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PITTORI: Guillaume De Marcillat

tino

Sant'Agostino

 

 

GUILLAUME DE MARCILLAT

1510-1520

Cortona, chiesa di S. Domenico

 

Sant'Agostino

 

 

 

L'affresco risale alla prima metà del Cinquecento ed era ubicato sopra al primo altare di sinistra. Fu staccato dal muro nel 1957 ed esposto in quell'anno a Firenze alla "Mostra degli affreschi staccati" al forte Belvedere di Firenze.

Il santo vescovo Agostino è raffigurato, secondo la tradizione, con il cuore in mano a testimonianza del suo amore per Dio e il prossimo. Due putti si affiancano alla sua immagine, dando maggiore consistenza al classicheggiante impianto compositivo. Incerta ne è l'attribuzione. Da una certa critica viene ritenuto opera di Guillaume de Marcillat, perché presenta analogie con la vetrata realizzata dall'artista nel Duomo di Arezzo, la testa del santo è simile a quella di san Tommaso della vetrata aretina.

Altri critici propendono invece per l'attribuzione a Tommaso Bernabei detto Papacollo, pittore cortonese. Altri infine lo attribuiscono a Raffaellino del Colle. Agostino indossa l'abito nero dei monaci agostiniani e al fianco porta la cintura, simbolo ancora attualissimo dei monaci di quest'Ordine. L'autore dell'affresco ha voluto sottolineare con questa simbologia la convinzione che Agostino sia stato il vero fondatore dell'Ordine che ne porta il nome. Ai piedi del santo si possono notare dei libri, un simbolo che indica la sua enorme produzione letteraria a difesa della ortodossia cattolica.

Nel libro nono delle Confessioni Agostino si esprime con queste parole: sagittaveras tu cor meum charitate tua, hai ferito il mio cuore - ricorda Agostino - con il tuo amore. Esse esprimono in forma poetica il grande amore che Agostino aveva per Dio.

Un amore così grande da essere rappresentato simbolicamente con un cuore fiammante trafitto da una freccia. Questo tipo di rappresentazione godrà di grandissima fortuna iconografica dal 1600 in poi, tanto da essere un punto fermo nel logo che lo stesso Ordine Agostiniano adotterà per il suo Stemma Ufficiale. Il cuore è l'elemento caratteristico di questo tema iconografico: Agostino lo tiene in mano, talvolta è attraversato da una freccia, o anche viene offerto al Signore.

 

La chiesa di san Domenico fu costruita in stile gotico italiano alla fine del Trecento, ma già nel 1557 si resero necessari importanti lavori di restauro. La chiesa apparteneva all'Ordine Domenicano da cui la consacrazione a san Domenico. Nella facciata quattrocentesca il portale è sormontato da un arco a sesto acuto. Nella lunetta si può osservare un affresco del Beato Angelico (1439-1440) che raffigura la Madonna col Bambino tra i santi Domenico e Pietro martire. Sul fianco destro le tracce di otto pilastri ricordano l'esistenza in loco di un portico. La parte posteriore della chiesa evidenzia tre absidi rettangolari. Il campanile, originariamente a pianta quadrata, conserva ancora due lati angolari con arco a tutto sesto. L'interno è realizzato su una unica navata. Sull'altare centrale si può osservare lo splendido trittico di Lorenzo di Niccolò Gerini che raffigura l'Incoronazione della Vergine tra angeli musicanti e dieci santi. Ai piedi dell'altare maggiore si conserva dal 1445 il corpo del Beato Pietro Capucci da Tiferno. Sui vari altari si possono ammirare autentiche opere d'arte: un pregevole Crocifisso cinquecentesco, la Deposizione di Baccio Bonetti e l'Assunzione di Bartolomeo della Gatta. In origine le pareti erano affrescate con dipinti del Beato Angelico e di artisti della scuola del Signorelli, che verso la metà del XVI secolo vennero imbiancate: di questi affreschi oggi restano solo rari lacerti.

