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S. Giacomo e il Camino de sant'Jago

San Giacomo Maggiore in un affresco della chiesa di Nostra Signora a Rabastens

San Giacomo in un affresco a Rabastens

 

 

S. Giacomo e il Camino de sant'Jago

di Luigi Beretta

 

 

S. Giacomo Apostolo detto il Maggiore 

Figlio di Zebedeo e di Salome, fratello di Giovanni Evangelista, nativo di Betsaida, di professione pescatore, fu da Gesù chiamato fra i primi all'apostolato, insieme col fratello ed essi, lasciato tutto, lo seguirono generosamente (Mt. IV, 12). Entrambi dallo stesso Gesù furono chiamati Boanerges, cioè figli del tuono (Mc III, 17) nome che ne rispecchia l'indole ardente, schietta ed aperta. Perciò forse i due fratelli furono prediletti, insieme con Pietro, dal divino Maestro, che li volle testimoni della Trasfigurazione, della Risurrezione della figlia di Giairo e della sua Agonia nell'orto dei Getsemani. La madre Salome osò chiedere per i suoi due figli che sedessero uno alla destra e l'altro alla sinistra di Cristo Gesù nel suo Regno, ma Gesù la corresse promettendo che avrebbero partecipato della sua gloria solo dopo aver bevuto il calice della Passione (Mt. XX, 20-23).

Giacomo infatti, dopo l'Ascensione di Gesù, predicò il Vangelo dapprima in Giudea e Samaria, poi, secondo una tradizione, si sarebbe recato in Spagna dove avrebbe convertito molti pagani alla fede. Ritornato in Gerusalemme incontrò la persecuzione di Erode Agrippa, che per ingraziarsi i Giudei lo mise a morte (Act. XII, 1-2). Giacomo fu il primo Apostolo martire nell'anno 42. E' il patrono protettore di Pisa e la sua festa si celebra il 25 luglio.

 

