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Giuseppe Villa: un cassaghese parroco a Cremella

Il parroco don Giuseppe Villa

Il parroco don Giuseppe Villa

 

 

Don Giuseppe Villa curato di Cremella dal 1890 al 1932

 

 

Fra le pagine del Liber Chronicus della parrocchia di Cremella, dove i parroci del luogo hanno annotato gli episodi ritenuti più importanti della storia del paese, di notevole interesse si presentano quelli scritti tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento da don Giuseppe Villa. Nato nel 1851 a Cassago, fu ordinato sacerdote nel 1874.

Fu nominato dapprima coadiutore di Montesiro dove restò per 16 anni, quindi diventò parroco di Cremella, dove morì nel 1932. Le annotazioni che lasciò nel Chronicon sono spesso dure, tal altra molto divertenti. In ogni caso sono alquanto personali e lasciano trapelare il suo forte coinvolgimento nella vita degli abitanti di Cremella. Il suo attaccamento alla comunità parrocchiale era tuttavia molto tenace. Don Giuseppe si trovò a vivere in un'epoca e in un mondo in rapido mutamento che sempre collimava con le sue aspettative: le sue parole e le sue osservazioni ci offrono l'immagine di una Cremella in veloce mutamento, dove il propagarsi delle fabbriche aveva contribuito a diffondere una nuova socialità, molto più attenta ai diritti di quanto non lo fosse stato in passato. Stava tramontando l'epoca in cui i contadini non reagivano ai soprusi: le nuove idee socialiste propugnavano la lotta per cambiare lo stato delle cose. Questo nuovo orientamento, condiviso o meno, creava indubbie difficoltà poichè si poneva come un'alternativa agli insegnamenti del clero.

Nelle campagne i parroci predicavano una vita votata al sacrificio, all'accettazione di condizioni difficili e alla sopportazione dei mali della vita. Quantunque si ritenesse che contadini ed operai dovessero accettare la loro condizione, senza nutrire ambizioni particolari, tuttavia non mancavano gli aiuti nelle gravi difficoltà e il sorgere di prime forme di cooperazione. Don Giuseppe Villa nel 1900 fondò a Cremella la Società di Mutuo Soccorso per il bestiame che rinnovava l'esempio di altre associazioni similari, quali la Società di Mutuo Soccorso fra operai e contadini di Missaglia, quella di Mutuo Soccorso ed Istruzione fra esercenti operai e agricoltori di Veduggio con Colzano e limitrofi o quella di Mutuo Soccorso di Barzanò.

L'anno di nascita 1900 è attestato nel Chronicon, tuttavia uno Statuto della Società cooperativa per l'assicurazione del bestiame bovino tra gli agricoltori di Cremella è conservato alla Biblioteca Nazionale di Firenze e risalente al 1887 (FABRIZIO DOLCI, L'associazionismo operaio in Italia, Firenze 1980, 116) farebbe propendere per una fondazione anteriore. Ma potrebbe anche trattarsi di due vicende autonome di cui una è stata l'evoluzione dell'altra.

La nascita dei movimenti socialisti modificò con vigore questa filosofia di vita e lo fece con modalità dure, anche violente con la proclamazione di scioperi a partire dalla seconda metà del XIX secolo fino alla prima parte del successivo. Proprio in questi profondi mutamenti vanno ricercate le ragioni esposte nelle pagine scritte da don Giuseppe Villa. Queste pagine si colorano di espressioni che diventano aspre quando si tratta di descrivere gli scioperi operai del 1907 e 1908. Don Giuseppe Villa considerava i  socialisti i veri responsabili del diffondersi di comportamenti ritenuti riprovevoli e amorali: era dell'opinione che non soltanto gli scioperi, ma anche i costumi erano sconvenienti. Non tollerava la consuetudine del ballo nelle osterie dei paesi o alcuni atteggiamenti reputati per le giovani troppo sfacciati e privi di pudore.

Il quadro della situazione è fotografato senza peli sulla lingua nel 1905, in occasione della visita del Cardinal Ferrari:

"La popolazione corrisponde abbastanza; ma la gioventù ... più si va innanzi, diventa peggiore. Gli stabilimenti portarono vantaggi materiali ma la morale ne scapitò moltissimo. Le osterie trionfano: oggi non basta più la domenica per bere e ubriacarsi ci vuole anche il lunedì, qualche volta il marted4 e non mancano quelli che vanno innanzi qualche giorno ancora. Cosa vedranno quelli che camperanno ancora vent'anni?".

