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Africa romana: Il Faro di Alessandria

Leptis Magna: il Nuovo Foro con la Basilica di Settimio Severo

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IL FARO DI ALESSANDRIA

 

 

 

Nel decumanus, la strada principale di Cyrene, che ricalca l'antica strada maestra, si legge un'iscrizione: «L'imperatore Traiano restaurò servendosi dell'opera di Quintus ... questa strada che era stata squarciata e distrutta durante la rivolta dei Giudei».

Di qui la strada continuava verso l'Egitto e oltre, toccando Antipyrgos, conosciuta oggi come Tobruk. Era segnata non da miliari ma da cumuli di pietre, nei punti dove, - distanti fra loro una giornata di viaggio di venti miglia - sorgevano pozzi e spesso ostelli. Nella grande baia di Sinus Plinthinus il viaggiatore, lasciatasi alle spalle la Libia, incontrava Taposiris, la prima delle città costiere di una certa importanza.

Costruita contemporaneamente ad Alessandria, Taposiris disponeva di un grande faro isolato. Fu qui che l'anno 116 l'Imperatore Traiano «permise che ... (uno dei carri a quattro cavalli) fosse collocato nella città chiamata Taposiris». Infine, dopo un'altra giornata di viaggio, - a piedi, su cammelli, su carri tirati da buoi o cisia, - si raggiungevano i dintorni di Alessandria. Se la si considera un rettilineo, la strada costiera romana - che andava dalle Colonne d'Ercole a Tangeri e ad Alessandria - misurava in tutto il suo percorso 2100 miglia.

Era senza alcun dubbio una delle strade antiche ininterrotte più lunghe, dal momento che continuava per altre 800 miglia attraverso le sabbie dei deserti fino al Libano e oltre. Omero vide nella primavera del mondo il luogo dove doveva sorgere un giorno Alessandria: «C'è nel mare un'isola al largo dell'Egitto che chiamano Pharos. Poiché possiede una baia con un buon ancoraggio è di qui che le navi prendono il largo dopo essersi rifornite d'acqua.» L'isola di Omero era il promontorio su cui fu costruito al suo tempo il pharos più famoso della storia. Alessandria, che sorgeva nell'hinterland immediato del pharos, era nel 1300 a.C. il villaggio egiziano di Rhakotis, un covo di pirati situato sulle alture dove sorse la «Colonna di Pompeo». Nel 333 a.C. Alessandro il Grande ordinò al suo architetto Dinocrate di trasformarlo in una «città ideale», che portò il suo nome e doveva ospitare dopo la sua morte, in un sarcofago dal coperchio di vetro, il suo corpo fasciato d'oro.

La città ha tre sbocchi sull'acqua: le due baie, occidentale e orientale, ai due lati del promontorio (su cui sorgeva il Pharos) e il lago Mariout a sud. In quest'oblunga Alessandria - una striscia artificiale di terra fra lago e mare, - si entrava per la strada costiera che passando sotto la Porta della Luna seguiva direttamente a est una via orlata di colonne (la Canopica, ora rue Rosette), uscendo dalle mura orientali attraverso la Porta del Sole. Mentre la città veniva ricostruita, (durante e dopo la visita di Adriano, nell'anno 117), fra i monumenti greci e egiziani ce ne erano già molti eretti dai Romani.

Seguendo quelle strade orlate di portici e prima di arrivare all'agora e al tempio di Serapide, si trova l'incrocio che portava al terrapieno lungo quasi un miglio e chiamato l'Heptastadium, percorso dai visitatori e dagli operai addetti al faro. Questo faro, per secoli il più famoso, era anche, secondo la Tabula Peutingeriana, il più grande del mondo. «Costruito da Sostratus di Cnidos, figlio di Dexiphanes» diceva la sua iscrizione, «in onore del Dio Salvatore, per i marinai». Alto più di 133 metri, aveva cinquanta stanze e una duplice scala a spirale (usata in parte dagli asini che trasportavano il combustibile); le fiamme del suo fuoco venivano riflesse da spessi specchi, o da qualche altra sostanza che proiettava la luce. Lo sormontava un monumento a Poseidone.

Una delle autentiche meraviglie del mondo, il faro di Alessandria, dopo aver guidato per millecinquecento anni navi ed uomini, fu trascurato per secoli dopo la caduta dell'Impero Romano. Una sua rappresentazione in mosaico trovava nelle rovine di Cirene ci ha permesso di ricostruirlo quasi esattamente. Sebbene malridotto era ancora in piedi quando lo vide nel 1154 il poeta e geografo arabo Al Idrisi. «Notammo il faro», scrisse. «Non ha l'eguale nel mondo ... fatto di ottime pietre tenute insieme con piombo fuso anziché cementate. La luce del suo fuoco è visibile a cento miglia di distanza.

La notte sembra una fulgida stella ...». Un terremoto lo distrusse nel 1300. Dopo aver lasciato il Pharos e la città di Alessandria la strada costiera evitava, com'è logico, il delta paludoso del Nilo. Girando anche al largo dei laghi e degli acquitrini seguiva per novanta chilometri, fino a Andropolis (Khirvita), il canale del Nilo. Qui, traversata con diversi ponti la rete dei vari rami del fiume, continuava a ovest fino ad incontrare la superficie relativamente solida delle rive dell’Arabia, spingendosi come «Via del Mare» fino a Gaza, Sidone, Tiro e oltre. Carro e ruota erano arrivati tardi in Egitto: prima d'allora le strade erano nel caso migliore soltanto complementari di quella principale: il fiume. Tutte le altre si facevano terminare al limite dell'acqua.