La leggenda di S. Giacomo e i pellegrini in viaggio per Santiago de Compostella 

Primo nel collegio dei Dodici, Giacomo ha subito la decapitazione per ordine del re Erode. Gli Atti degli Apostoli su questo punto tacciono, ma si sa bene, dalla cristianità medioevale che i sette discepoli del figlio di Zebedeo hanno imbarcato i suoi preziosi resti in una barca che vagando attraverso il Mediterraneo ha passato le colonne d'Ercole, costeggiato l'ultima costa d'occidente per approdare al porto estremo, sotto il promontorio dove finisce la terra. E proprio là san Giacomo era sbarcato per evangelizzare la Spagna. Il suo corpo venne nascosto a poca distanza dalla costa e la pace dell'oblio nascose la sua tomba: solo un inno mozarabico celebra questo ricordo che si attarda come bruna sul sole insanguinato. Ma nell'alto medioevo la cristianità, resistendo a tutti gli assalti, si radica su queste rive e Dio, per ricompensa, parla: nel IX secolo che si apre fremente dello strepito delle spedizioni franche (Chanson de Roland), una voce dall'estrema Galizia annuncia una stella nuova che si è levata dai campi dove mai nessuno ha lavorato nè bestia ha pascolato. L'eremita Pelagio in una visione viene avvertito che Dio si appresta a rivelare il luogo della sepoltura del suo Apostolo. Il vescovo del luogo fa perlustrare il terreno del campo della stella, campus stellae, Compostella ! Si scopre un sarcofago, confermato e riconosciuto da grandi miracoli, di cui forse il minore, se non il più precoce, è il fatto che la linguistica moderna non abbia osato rifiutare questa straordinaria storia. Sopra la tomba il re delle Asturie Alfonso II il Casto (791-842) fece innalzare la prima modesta basilica, segno della venerazione di cui il potere laico voleva circondare il corpo dell'Apostolo. Alfonso III il Grande (866-912) la ricostruì in marmo e trasferì a Compostela il seggio episcopale che prima era a Iria. Non è difficile cercare una spiegazione di tale fervore. Senza dubbio i re cristiani del nord della Spagna hanno, dopo il IX secolo, usato il patronato dell'apostolo come simbolo dell'unità cristiana nella lotta contro i musulmani, mentre gli ordini religiosi e in particolare Cluny, hanno messo a disposizione del pellegrinaggio la loro influenza e una parte delle loro immense risorse. Santiago simboleggia la reconquista della Spagna sui mori: croce contro mezzaluna, Cristo contro Maometto. Nonostante che il flusso e il riflusso degli infedeli abbia alternativamente sommerso e liberato la Spagna per molti secoli, è soprattutto durante l'XI e il XII secolo che esplode questo movimento di reconquista. Questa crociata fu posta sotto il segno di un santo e si scelse san Giacomo, anche perchè secondo la leggenda avrebbe evangelizzato la Spagna e nell'844, a Clavijo, mentre don Ramire combatteva i saraceni, sarebbe apparso, spada alla mano, cavalcando un cavallo bianco: il figlio del tuono avrebbe letteralmente sconvolto e messo in fuga gli arabi. San Giacomo divenne allora il Matamoro, lo sgominatore dei mori. Prima però di essere il Matamoro, Giacomo fratello di Giovanni non era forse conosciuto come uno dei più grandi Apostoli, testimone privilegiato del miracolo inesplicabile della Trasfigurazione, dove il Cristo si era rivelato prematuramente nella gloria della risurrezione e la cui liturgia, familiare agli orientali, penetrò in occidente precisamente attraverso la penisola iberica ? Giacomo era poi l'unico dei dodici il cui corpo, conservato sempre nello stesso sepolcro, non subì nè spostamenti nè atti vandalici, e questa integrità fisica, insigne privilegio del seggio di Compostela, che non ha lasciato spazio alle pretese d'altre chiese di possedere anche piccoli frammenti dei preziosi resti, aiuta a sufficienza a spiegare l'eccezionale fortuna del pellegrinaggio che si sviluppò nel medioevo attorno a questa località della Galizia. Non si ripeterà mai a sufficienza quanto fu viva nell'alto medioevo la coscienza di una continuità nel cristianesimo e della trasmissione apostolica ancora così vicina e viva: pregare alla tomba di san Giacomo era raggiungere uno dei compagni più vicini a cristo, uno dei primi apostoli, primus inter apostolis, così come invoca il canto di marcia dell'Ultreia (e oltre e sopra Dio ci aiuta) e arricchirsi vicino a questo corpo intatto di grazie abbondanti quanto Roma (luogo di sepoltura di Pietro) e della stessa qualità storica, in ricompensa di una fatica altrettanto impegnativa. Se palmiere era il pellegrino di Terra Santa (dal nome delle palme che andava a cogliere a Gerico), se Romeo, era il pellegrino di Roma, jaquot, jaquet o jaquaire (san Giacomo) era il pellegrino di Compostela. Con un lungo mantello a forma di pellegrina che copre tutto il corpo fino ai piedi, il pellegrino portava in capo un cappuccio. San Giacomo stesso non disdegna questo tipo di copricapo con la tradizionale conchiglia impressa anteriormente, mentre il bastone da viaggio chiamato bordone è il tipico attributo del pellegrino.

 

