il carrettiere questo pesce salato. Vorrei che mi mandassi dell'inchiostro perché possa scriverti». Tra i rifiuti delle cucine di Myos Hormos sono state ritrovate centina di queste «lettere». La Via Adriana continuava a correre a sud, affondandosi nell'interno per evitare le coste desertiche e riemergendone a Philoteras, il porto di rifornimento dell'altra grande miniera del Mons Claudianus, che si trovava a 75 chilometri nell'entroterra (beninteso non in linea retta) sui monti scoscesi del deserto orientale. A trentacinque miglia - 60 chilometri - dall'ultimo posto di tappa della Via Adriana s'incontrava Leucos Limen che disponeva di un buon porto sul mare aperto (più tardi El Quseir) e dove sboccava la più antica e più breve delle strade fra il Mar Rosso e il Nilo.

Lunga sessanta miglia questa strada terminava a Coptos (Gift) sul Nilo. Conosciuta dal geografo greco Strabone fu molto, probabilmente quella seguita dagli abitanti della Mesopotamia per l'Egitto. I graffiti protodinastici rinvenuti sul suo percorso recano la data del 2500 a.C. Fu usata sotto l'Antico e il Nuovo Regno, sotto i Tolomei ellenizzati, i Romani (che la sistemarono), i cristiani copti, i mussulmani - è la più breve fra il Mar Rosso e la Mecca - e infine dalle truppe di Napoleone. Nel nostro secolo l'esercito inglese di occupazione la lastricò nel 1942. E' servita ininterrottamente per più di 4500 anni. Sette hydreumata, con pozzi profondi e solidi, sorgevano a intervalli prestabiliti lungo i sessanta chilometri di questa «strada del Nilo» circondate da fortificazioni con alte mura e torri da combattimento. Sulle colline all'intorno sono arroccate trentasei torri di guardia da cui i soldati potevano avvistare nelle curve della strada veicoli e viaggiatori. Secondo Strabone occorrevano da sei a sette giorni per arrivare dal Nilo al Mar Rosso; un cammello o un bue carichi potevano coprire al massimo quindici miglia al giorno; un uomo senza fardelli venti. A Fowakhir, all'incirca a metà strada fra il Nilo e il Mar Rosso, - dove si trovano le miniere d'oro forse più antiche ininterrottamente sfruttate fino ad oggi, - sono stati rinvenuti nei mucchi di rottami una sessantina di Dstraca, testimonianze della vita nelle miniere e nelle strade.

Dopo il famoso pozzo romano, o El-Mweih, (profondo trenta metri, con una scala a chiocciola che portava fino in fondo) la strada giunge all'Uadi al Hammamat, da dove fu poi prolungata una miniera di schisto nero di grana fine (molto richiesto dagli scultori). Le antiche miniere che la orlano per più di due miglia sono coperte di iscrizioni, e ne sono state raccolte centoventi. Alcune lodano la preveggenza di Seti I, che nel 1300 a. C. fece costruire dai suoi sudditi strade e pozzi nel deserto orientale. «Ci ha dato strade accessibili...» proclama una iscrizione, «ed ha aperto quelle che erano chiuse ... Ora che il viaggiare è più agevole possiamo andare a prendere l'oro come ci comanda il nostro padrone e signore». Viene anche esaltata la generosità del signore regnante in quel tempo, che mandava ai minatori acqua e cibo «perché potessero cavare la pietra». Queste iscrizioni contengono anche lodi e ringraziamenti dei minatori all'itifallico Min per averli conservati vivi nel calore infernale delle cave.

Ostentando con negligenza il suo pene eretto Min domina il deserto, apparendo in alcune delle sculture protodinastiche più antiche, come in quelle tradizionali dei templi di Luxor e Karnak. Nelle cave di pietra lungo la strada la sua immagine è incisa sulla superficie liscia delle rocce. In quel tempo non erano giudicati necessari altri miliaria all'infuori del membro virile di Min, il dio dei viaggiatori dei deserti orientali. Facendo dopo Teucos Limen, sulla costa, solo poche, insignificanti deviazioni, la Via Adriana percorreva a sud altre centotrenta miglia. Era ed è sempre una via implacabilmente deserta, su cui i monti aridi incombono a ovest come ossa calcinate mentre nel suo tratto costiero s'infrange il Mar Rosso orlato di corallo. Vi s'incontrano soltanto cisterne severamente sorvegliate. A Bir Ranga la Via Adriana ripiegava verso l'interno per raggiungere, dopo una ventina di miglia, la strada principale del deserto del Nilo e proseguire con essa fino a Sinus Immundus (la Baia Sporca) dove sullo stesso parallelo di Assuan sorgeva sul Mar Rosso la città di Berenice. Quest'antico entrepôt dei prodotti dell'India, ricostruito nel 287 a. C. da Tolomeo II che gli diede il nome della sua sorella-sposa, la regina Berenice I, serviva soprattutto a scaricarvi le merci facilmente alterabili per farle proseguire attraverso il deserto orientale.