 

 

Guillaume De Marcillat

La vetrata di Marcillat che raffigura S. Agostino in cattedra affiancato da due Angeli che gli porgono il libro ed il pastorale si trova nella finestra della facciata della chiesa di S. Agostino a Monte San Savino (Arezzo). L'opera fu realizzata nel 1524, come testimoniano i documenti: allogata 1524; saldo pagamento 6/1/1525. La recente critica propone quale autore delle vetrata Maso Porro che realizzò l'opera su cartone di Guillaume de Marcillat. La realizzazione di tale vetrata si colloca cronologicamente a seguito del completamento della serie delle bifore per il Duomo di Arezzo che segnò il culmine dell'arte del Marcillat per la complessità degli spunti, dei contesti architettonici e del repertorio tecnico espresso. L'occhio per la chiesa di S. Francesco sempre in Arezzo segna invece l'inizio dell'ultima parte dell'attività nota del Maestro che appare al contrario caratterizzata dal ritorno ad un maggior equilibrio compositivo, a quel "classicismo" cioè, che aveva contraddistinto la prima fase della carriera italiana dell'artista nelle sue opere romane e cortonesi, comprese quelle eseguite a Cortona per Arezzo fino al 1517. Pur non dimenticando i modelli michelangioleschi, lo studio della linea costruttiva e dello scorcio, la suggestione degli effetti di preziosismo dati dalla varietà coloristica delle grisaglie, dall'uso del giallo d'argento e dei vetri placcati ed incisi, in quest'ultima fase di attività, il Maestro sembra sfrondare le composizioni dall'eccesso di "manierismo", tornando a schemi più semplici e meno movimentati, ad inquadramenti architettonici più sobri, a figure più statiche e monumentali e ad una riduzione della ricerca dell'effetto virtuosistico ed illusionistico dei dettagli dell'ambientazione e dell'abbigliamento delle figure. Rimangono tuttavia in questa vetrata molti legami col passato: ad esempio la scelta degli accostamenti coloristici basata sul contrasto tra blu, rosso e viola può essere considerata tradizionale per il Maestro fin dalle opere cortonesi del 1516, così come il gusto per la simulazione delle varie qualità dei marmi dell'inquadramento architettonico è un elemento che risulta tra i più ricorrenti nelle vetrate aretine; la stessa nicchia a conchiglia che inquadra la figura di S. Agostino sembra una versione ridotta dell'abside che compare nel prospetto della vetrata con Cristo e l'Adultera, così come le colonne tuscaniche con capitelli dorati erano presenti sempre nel Cristo e l'Adultera e nell'occhio di S. Francesco con Onorio III e S. Francesco. Anche il fregio antichizzante realizzato in giallo d'argento che corre sulla trabeazione ha i suoi punti di assonanza con i decori architettonici delle vetrate della Cattedrale aretina, ma soprattutto con le cornici a monocromo di alcune vetrate eseguite dal Maestro per la chiesa della SS. Annunziata sempre in Arezzo. Studi recenti tuttavia hanno proposto quale autore Maso Porro da Cortona, uno degli allievi dell'Artista, probabilmente operante su cartone o su progetto del Maestro. Secondo questa analisi il S. Agostino sembra possedere maggior dignità e nel movimento e nell'espressione ispirata del volto, tuttavia sono rilevabili manchevolezze nella costruzione anatomica, associata a una certa sciattezza nella fattura e alla presenza di alcuni dettagli rifiniti alquanto grossolanamente. Del resto già il Vasari non aveva espresso un parere lusinghiero sul Porro scrivendo "... valse più nel commetterle [le vetrate] e nel cuocere i vetri, che nel dipignerle ...". Oltre alla valutazione critica, anche un altro fattore avvalorerebbe l'ipotesi attributiva: nei libri mastri della bottega del Marcillat, che riportano tutti i dati delle commesse, dei pagamenti, dei rifornimenti etc., pur se allogata al Maestro, la vetrata viene poi detta "portata in conto" da Maso Porro al momento del pagamento.