Cluny e il camino di Santiago 

Dopo la battaglia di Clavijo, alla quale presiedette in persona l'Apostolo, altri vittoriosi attacchi all'Almansour permisero al re Sancio il Grande di Navarra di riconquistare nel primo trentennio dell'XI secolo Logroño e Najera. Folle di pellegrini, fino a quel momento respinti dai mori all'estremo nord della penisola, poterono così rifluire nuovamente sulla Navarra e sulla Rioja. I re Navarri ripristinarono le strade e i ponti riattivando il cosiddetto camin francès, che da Roncisvalle passando per Burgos raggiungeva Compostela. Tra suolo di Francia e di Spagna si realizzò una catena ininterrotta di sogni e di speranze che davano corpo alla tenacia dei pellegrini. A quest'opera di allestimento e di assistenza lungo il cammino molti si sono dedicati, ma un nome emerge su tutti gli altri: Cluny. Preponderante fu la sua parte nella organizzazione delle tre crociate francesi e borgognone contro i mori in Spagna a sostegno dei Navarri. Di fatto dall'XI secolo fino all'abate Pietro il Venerabile nessuna autorità in occidente superò Cluny: era questa abbazia ad organizzare i pellegrinaggi a Compostela. Lungo la via, nelle tappe principali, c'erano monasteri dell'ordine cluniacense: Saint Gilles, San Pietro di Moissac, La Madeleine di Vézelay, San Giovanni di Angèly, sant'Eutropio di Saintes in terra di Francia e in terra di Spagna San Giovanni de la Peña vicino al passo di Somport, Najera, santa Colomba a Burgos, Fromista, san Zolio di Carrion, Irago, Cebrero, Sahagun. Gli abati di Cluny hanno sistematicamente lavorato per fare uscire la Spagna dall'isolamento in cui si era mantenuta nei confronti del resto della cristianità. I monaci cluniacensi hanno lavorato all'organizzazione metodica del pellegrinaggio di Santiago che metteva costantemente in rapporto i due versanti dei Pirenei contribuendo così a diffondere al di fuori della Spagna la gloria dell'apostolo della Galizia. Accanto a Cluny sorsero in Spagna altri istituti che parteciparono a realizzare il pellegrinaggio: canonici regolari di sant'Agostino provvedevano al servizio nel grande ospizio di santa Cristina restaurato nel 1108 da Gastone IV di Bèarn e dal vescovo di Oloron. E' comunque Pietro il Venerabile, abate di Cluny, a rendere di persona il più vibrante omaggio che conosciamo al santuario di Galizia. Scrivendo a papa Innocenzo II per raccomandargli l'elezione del vescovo di Salamanca al seggio arcivescovile di Santiago, ricordò al pontefice la gloria di questa chiesa ricca del corpo di un così grande Apostolo e nobilitata da tanti privilegi del seggio apostolico. Tra tutte le chiese di Spagna, ella è in testa, caput extulit; tra tutte le terre di Spagna ella chiede un titolare che sia nobile, prudente, onorabile e affidabile.

 

Cluny, Pontida, Cassago 

L'abbazia di Cluny e il movimento cluniacense sono legati a filo diretto con Cassago attraverso il monastero di Pontida. Il legame è talmente intrecciato che si estende primariamente proprio a san Giacomo, il santo amato e propagandato dall'abbazia borgognona, il santo a cui è dedicato, non a caso, il cluniacense monastero di Pontida, lo stesso santo che, dopo l'influenza di Pontida in questo paese, è diventato contitolare della chiesa parrocchiale di Cassago. La presenza in Cassago del monastero di Pontida sembra risalire ai primordi del XII secolo, quando l'abbazia di Cluny era al massimo fulgore della sua potenza. Per motivi non ancora noti, ma probabilmente dovuti alle incertezze politiche di quel secolo, alcuni uomini di Renate il 19 gennaio 1117 decisero di concedere in affitto al monastero di Pontida le terre e i cascinali di Cassago con un contratto a livello della durata di ventinove anni rinnovabili però in perpetuo. In pratica si trattava di una sub investitura che trasferiva ai monaci di Pontida i diritti e i doveri che i contadini di Renate si erano assunti con gli originari proprietari i nobili de Raude. In cambio di questa cessione di partecipazione al beneficio gli uomini di Renate oltre a ricevere alcune decine di danari, si assicurarono una candela lunga una spanna da ricevere ogni anno il giorno della festa di S. Martino. Questo atto, stipulato a Cremella dal presbitero locale Giovanni nella sua veste di rappresentante di Teudoaldo priore del monastero di Pontida, getta inoltre un nuovo squarcio di luce nella storia di Cassago, poichè segna l'inizio della presenza e della espansione di quel monastero in questo paese, la cui influenza perdurerà fino alla metà del '400. Lo stesso atto segna probabilmente l'inizio del trapasso delle prerogative feudali su Cassago dai de Rode al monastero di Pontida, che già nel XIII sec. ne governerà il castro nominando un proprio castaldo. La motivazione di questa consegna di poteri dai de Rode al monastero di Pontida si inserisce forse nel disegno politico attuato dall'arcivescovo milanese Anselmo III de Raude e dalla sua famiglia nella fase finale del suo episcopato milanese, quando fu sollecito nel favorire la diffusione dei monasteri dipendenti dall'abate di Cluny. Nel 1088 ad esempio aveva donato alla abbazia borgognona la chiesa di S. Maria di Calvenzano sulla strada per Lodi, sottraendola ad ogni altra giurisdizione compresa la propria. L'acquisizione di proprietà in Cassago nel XII sec. da parte del monastero di Pontida modificò la struttura amministrativa e giurisdizionale che si era venuta consolidando nel corso del X-XI sec. Gradualmente Pontida assunse infatti un ruolo di primaria grandezza tra i pochi grandi proprietari che potevano vantare diritti sulle terre, che corrispondevano all'odierno comune di Cassago. Verso la metà del XII secolo il centro abitato di Cassago era probabilmente già sottoposto alla influenza del monastero di Pontida che, dopo la prima acquisizione di terre nel 1117 quando era priore Teudoaldo, aveva perseguito un piano di espansione dei propri interessi in questa località. Vediamo così l'acquisizione di nuovi possedimenti agricoli nella campagna ove scorre il corso d'acqua denominato Roxello e soprattutto i diritti sulle decime di pertinenae della chiesa cassaghese di S. Maria. La giurisdizione su questa chiesa era esercitata certamente già prima del 1151, dato che proprio in quell'anno vi fu una contesa tra i monaci di Pontida e la chiesa di Missaglia che riguardava i diritti sulle decime ed i redditi derivanti dai fitti e dal censo delle terre in dotazione alla chiesa di S. Maria. Durante il priorato di Alberto, forse anch'egli un da Vimercate e zio di Pinamonte console di Milano, l'oggetto del conflitto fu esaminato nel 1151 da Guido nella sua veste di vescovo di Ostia, che pronunciò una prima sentenza ove diede ragione ai monaci di Pontida e torto ai Canonici di Missaglia. Una nuova e analoga sentenza venne ancora pronunciata nel 1186 in un privilegium di papa Urbano II, che riconfermò i diritti del monastero di Pontida riguardo la cappella o chiesa di S. Maria. Questo privilegium nel suo complesso sancisce l'importanza economica e politica raggiunta dal monastero di Pontida, mentre il contenuto della sentenza se da un lato documenta il livello dei poteri e dei diritti di Pontida sulla chiesa di S. Maria, dall'altro manifesta la novità del ruolo assunto da questo monastero nella gestione economica e spirituale di Cassago. Esso inoltre prospetta quale fu la primitiva origine di quei poteri feudali che sfoceranno nel secolo successivo nella istituzione del castaldato pontidese. I privilegi di Pontida furono ampiamente riconfermati nel 1210 a Pavia dall'imperatore Ottone IV, che "rendeva libero ed esente da ogni fodro e qualsiasi esazione il monastero di Pontida, con tutti i suoi castelli, ville, possessioni, case etc...".