L'anonimo Periplo, una guida dei navigatori del Mar Rosso, ci dà un'idea della grande varietà di merci importate in Egitto dai mercati indiani: spikenard «spigonardo», un'erba dell'Imalaya, da cui si ricava un unguento medicinale molto pregiato), costus, bdellium-myrrh, avorio agata e cornaline, tele di ogni genere (così fini che si potevano far passare attraverso un anello); sete e filati di cotone; cannella, pepe, zenzero, e forse le deperibili banane. Sembra che i Romani non abbiano mai ricevuto caffè, tè o zucchero. Secondo Strabone il Tempio di Berenice sarebbe stato fondato e costruito dal Tolomeo Filadelfo. Fu scoperto nel diciannovesimo secolo da Belzoni, l'acrobata divenuto archeologo, che penetrato in un labirinto calpestò mummie coperte d'oro, fitte come «le foglie a Vallombrosa». Nell'enorme tomba c'erano iscrizioni con date romane e tolemaiche, soprattutto del tempo degli Imperatori Marco Aurelio e Lucio Vero. Abbiamo dati molto più numerosi sulla strada Berenice-Coptos. Plinio il Vecchio, quell'instancabile osservatore (PLINIO, Storia Naturale, VI-XXVI, 100-106) afferma che essa era lunga 257 miglia. Da Coptos a Berenice il viaggio si effettuava a dorso di cammello, con tappe alle varie stazioni. Plinio cita quelle per il rifornimento dell'acqua ora venute alla luce durante gli ultimi scavi archeologici. Da Berenice al Nilo, su tutto il tratto sopraelevato della strada che attraversa il deserto, si contano sedici hydreumata (pozzi-cisterne) a intervalli di venticinque miglia. Per dare un'idea del suo traffico, Plinio dice (ed è stato confermato dai reperti archeologici) che l'ultima tappa prima di Berenice era «... Vetus Hydreuma, dov'è di stanza una guarnigione di frontiera presso un caravanserraglio capace di ospitare duemila viaggiatori.» Per sostenere la spesa della protezione della strada, della sua manutenzione e del suo rifornimento d'acqua, era stata imposta una tassa su ogni forma di commercio che vi fosse svolto.

Leggiamo in un'iscrizione del tempo di Domiziano: «Per ordine di Mettio Rufo ... Lucio Antistide, prefetto del Monte Berenice, ha fatto incidere in questa pietra le somme che debbono essere esatte ... come pedaggio.» Cammelli e asini pagavano solo pochi oboli. Il capitano di una nave era tassato 8 dracme; un semplice marinaio 5; le sue donne 20. Ma dalle cortigiane si esigevano 120 dracme, mentre i funerali dovevano sborsare, per l'andata e il ritorno, una sola dracma, ossia quattro oboli. Grazie agli ostraca rinvenuti nei detriti delle rovine possiamo farci una idea di come si viveva su quelle strade del deserto. Rustio Barbaro scrive per esempio a suo fratello Pompeo: «Salve! Come mai non mi hai scritto se hai ricevuto le pagnotte di pane? Te ne ho mandate per mezzo del cavaliere Thiadices e voglio farti sapere che sto per sposarmi». Un altro soldato scrive a un certo Terenzio augurandosi che l'amico goda buona salute e per ringraziarlo del mazzo di ravanelli (grandi in Egitto come carote). «Riceverai da me zucche e limoni (doveva essere di guarnigione sul Nilo); dividili con i tuoi fratelli. Saluti ai soldati.» Su una pietra trovata al posto di tappa di Compasi c'è un graffito di Lysas, schiavo di un certo Publio Annio Plocamo, che vi si era riparato dal sole cocente del mezzogiorno.

Lysas si limita a ricordare che è stato lì: «Veni anni XXXV, III IVL» (il 5 luglio dell'anno 6 del regno di Augusto). Al posto di tappa di Afrodito (Wadi-Manih-el-Heir), dove è stato rinvenuto un monumento stradale a Pan (il Min «eretto»), un esploratore trovò nel diciannovesimo secolo un'iscrizione latina - che avevano buttata, o era caduta, nella cisterna - in cui M. Trebonio Valente, prefetto di Berenice (al tempo di Domiziano) allude a miniere di smeraldi e topazi e alla pesca delle perle sulle coste del Mar Rosso. L'apertura della strada Berenice-Coptos è attribuita a Tolomeo II (uno dei generali più ambiziosi di Alessandro). Un'iscrizione trovata in situ reca il suo nome e quello di Arsinoe, la sua sorella-moglie.