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PITTORI: Vasari Giorgio

Sant'Agostino e Sant'Ambrogio

Agostino e Ambrogio

 

 

VASARI GIORGIO

1545-1546

Napoli, Museo Nazionale di S. Martino

 

Sant'Agostino e Sant'Ambrogio

 

 

 

Il dipinto è mutilo e in origine apparteneva a un insieme di ben più vaste proporzioni. Realizzato su tavola con la tecnica ad olio, raffigura Sant'Agostino contrapposto a Sant'Ambrogio con una forte dinamica emotiva.

La primitiva collocazione dell'opera era nella chiesa agostiniana di S. Giovanni a Carbonara a Napoli: attualmente si trova conservata nel Museo Nazionale di S. Martino sempre a Napoli. Il santo è raffigurato come vescovo con la mitra in testa e un libro nella mano destra. Il suo viso esprime una straordinaria grazia e dolcezza  nello sguardo. Una folta barba gli copre il viso e il petto coprendo in parte la cocolla nera che emerge dal piviale. La presenza della cocolla, che richiama i monaci agostiniani, fa presumere una committenza agostiniana dell'opera.

 

Agostino compare con Ambrogio in diverse circostanze: nel battesimo impartitogli a Milano, come Dottore della Chiesa, nella scena della A logica libera nos, nel Te Deum. In ogni caso la figura di Ambrogio si staglia nettamente, per l'importanza del santo, che Agostino riconobbe come proprio maestro: rigator meus. Ambrogio fu vescovo di Milano in un periodo travagliato dell'impero romano, percorso da correnti di pensiero diverse e con rigurgiti di paganesimo. Ambrogio si palesò come il baluardo estremo del cristianesimo contro ogni avversità.

A Milano, grazie anche all'ascolto delle splendide prediche del santo vescovo Ambrogio, Agostino trovò quello che cercava, ovvero la fede in Gesù Cristo che gli dette quella gioia piena e quell'appagamento totale che aveva sempre cercato, magari affidandosi anche a dottrine, come il manicheismo, rivelatesi poi fallaci ai suoi occhi. Durante le dieci puntate della trasmissione verrà presentata la personalità di questo gigante della fede e della cultura, e sarà messo particolarmente in luce il legame tra vita e fede, fra filosofia e amicizia, fra ricerca intellettuale e amore di Dio, che rappresenta la nota distintiva della figura di Sant'Agostino.

Nella notte di Pasqua del 387 dopo Cristo, a Milano, il vescovo Ambrogio battezza Agostino, l'intellettuale di Tagaste (l'odierna Souk Arhas in Algeria), che diventerà vescovo di Ippona e che influenzerà la cultura europea con il suo pensiero, come del resto l'opera di Ambrogio darà un'impronta ai rapporti Chiesa-potere politico nel segno della reciproca autonomia. Quella solenne liturgia celebrata nella speranza che Cristo risorga, che la morte sia vinta e si compia la promessa di rinascita, è evento sul crinale tra due epoche. Il mondo antico collassa, l'Impero si sgretola tra congiure di palazzo, guerre che prosciugano le casse statali, inflazione, carestie, disastri economici, invasioni, spinte secessioniste. E il nuovo, che pur c'è, annunciato da scossoni e spinte, da trasformazioni concrete anche se difficili da leggere, stenta ad affermarsi.

 

In questa città era allora vescovo Ambrogio, uomo eccellente fra i migliori e sommamente gradito a Dio. Questi predicava molto frequentemente la parola di Dio nella chiesa, e Agostino seduto in mezzo alla gente lo stava a sentire con la massima attenzione.

POSSIDIO, Vita di Agostino, 1, 3

 

 

Giorgio Vasari

La formazione artistica di Vasari fu composita, fondata sul primo manierismo, su Michelangelo, su Raffaello e sulla cultura veneta. Come pittore la sua formazione iniziò ad Arezzo nella bottega di Guglielmo di Marcillat, pittore di vetrate francese di buon talento. Come architetto Vasari fu l'artefice delle iniziative promosse da Cosimo I de' Medici, contribuendo, grazie anche alla protezione di Sforza Almeni, ai grandi cantieri di Firenze e in Toscana, tra cui spiccano la costruzione degli Uffizi e la ristrutturazione di Palazzo Vecchio. La fama maggiore del Vasari è legata al trattato delle "Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri", pubblicato nel 1550 e riedito con aggiunte nel 1568. L'opera, preceduta da un'introduzione di natura tecnica e storico-critica sulle tre arti maggiori (architettura, scultura e pittura) è una vera e propria pietra miliare della storiografia artistica, punto di partenza a tutt'oggi imprescindibile per lo studio della vita e delle opere dei più di 160 artisti descritti.

Fra le sue opere di maggior pregio su tavola va considerata la Cena di S. Gregorio del 1540 alla Pinacoteca Nazionale di Bologna per il Refettorio di S. Michele in Bosco della città. Caratteristica del suo essere artista è il fare cortigiano e imprenditoriale che lo portò ad avere grandi commissioni a Firenze, Roma, Napoli, Bologna, Venezia. Fra i suoi collaboratori, fu molto attivo e di un qualche talento Cristofano Gherardi.