 

Il castaldato di frate Zanebello 

L'estensione dei possessi di Pontida in Cassago non è del tutto nota, ma alcuni atti di compravendita o di consegna delle terre ai contadini suggeriscono una sia pur sommaria ricostruzione. Già s'è detto dei possedimenti al Rosello e delle pertinenze della chiesa di S. Maria nel XII sec. Altri terreni si aggiunsero nel XIII sec. nelle campagne circostanti dipendenti da Cassago, da Oriano e da Zizzanorre sotto forma di acquisizioni o di donazioni. I rovesci militari dei filo-imperiali e i nuovi rapporti che si profilarono tra impero e la città di Milano dopo la convenzione del 1185, che consentiva ai consoli milanesi di amministrare l'alta giustizia, provocarono certamente una redistribuzione delle terre a tutto vantaggio dei sostenitori e degli alleati di Milano, tra i quali troviamo il monastero di Pontida, che allora si trovava ai confini dei territori di influenza politica della metropoli lombarda. Le pertinenze in Cassago del monastero di S. Giacomo di Pontida si estendevano probabilmente per un ampio tratto, poichè si scoprono coerenze in stramonte e in silva Bazorago, cioè l'attuale collina del Baciolago, ma anche nella Brughiera di Oriano in campolongo e ad fontanam. Altre terre erano possedute verso l'attuale Montino fino ai boschi del Gambajone con estensioni anche in territorio di Bulciago. Curiosamente le proprietà della chiesa di S. Maria di Cassago vengono distinte da quelle del monastero di Pontida da cui comunque dipendevano. Questa situazione è significativa e forse ci ricorda che probabilmente diversa era la natura giuridica delle due proprietà. Tutto ciò trova la sua giustificazione nella differente genesi e costituzione dei due fondi: accanto al più recente, direttamente costituito da Pontida, coesisteva quello più antico della chiesa di S. Maria, che proveniva da un'epoca in cui la cappella, forse di costruzione signorile, fu dotata di terre per la propria autonoma esistenza e per l'esercizio delle proprie funzioni. La sopravvivenza nel 1206 del patrimonio della chiesa di S. Maria può indicare altresì che la sua acquisizione ad opera di Pontida era ancora troppo recente per giustificare la sua integrazione con le altre proprietà, e può anche esprimere la natura propria di questo fondo acquisito da Pontida come struttura intrinsecamente autonoma. Altri atti del XIII sec. ricordano ancora le terre di Pontida. Nel 1215 sono citate nuovamente le proprietà giacenti in territorio de Tornago ubi dicitur ad raxellum o Rosello e quelle ubi dicitur in Vignane affittate entrambe a Gregorium de Lanfrancho, che abitava in loco Cassago. Il monastero di Pontida possedeva ancora altri appezzamenti di terre nella campagna che era solcata da un corso d'acqua chiamato flumen bibere o Bevera, sul cui percorso sorgeva in prossimità di Nibionno un molandino o mulino detto di Tozola, che era gestito dai due fratelli Andrea e Guglielmo. Altre terre si aggiunsero nel 1288 grazie ad un atto di compravendita che vide come protagonista un certo Zanebello frate converso, il quale agiva con la qualifica di castaldus pro ipso monasterio in loco Caxago. Il documento fu stilato il 6 aprile 1288 a Cassago ed è importante per la storia locale perchè oltre a individuare i terreni acquistati, ci offre uno spaccato unico della vita locale in quello scorcio tardivo del XIII secolo, soprattutto in relazione ai nuovi rapporti giuridici ed istituzionali che stavano rapidamente evolvendo nella società lombarda in generale e rurale in particolare. I grandi centri di potere feudali dell'alto medioevo erano ormai in declino, incapaci di reggere il confronto con i nuovi ceti emergenti, commercianti, artigiani, piccola e media nobiltà, che reclamavano per sè la gestione del potere e di tutte le sue prerogative. Già nel 1248 nella vicina corte di Cremella Arderico da Sorexina arciprete di Monza aveva dovuto limitare i suoi poteri concedendo il gastaldato al signorotto locale Andelloo da Fossato. Nel 1288 sembra riprodursi lo stesso scenario anche a Cassago, dove Zanebello opera appunto nella qualità di gastaldo o castaldo. In età longobarda questo termine designava un funzionario eletto dal Signore per amministrare le corti regie, ma dall'età carolingia in