La delusione e lo sconforto di don Villa riemerge nel 1908, dopo l'arrivo delle forze militari a Cremella per reprimere gli scioperi. Le sue preoccupazioni riprendono vigore per il comportamento degli operai cui associa quello non proprio ortodosso dei soldati: "... il peggior timore che angoscia va il povero Parroco era per la moralità. Tanta truppa in un paese, nel quale non si erano mai veduti i soldati, era una gazzarra per le giovani, per non dire che perdevano ancora di più la testa le vecchie. C'era un bel da fare a tener occhio a tutto. Basta di dire che le ragazze, d'altronde colpevoli per le loro smorfie venivano rincorse fino in Chiesa. "

Don Giuseppe non era preoccupato solo per la crisi economica, che colpiva i commerci e costringeva già cinque operai di Cremella ad emigrare all'estero. Era preoccupato, da buon pastore, soprattuto per lo strisciante degrado morale della sua gente: "... rimane ancora un piccolo gruppo - scrive il parroco - di questi detti socialisti ma sono di quelli che vengono alla Dottrina e ai Sacramenti. Ne hanno pagati di denari per mantenere quei scrocconi di Como che venivano alla Domenica per impinzarsi per tutta la settimana. Sorse però in paese un altro disordine, il ballo nelle osterie. I buoni ne sono accorati, ed i cattivi trionfano. "

Ancora nel 1913 don Giuseppe scriveva con evidente preoccupazione: "Sono al potere i socialisti ... un piccolo paese che nel complesso è formato da buoni cristiani lascia spadroneggiare i socialisti? Ma quanti sono? Formano la maggioranza? ... I veri socialisti ... perchè proprio di quelli che hanno abdicato ai principi religiosi e che vivono proprio senza nessuna pratica religiosa sono due. Ma questi hanno degli accoliti che giurano sulle parole dei due maestri che ne seguono i passi ...; tolgono il catechismo dalle scuole e le maestre hanno sospeso l'insegnamento ..."

Sia nel 1909, quando il problema del ballo nelle osterie aveva scosso l'animo del parroco, che quattro anni dopo, con l'eliminazione della religione come materia scolastica, gli amministratori di Cremella aveva preso in considerazione le esortazioni di don Giuseppe, grazie ai buoni uffici del consigliere comunale Giuseppe Sessa. Il curato aveva ancora una certa influenza all'interno della comunità e le scelte del Consiglio comunale ne tenevano conto; a questo si deve di certo sommare l'austerità, il rigore e l'intransigenza che contraddistinguevano la sua persona.

Così accade che nel 1910, il Consiglio comunale di Cremella votò contro la concessione di permessi per feste pubbliche da ballo "per ragioni di igiene e di moralità."

Nel 1913 la stessa amministrazione accettò la richiesta del parroco e di 120 padri di famiglia di ripristinare l'insegnamento della religione a scuola, dando incarico alla Giunta di far pressione sulle maestre "senza che venisse loro aumentato lo stipendio."

La forza di carattere del parroco emerge anche da altre questioni. Nel 1894, con l'aiuto generoso della famiglia Sessa, fra le più influenti se non quella di maggior spicco nel paese di Cremella in quegli anni, don Giuseppe aveva fondato una scuola di musica, assecondando le richieste di alcuni compaesani. Ma solo dieci anni dopo decise di chiuderla, sconvolto per la presunzione che, a suo dire, gli stessi allievi avevano iniziato a manifestare, credendosi in grado di raggiungere livelli di preparazione sempre più alti: "Dopo tante peripezie, fastidi e crucci procurati al Parroco, che spese più di un migliaio di lire per fare istruire i cantori, è morta la cappella musicale di Cremella. E' morta?! ... a dire il vero fui io stesso che la uccisi a colpi di spillo. La storia è breve e può servire di esperienza ai miei successori. Istruiti a leggere musica, si credettero professori. Volevano sempre musiche nuove ed io fino ad un certo punto le procuravo ... Ma non capivano i poveracci, che invece di cantare tante messe nuove, sarebbe stata miglior cosa il cantar bene quelle che avevano. Ma che? ... La pazienza è una bella virtù, ma fino ad un certo punto. "

Raggiunse cosi il limite della sopportazione, quando scopri che gli allievi approfittavano delle lezioni per imparare canzoni e romanze da osteria, esercitandosi anche i giorni delle festività di Ognissanti e dei Morti, e perfino di notte.

 

 

