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PITTORI: Bellini Giovanni

Cristo in trono tra san Vincenzo Ferrer, sant'Agostino, sant'Elena e san Francesco d'Assisi

Cristo in trono tra san Vincenzo Ferrer, sant'Agostino, sant'Elena e san Francesco d'Assisi

 

 

BELLINI GIOVANNI

1469

Venezia, Galleria dell'Accademia

 

Cristo in trono tra san Vincenzo Ferrer, sant'Agostino, sant'Elena e san Francesco d'Assisi

 

 

 

Il dipinto, conservato a Venezia presso la Galleria dell'Accademia, ha per soggetto il Cristo in trono tra san Vincenzo Ferrer, sant'Agostino, sant'Elena e san Francesco d'Assisi. La pittura è stata eseguita su tela e misura cm 136 in altezza e 407 in larghezza. Il critico d'arte Federico Zeri ha proposto l'attribuzione dell'opera a un altro componente della famiglia Bellini e cioè Gentile.

 

 

Figlio del celebre Jacopo, fratello di Gentile e cognato di Andrea Mantegna, Giovanni Bellini operò nella sua Venezia (città che ospitava pittori come Antonello da Messina, Giorgione, Tiziano e tutti gli artisti più importanti di quel periodo) e fu il grande inventore della rappresentazione dei sentimenti e della natura in pittura. Attraverso le sue opere si può percepire "come egli fu il più grande pittore del secondo Quattrocento in Italia". Il "Giambellino" era "un uomo che sapeva osservare e nei suoi quadri questa capacità si può cogliere istintivamente. I suoi oggetti sono veri, i suoi alberi sono sempre diversi e rappresentano alla perfezione le varie tipologie. Bellini conosce alla perfezione quello che rappresenta. Nella sua pittura c'è intensità, potenza, ma anche calma."

Giambellino è il soprannome di Giovanni Bellini veneziano, pittore italiano, la cui influenza fu determinante nello sviluppo della pittura veneta tra XV e XVI secolo. Figlio di Jacopo e fratello di Gentile Bellini, risentì nelle sue opere giovanili soprattutto dell'influsso del cognato, il pittore padovano Andrea Mantegna: da quest'ultimo Bellini apprese l'arte dello scorcio prospettico, la resa plastica della figura umana, l'importanza delle linee di contorno e dello schema della composizione, come si può notare nell'Orazione nell'orto (1460 ca., National Gallery, Londra).

Tuttavia Bellini maturò presto uno stile proprio, caratterizzato da una particolare percezione della luce e del colore, da una spiccata sensibilità per il paesaggio naturale e dalla straordinaria capacità di ritrarre nei suoi personaggi sentimenti ed emozioni. Questa impostazione stilistica si modificò ulteriormente negli anni successivi. A partire dal 1470 le tele di Bellini sono sempre più dominate dal colore, che arriva a sfondare la forma fino a diventare assoluto protagonista della composizione. L'artista apprese dall'arte fiamminga e dall'opera di Antonello da Messina le possibilità tecniche ed espressive della pittura a olio, che da allora preferì sempre alla tempera. Le campiture di colore acquistarono così maggiore profondità e si piegarono a esplorare le infinite relazioni tra luce, aria e materia; la distinzione tra forme e spazio diventava meno evidente, il colore si espandeva a rendere la luce e l'aria, i contorni scomparivano gradualmente, mentre le figure risultavano costruite dalla luce e dall'ombra. Il San Francesco (1480 ca., Frick Collection, New York) e la Trasfigurazione (1480 ca., Museo di Capodimonte, Napoli) sono due tappe importanti di questo processo di crescita artistica, il cui linguaggio si farà più sicuro nelle opere del decennio seguente: la Pala di San Giobbe (1485 ca.) e la Madonna degli alberi (1487), entrambe all'Accademia di Venezia, e il più strutturato Trittico dei Frari (1488, Chiesa dei Frari, Venezia). Lo stile di Bellini giunse a piena maturazione verso il 1500.

Già nel San Francesco, il ruolo di primo piano attribuito al paesaggio e alla natura, unitamente alla perfetta resa dei dettagli descritti alla maniera fiamminga, rappresentavano un traguardo espressivo fino ad allora senza eguali. Bellini lavorò quindi a una serie di monumentali pale d'altare dedicate alla Madonna in trono tra santi, nelle quali le figure, lo spazio, la luce, le architetture e i paesaggi si compongono in un equilibrio perfetto, in un'armonia di relazioni e rimandi che pare frutto di un felice stato di grazia, del tutto spontaneo. Questi dipinti, tra cui si ricorda la Madonna con il doge Agostino Barbarigo (1488, San Pietro Martire, Murano), sono splendidi esempi di arte rinascimentale.

Lo stile più tardo di Bellini è evidente nella Pala di San Zaccaria (1505, San Zaccaria, Venezia), dominata da un'atmosfera particolarmente calda, all'interno della quale le figure, gli sfondi, la luce e l'aria si fondono l'uno nell'altro, aspetti diversi di un'unica realtà. Rispetto al periodo precedente, la luce è meno densa e le superfici e i contorni sono più sfocati, quasi aerei. Il Festino degli dei (1514, National Gallery, Washington), terminato da Tiziano, testimonia infine di un Bellini ultraottantenne ancora duttile e creativo, capace, poco prima della morte, di volgersi a soggetti per lui inediti, attinti alla classicità pagana. Enorme fu l'importanza storica di Bellini. Con il suo percorso artistico durato 65 anni, incentrato sullo studio della luce, la resa del paesaggio e la rappresentazione di una calda umanità, portò la pittura veneta dall'arretratezza provinciale tipica della sua generazione all'avanguardia dell'arte rinascimentale.