poi la sua autonomia andò aumentando, tanto che, ricevuto il bastone o baculo del comando con apposita cerimonia, poteva grazie a questa delega istruire un tribunale e attribuirsi funzioni di giudice decidendo in prima istanza litigi e reati minori. Poteva esigere ogni genere di tributo e godeva della facoltà di eleggere i consoli e di riceverne il giuramento di fedeltà. Nel Trecento la presenza del monastero di Pontida in Cassago si sviluppò in direzioni che debbono essere messe in relazione alla decisione presa da papa Bonifacio VIII di assegnare questo monastero in commenda. Nel 1330 al cardinale Guglielmo Longhi successe come commendatario Giovanni Visconti prevosto di Pontirolo. Le maggiori proprietà in Cassago erano tuttavia ancora di pertinenza del monastero di Pontida, che godeva di un ruolo di primo piano e di grande prestigio nella gestione sia religiosa che amministrativa del centro abitato. Nel maggio del 1348 era stato redatto un atto dal notaio Beltraminum dictum taminum de Molteno nel quale gli uomini di Cassago "protestavano", cioè accettavano la signoria del monastero sulle terre e su altri beni esistenti nel paese. A sua volta il monastero di Pontida concedeva tali proprietà in affitto sia a livello che con contratto a termine ai nobili del posto, che a loro volta li davano da coltivare ai contadini. Nel documento si fa cenno all'esistenza di varie case o domos, ad abitazioni rurali o cassinas, oltre che a selve, boschi, brughiere, terreni coltivabili e a certi diritti di riscossione delle decime. Le proprietà si estendevano principalmente sul territorio di Cassago, ma avevano propaggini anche nei paesi vicini ed erano complessivamente denominate come "possessione de Cassago". In quell'anno priore maggiore e commendatario del monastero era il cardinale Giovanni Colonna (1342-1348), che godeva del titolo di diacono di S. Angelo in Roma e che si distinse per una politica rigorosa di esazione soprattutto a carico del clero. Le condizioni generali di conduzione di questa "possessione de Cassago" sono note da un altro istromento del 17 marzo 1386. A quell'epoca il priore maggiore e commendatario era il cardinale francese Filippo d'Alençon, vescovo di Ostia (1379-1397), che apparteneva alla stirpe reale dei Valois. Filippo d'Alençon era infatti il secondogenito di Carlo II di Valois, conte d'Alençon. Il d'Alençon in ogni caso non governava più direttamente Cassago. Delle sue prerogative era stato subinvestito infatti il nobile Marchollus Rozius figlio di un certo Michaellis abitante in Melzo, il quale aveva acquistato la qualifica di Affittuario Generale de' Beni e dei redditi del priorato di Pontida con pubblico istrumento rogato il 20 marzo 1386 da Odorichus Nicholaus chierico della diocesi di Aquileia, di cui il d'Alençon era patriarca commendatario. Ed è appunto il tale veste che Marchollus Rozius il 17 maggio 1386 usò del suo diritto di subinvestire la "possessione de Cassago" alle principali famiglie nobili e aa alcuni contadini o massari, che a quell'epoca abitavano quel paese. L'affitto di queste terre era un fatto abituale ancora prima dell'avvento del Rozio: nel 1383 ad esempio erano stati gli stessi monaci di Pontida a concedere l'uso delle terre con un atto rogato il 4 dicembre da Paolinum de Hoe. Alcuni rappresentanti della Comunità intera, nella loro veste di procuratori, sottoscrissero il 17 maggio 1386 il contratto di affitto con il Rozio, che venne stipulato a Melzo dai notai Mafiolus de Busso e Marcholus de Ello. Oltre alle solite raccomandazioni di conservare e migliorare la proprietà, il contratto prevedeva alcune interessanti clausole, tra cui sicuramente va ricordata quella che imponeva alla Comunità di "solvere presbitero de Cassago omne ac totum id quod eidem solitum est solvi pro offitiando ad ecclesiam dicti loci et eum manutenere suis expensis": gli uomini di Cassago cioè, come era d'abitudine, si dovevano impegnare a mantenere a proprie spese un sacerdote per l'esercizio delle funzioni religiose nella chiesa del paese. Questa cura dei monaci nell'assicurare al paese una duratura assistenza religiosa giustificherà nel tempo la dedicazione della chiesa a S. Giacomo accanto alla primitiva dedicazione a S. Brigida vergine d'Irlanda.

