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PITTORI: Francisco de Zurbaran

Sant'Agostino allo scrittoio

Sant'Agostino allo scrittoio

 

 

FRANCISCO DE ZURBARAN

1620

Wimborne Minster, Kingston Lacy

 

Sant'Agostino allo scrittoio

 

 

 

 

Il dipinto presenta Agostino come figura singola ed è registrata nelle monografie di Soria (1953 e 1955) come opera attribuibile a Zurbaràn o a una produzione della sua bottega. L'attribuzione a Zurbaràn è stata negata invece da Guinard (1960). La tela proviene probabilmente dalla cattedrale di Plasencia. Tradizionalmente il dipinto veniva attribuito dalla critica a Murillo. La tela è oggi conservata nella signorile residenza inglese di Kingston Lacy a Wimborne Minster nel Dorset.

Agostino, che indossa l'abito nero dei monaci eremitani, è seduto allo scrittoio con in mano una penna e la testa appoggiata delicatamente sulla mano sinistra, quasi fosse in meditazione. Sullo scrittoio è aperto un gran libro, che poggia inclinato su altri libri. il volto del santo ha aspetto giovanile con una. folta barba nera incolta

L'opera, dipinta a olio su tela, viene datata al periodo tra il 1620 e il 1624 circa e misura in altezza 229 cm  e in larghezza 150. Prodotta in Spagna la tela è pervenuta in Inghilterra nella collezione della famiglia Bankes a Kingston Lacy. Qui si trova la storica residenza progettata nel 1663 da Roger Pratt e rimodernata nella prima metà del XIX secolo da Charles Barry. L'edificio fu per circa tre secoli la dimora della famiglia Bankes.

La tenuta fu acquisita verso il 1636 da Sir John Bankes, un avvocato proveniente dalla Cumbria che già possedeva il Corfe Castle. Nel corso della guerra civile inglese la famiglia venne cacciata da Corfe Castle dalle truppe di Oliver Cromwell, per cui nel 1663, il figlio di John Bankes, Ralph Bankes, fece costruire una residenza nella tenuta di Wimborne. Intorno al 1780 l'edificio e i giardini vennero ristrutturati per volontà di Henry Bankes il Giovane. Nell'Ottocento William Bankes incaricò l'architetto Charles Barry di rimodernare l'edificio, la cui facciata venne rifatta con del marmo di Carrara e con della pietra di Chilmark. Dall'Egitto William Bankes portò a Kingston Lacy anche due obelischi, tra cui l'obelisco di File. Nel 1841 William Bankes fece realizzare la cosiddetta "Spanish Room".

Al suo interno l'edificio conserva numerosi dipinti di vari pittori fra cui Brueghel, Antoon Van Dyck, Lely, Tiziano e Rubens.

 

 

Francisco de Zurbaran

Francisco de Zurbaran proveniva da una famiglia di contadini di Fuente de Cantos, una cittadina nei pressi di Badajòz, nell'Estremadura, e quando, dodicenne, rivelò la propria attitudine per l'arte, fu mandato a Siviglia, presso Juan de Roelas, dove ben presto fece straordinari progressi. A sedici anni egli si era già assicurato una certa fama locale e gli fu facile ottenere un posto di apprendista presso Pedro Diaz de Villanueva, un pittore che forniva cartoni per ricami. In due anni acquistò notevole padronanza tecnica e in quel tempo fece il suo incontro con Velazquez, pur egli allora praticante a Siviglia; come lui si diede allo studio della pittura del Caravaggio e di quella di Josè de Ribera, ricavandone influenze che perdurarono poi sempre nella sua pittura, come nel contrasto di zone di luce e d'ombra che gli permisero di definire pittoricamente il senso del volume. Dai due artisti citati e da Juan Martinez Montanés egli dedusse anche quel gusto per la realtà che ne contraddistingue la prima fase e che si esprime, ad esempio, attraverso il volto degli Apostoli, dipinti verso il 1623: rozzi lineamenti contadineschi, che ci mostrano uno Zurbaran ancor lontano da ogni idealità. Intanto, sin dal 1617, dopo aver compiuto viaggi a Valencia e a Valladolid, egli era ritornato per qualche anno a Llerena, nella sua Estremadura, dove sposò una Beatrice de Morales. Ogni tanto compiva qualche viaggio a Siviglia, per motivi di lavoro, sinchè non gli giunse dalla città una delegazione del Consiglio municipale che lo invitava a ritornarvi definitivamente; il che l'artista fece nel 1628, sanzionando poi il trasferimento con una serie di contratti. Ha così inizio il periodo più tipico e fecondo dell'attività pittorica dello Zurbaran: senza rinnegare del tutto l'iniziale realismo, L'apoteosi di S. Tommaso d'Aquino del 1631, ad esempio, benché di dimensioni più grandi del vero, è in effetti il ritratto dell'elemosiniere della chiesa per cui fu dipinto il quadro e le Sante che egli effigia sovente riproducono i tratti di giovani sivigliane - egli tese tuttavia ad una maggior sintesi compositiva, conferendo pose solenni e naturali alle poche figure che inseriva nelle sue opere. Ne scaturì un'austera gravità densa di misticismo ed un raro senso di sincerità per cui sembrava che il pittore si preoccupasse più di rappresentare quel che vedeva che non dei modi di tradurlo in forma. Nel 1628 una commissione venutagli dal convento de La Merced, di Siviglia, per una serie di quadri sull'allora appena canonizzato S. Pietro Nolasco, gli fornì l'occasione che da tempo attendeva ed egli poté divenire così il pittore della vita monastica, mistica ed ascetica e lui stesso, in quell'occasione, si fece terziario francescano. Nominato nel 1629 pittore della città di Siviglia dal Consiglio Municipale, subì le proteste di Alonso Cano e di altri artisti rivali. Ma cinque anni dopo fu invitato a Madrid da re Filippo IV per eseguire una serie di dipinti destinati al « Buen Retiro », una nuova dimora reale e fu quindi eletto pittore di corte. Morta nel 1639 la sua seconda moglie, Zurbaran tornò a sposarsi ma non ritrovò più quell'equilibrio che gli aveva permesso di realizzare i suoi capolavori per le Congregazioni religiose di Siviglia, di Jerez e di Guadalupe. Per venticinque anni ancora egli visse ed operò tra Siviglia e Madrid, ma forse anche per effetto del grande successo sivigliano di Murillo e per il vano tentativo di gareggiare con lui e magari di superarlo negli effetti patetici, l'arte dello Zurbaran fatalmente declinò.