Per fortuna accadevano anche eventi di maggior sollievo per l'animo del parroco. E' del 1904 l'annotazione di don Giuseppe relativa al resoconto dei lavori di ristrutturazione del campanile della chiesa parrocchiale dei SS. Sisinio, Martirio e Alessandro oltre al racconto della festa in onore dell'Immacolata, che si svolse l'ultima domenica di ottobre: "E' questo l'anno dell'Immacolata: Cremella si preparava a solennizzare ... Altra circostanza concorse a rendere solenne la festa. La guglia del campanile percolava, bisognava toglierla, e pensare a sostituirla. Il castello delle campane andava a pezzi essendo di legno e vecchio. Il campanile stesso sgretolava, l'orologio in disordine, le scale e ripiani consumati. Che fare davanti ad una spesa non indifferente? ... Eppure bisognava pensarvi: furono fatti diversi progetti e mentre si stava valiandoli, mi venne un pensiero, di collocare cioè sul campanile una bella statua a Cristo Redentore che benedice al paese. Dal detto si passò al fatto: parlai con l'ingegnere Sig. Alfonso Maria Chiappetta di Milano che visitò il campanile per misurarne la solidità, fece il disegno, lo si affidò alla Ditta Barchi e Scaglia da farsi in cemento armato in ferro, ed ora torreggia dal campanile la statua, che misura metri 4,50 di altezza. Si rinforzarono gli archi della torre, si costrusse pure in cemento la scala che conduce sulla torre, si pensò ad aggiustare l'orologio, e distrutto il vecchio castello delle campane, lo si fece in ferro. In pari tempo si fece mettere a nuovo il simulacro della nostra bella Immacolata, di modo che per la quarta domenica d'Ottobre tutto fu pronto per la festa straordinaria. Per tale circostanza venne la cappella musicale di Mariano Comense, le Bande di Barzago e Besana, esclusa quella della vicina Barzanò, perchè in urto colle leggi chiesastiche. Alla sera feci illuminare a luce elettrica il campanile e la statua del Redentore. Il punto culminante della solennità doveva essere la processione col simulacro dell'Immacolata. Ma pioveva!... che fare? Non solo il popolo, ma anche i signori Sessa mi consigliavano a tentare la processione anche sotto la Pioggerella che cadeva. Mi decisi per il Si. Si esce di Chiesa, e mentre il popolo e le confraternite sfilavano sotto l'acqua, appena sortì di Chiesa la statua dell'Immacolata, l'acqua cessò, e più una goccia cadde quel giorno. La processione fu lunga, perchè si attraversò il giardino del Sig Giuseppe Sessa e si sortì alla Cascina Maria, a metà lo stradale che separa Cremella da Barzanò. Ad onta del tempo che non prometteva la processione vi erano abbastanza forastieri a godere di questo santo spettacolo di fede. Il popolo, veduto il cessar dell'acqua così repentinamente, oh! Disse, la Madonna la voleva proprio la processione in suo onore."

Il Parroco fu al centro di un'altra vicenda in quegli stessi anni: la richiesta di Prebone di staccarsi da Cremella. Don Giuseppe Villa, raccontando l'evento chiarisce i fatti. Il nucleo della cascina Prebone fu spesso al centro di questioni riguardanti il pagamento, dovuto o meno, delle tasse a Cremella. Questi problemi erano causati dalla distanza tra questa frazione e Cremella, tanto che nel Settecento se ne decise addirittura il distacco amministrativo e l'aggregazione a Monticello, pur restando, per competenza religiosa, dipendente dalla parrocchia di Cremella. Ma nel 1903 gli abitanti di Prebone sottoscrissero una petizione inviata al Cardinale Ferrari con la quale chiesero di essere annessi alla futura parrocchia di Cortenuova, che si sarebbe staccata dalla Cura di Besana. A Cortenuova tra l'altra si stava costruendo la nuova chiesa. Don Giuseppe Villa, venuto a conoscenza della richiesta, arrabbiato e dispiaciuto, fece ricorso al Cardinale per impedire il distacco della cascina, come infatti avvenne. Dell'accaduto scrisse nel Liber Chronicus: "In quest'anno ebbi un po' di subbuglio nella frazione di Prebone. Si stava fabbricando a Cortenuova la nuova chiesa ... erigendola in Parrocchia. I miei Prebonesi, essendo molto vicini a Cortenuova che non a Cremella, da cui dipendono, alla chetichella, sobillati consigliati e guidati da alcuni di Cortenuova stessa, fecero una petizione al Superiore, domandando di essere staccati da Cremella e aggregati alla nuova Parrocchia. Quelli che più smaniavano per essere incorporati ... erano quelli che di Chiesa ci sentivano poco, quelli che meglio della Chiesa di Cortenuova, corteggiavano il circolo vinicolo (il cantinone) di quel paese."

L'episodio tuttavia non era finito e il buon parroco dovette accorgersene suo malgrado poco tempo dopo. Don Giuseppe, rientrato dalle sacre funzioni del Venerdì Santo, si trovò sul tavolo la lettera con cui veniva messo al corrente del prossimo distacco di Prebone dalla Parrocchia di Cremella. Il decreto arcivescovile infatti dava soddisfazione alle richieste dei prebonesi, ponendo la clausola per cui la frazione avrebbe continuato ad essere di competenza di don Giuseppe finché fosse rimasto Parroco di Cremella. Il Curato reagì scrivendo con disappunto: "Fu davvero un colpo per me e mi son sentito come un pugno nel sangue... Intanto Prebone è mio ancora: ma quei terrieri lo ameranno ancora il loro Curato? Grossieri come sono non potrebbero augurare al loro Parroco di andare in Paradiso presto e magari subito? Buon augurio, Sì ma non dettato in questo caso da cristiana carità e dall'amore al proprio Pastore."