 

Festa di san Giacomo a Cassago 

La festa liturgica di san Giacomo non compare nel primo elenco a noi noto che descrive tutte le feste di voto o di consuetudine celebrate nella parrocchiale di Cassago nella prima metà del XVI sec. Il primo accenno alla festa di S. Giacomo risale al 1571, quando il 1 giugno fu stipulata una convenzione fra la Comunità di Cassago e il parroco Antonio Brambilla. Fra le varie condizioni sottoscritte sotto la vigile attenzione di san Carlo Borromeo ne compare una che recita: “siano tenuti (petro martire delfinoni, gabriele e cristoforo fumagallo a nome e come rappresentanti della comunità) mantenere tutte le cose necessarie ala suddetta chiesa cioè paramenti cira oleo et altre cose pertinenti alla administratione delli sancti sacramenti item releverano il predeto curato della spexa quale fusse bisogno fare la festa di sancto Jacomo alli sacerdoti quali venissero alla predeta chiesa a celebrare sancti officij in detta festa.” La festa era dunque a carico della comunità di Cassago, ma a quanto pare non era celebrata con regolarità: quale ne fusse bisogno, recita il documento. Questa parte della convenzione sembra in realtà riprendere un analogo impegno che la comunità di Cassago si addossava all'epoca della presenza del monastero di Pontida e cioè quello di badare a proprie spese al mantenimento in paese di un sacerdote addossandosi l'onere delle celebrazioni liturgiche. Già durante l'età della presenza di Pontida tra le feste non deve essere mancata quella di san Giacomo a cui era dedicato il monastero stesso di Pontida fondato da Alberto da Prezzate nell'XI secolo. Ma è solo dal '500 che tale festa liturgica sarà celebrata con più regolarità, retaggio del domino pontidese, ma ormai parte viva e integrante della religiosità locale. La forza di questa tradizione la si nota soprattutto nel vigore con cui si afferma il titolo di san Giacomo per la parrocchiale di Cassago in associazione al ben antico titolo originario di santa Brigida vergine d'Irlanda. Nel '600 la festa di san Giacomo viene celebrata con più regolarità: in un libro della Schola sono annotate puntigliosamente entrate e uscite della parrocchia e fra queste appare sempre la sua festa. Nel 1623 leggiamo che furono riscosse 52 lire per la cera venduta a sancto jacomo; nel 1624 si trova che per la festa di sancto Jacomo furono dati al parroco 25 lire. La festa è sopravvissuta nei secoli anche se generalmente ha goduto di minore importanza rispetto a quelle celebrate per sant'Agostino e santa Brigida. In ogni caso la festa di san Giacomo è stata prescelta come festa patronale (anche se non ho mai trovato un atto che lo accertasse) e oggi dopo qualche anno di appannamento sta riprendendo quota. Un aspetto che rende questa festa un po' particolare è l'abitudine di bruciare un pallone, la cui origine non è documentata. La tradizione però e la memoria popolare ne conservano il ricordo.

