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Stemma dei Pirovano in una lastra tombale nel monastero di Civate

Stemma dei Pirovano su una lastra tombale a Civate

 

 

L'ABATE FRANCESCO PIROVANO TORBIDISSIMO E SANGUINARIO UOMO

Natale Perego

tratto da Homini de Mala Vita p. 160-161

 

 

Nell'ultimo esempio che proponiamo, è una ben determinata volontà omicida a sostituirsi alla carità ed ha per protagonista addirittura l'Abate commendatario del monastero olivetano di Civate.

A metà del XVII secolo, la commenda dell'abbazia di Civate era nelle mani della nobile famiglia patrizia dei Pirovano, nella persona di monsignor Francesco Pirovano.

Per commenda si deve intendere la titolarità e usufrutto di un beneficio ecclesiastico, consistente in possessi e proventi legati ad una qualsiasi carica ecclesiastica. La titolarità di una commenda non comportava l'obbligo di residenza nel vescovado o nell'abbazia, la qual cosa generò molteplici abusi, con ripercussioni sul livello morale complessivo della Chiesa. Nel caso di Civate, a metà Seicento, mons. Pirovano godeva dei benefici del monastero ecclesiastico vivendo a Milano, in quanto esponente dell'alto clero patrizio milanese, con sicuri agganci alla curia papale romana, un religioso che si era fatto largo attraverso pratiche nepotistiche.

La trattazione della vicenda delittuosa è inserita in un approfondito saggio che analizza i rapporti economici e spirituali fra monaci, parrocchia e comunità di Civate di E. Brambilla, Politica, Chiesa e Comunità locale in Lombardia, l'Abbazia di Civate nella prima età moderna (1500-1700) in Nuova Rivista storica, anno LXXI, gennaio-aprile 1987.

Le molteplici proprietà che costituivano i beni dell'antico monastero, dai quali i monaci e l'abate commendatario traevano i loro profitti, nel 1652 caddero sotto l'occhio vigile del fisco spagnolo che chiese conto ai monaci di dimostrare i loro diritti di proprietà e di pesca su alcuni laghi nei monti di Brianza. I monaci, seccati, risposero genericamente che il loro ius piscandi et prohibendi risaliva a 800 anni prima e non era mai stato messo in discussione da alcuna autorità civile.

Questo controllo fiscale cadeva in un momento in cui era in atto un confronto serrato fra il governatore Caracena e l'arcivescovo Litta.

Il fisco spagnolo voleva accertare più concretamente quei diritti e inviò, nel novembre del 1652, a Beverate di Brivio un bargello di campagna di Milano, Carlo Pasquini, con alcuni soldati, per prendere possesso delle proprietà del monastero sul lago di Brivio. Qui, il Pasquini, dopo aver percosso l'agente dell'abate Pirovano e insultando l'abate stesso, entrò di forza nei beni ritenuti del monastero, beni che godevano della famosa immunità ecclesiastica, sottratti ad ogni giurisdizione dello Stato.

La reazione dell'abate fu immediata, in difesa del suo onore e dell'immunità dei possedimenti del monastero. inviò un suo bravo, un certo Gerolamo Villa di Cremella, a Milano che con un'archibugiata uccise il bargello Pasquini. L'assassino cercò di nascondersi presso il convento di san Damiano, ma - ironia della sorte - fu catturato prima che potesse rifugiarvisi. Nel corso del processo fece il nome dell'abate Pirovano come ideatore e mandante del delitto, per cui il 13 maggio 1656 l'abate venne condannato alla perdita di ogni beneficio ecclesiastico.

E' una triste vicenda che vede un religioso comportarsi come un nobilotto qualsiasi del tempo. In fondo, questo abate commendatario che si circondava di bravi, che era definito dal cardinale Litta di Milano come un "torbidissimo sanguinario" uomo, che sfuggiva ogni processo, aveva difeso con le armi non tanto il beneficio ecclesiastico del monastero e quindi della Chiesa, ma se stesso, il suo prestigio e soprattutto dei beni materiali che sentiva come suoi, una sua proprietà.

Insomma non c'era nulla di religioso nel suo comportamento, ma solo un'equivoca concezione di immunità ecclesiastica, piegata a sostegno di interessi personali e familiari. Ancora una volta si era sparato e ucciso, una reazione violenta che coinvolgeva la Chiesa e che, suo malgrado, la vedeva sciaguratamente protagonista attraverso un suo indegno esponente. Immunità ecclesiastica e diritto d'asilo, estrapolati da ogni dimensione di generosità e umanità, avevano alimentato un comportamento criminoso.