 

Il pallone di S. Giacomo 

In antico nelle feste dei santi più solenni, tutto il clero si recava processionalmente alla chiesa per i Vesperi e la messa. In processione non si portavano i candelieri ai fianchi della croce, ma le candele si ponevano sulla sommità e sulle braccia della croce. Quando la processione giungeva all'ingresso del presbiterio, con la candela posta sulla sommità della croce si accendeva il pharus o corona: sopra di essa si collocava un anello di bambagia a cui veniva dato il fuoco, che accendeva le singole lampade. L'uso si è poi trasformato e ora nelle feste di un santo martire, titolare o patrono, è un globo di bambagia che viene bruciato dal celebrante con tre candeline poste all'estremità di una verga e vorrebbe significare il sacrificio della vita del martire. Il fatto che il celebrante un tempo entrasse portando la croce astile sormontata da tre candele è significativo. Questa antica usanza della croce risplendente di gloria introduce visivamente il tema della luce vista come gloria di Dio o come nel testo giovanneo in cui Cristo è luce che viene dalle tenebre per illuminarle. Questo simbolismo viene ripreso dal lucernario delle Lodi e dei Vesperi. Anche il numero delle candele, tre, sembra dichiarare in tutta evidenza il suo significato simbolico riferendosi alla trinità. E' poi importante che sia il celebrante stesso ad accendere il lampadario, poiché riprendendo il passo giovanneo, la luce viene nelle tenebre ma le tenebre non l'hanno accolta, i figli della luce invece sì. Il lampadario illumina i fedeli riuniti in chiesa, i fedeli che hanno accolto la salvezza e sono così figli della luce, primizia per tutti. La posizione del lampadario posto sotto l'arco trionfale al confine fra il presbiterio (abitazione di Dio) e la navata (arca della salvezza) dove è riunito il popolo dei fedeli, fa del lampadario stesso il simbolo di Cristo, che illumina gli uomini con la verità della fede. Il pallone dedicato al martire aggiunge altri motivi complementari. Bisogna ricordare che nella chiesa primitiva il martirio era l'unica forma di santità possibile. Il martire è colui che si è reso in tutto simile a Cristo, come lui sacrificando la propria vita per testimoniare la fede. Il martire finisce per partecipare col proprio corpo alla funzione sacerdotale del Salvatore. Così il pallone che prende fuoco dalle tre candeline alzate dal sacerdote è la vita del martire che si consuma per la fede ardente nella trinità. Anche i il bianco dell'ovatta non è casuale: liturgicamente il bianco è il colore riservato alle solennità di Cristo, come il Natale o la Pasqua; è il colore dello splendore e della gloria di Dio. In antico era il colore riservato ai martiri perchè uniti nella gloria di Cristo Dio. La forma sferica rappresenta probabilmente la totalità del sacrificio del martire.