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L'apoteosi di san Tommaso con i dottori della Chiesa
FRANCISCO DE ZURBARAN
1631
Siviglia, Museo Provincial de Bellas Artes
L'apoteosi di san Tommaso con i dottori della Chiesa
Il quadro (475x375) era esposto originariamente sopra l'altar maggiore della chiesa del Colegio Mayor de Santo Tomàs a Siviglia. Trasferito nel 1810 all'Alcàzar fu offerto a Napoleone e rimase al Louvre fino al 1814. Nel 1835 fu restituito ed entrò nel museo di Siviglia, in seguito alla chiusura del Collegio Maggiore. Tema del dipinto, considerato nel Settecento il capolavoro dell'artista, la fondazione del Collegio, avvenuta nel 1517 a opera dell'arcivescovo domenicano Diego de Deza.
Nella zona superiore sono raffigurati, ai lati di san Tommaso, a sinistra i santi Ambrogio e Gregorio, a destra Gerolamo e Agostino, che stanno discutendo tra loro. In basso assume particolare risalto l'atto di registrazione posato sul tavolo al centro; a sinistra è il fondatore in preghiera (in uno dei frati alle sue spalle si è voluto cercare un autoritratto), a destra l'imperatore Carlo V.
Tommaso nacque a Roccasecca presso Aquino nel 1225 dai nobili Landolfo di origine longobarda e Teodora di origini normanne. Fu destinato alla vita monastica nell'abbazia di Montecassino, dove vestì l'abito benedettino a cinque anni. Avendo conosciuto l'Ordine Domenicano (di regola agostiniana) decise di entrarvi nel 1243-1244. Fu mandato dai superiori a Roma, contraria la madre, che fece di tutto per opporsi. Proseguì gli studi a Colonia con Alberto Magno, divenendone discepolo. Ben presto si rivelò dotato di ingegno finissimo diventando un grande teologo e dottore della Chiesa.
San Tommaso fu uno dei pensatori più eminenti della filosofia Scolastica, che verso la metà del XIII secolo aveva raggiunto il suo apogeo. Egli indirizzò diversi aspetti della filosofia del tempo: la questione del rapporto tra fede e ragione, le tesi sull'anima (in contrapposizione ad Averroè), le questioni sull'autorità della religione e della teologia, che subordina ogni campo della conoscenza. Tali punti fermi del suo pensiero furono difesi da diversi suoi seguaci successivi, tra cui Reginaldo di Piperno, Tolomeo da Lucca, Giovanni di Napoli, il domenicano francese Giovanni Capreolus e Antonino di Firenze.
Agostino vedeva il rapporto fede-ragione come un circolo ermeneutico (dal greco ermeneuo, cioè "interpreto") in cui credo ut intelligam et intelligo ut credam (ossia "credo per comprendere e comprendo per credere"). Tommaso porta la fede su un piano superiore alla ragione, affermando che dove la ragione e la filosofia non possono proseguire inizia il campo della fede ed il lavoro della teologia. Dunque, fede e ragione sono certamente in circolo ermeneutico e crescono insieme sia in filosofia che in teologia. Mentre però la filosofia parte da dati dell'esperienza sensibile o razionale, la teologia inizia il circolo con i dati della fede, su cui ragiona per credere con maggiore consapevolezza ai misteri rivelati. La ragione, ammettendo di non poterli dimostrare, riconosce che essi, pur essendo al di sopra di sé, non sono mai assurdi o contro la ragione stessa: fede e ragione, sono entrambe dono di Dio, e non possono contraddirsi.
Francisco de Zurbaran
Francisco de Zurbaran proveniva da una famiglia di contadini di Fuente de Cantos, una cittadina nei pressi di Badajòz, nell'Estremadura, e quando, dodicenne, rivelò la propria attitudine per l'arte, fu mandato a Siviglia, presso Juan de Roelas, dove ben presto fece straordinari progressi. A sedici anni egli si era già assicurato una certa fama locale e gli fu facile ottenere un posto di apprendista presso Pedro Diaz de Villanueva, un pittore che forniva cartoni per ricami. In due anni acquistò notevole padronanza tecnica e in quel tempo fece il suo incontro con Velazquez, pur egli allora praticante a Siviglia; come lui si diede allo studio della pittura del Caravaggio e di quella di Josè de Ribera, ricavandone influenze che perdurarono poi sempre nella sua pittura, come nel contrasto di zone di luce e d'ombra che gli permisero di definire pittoricamente il senso del volume. Dai due artisti citati e da Juan Martinez Montanés egli dedusse anche quel gusto per la realtà che ne contraddistingue la prima fase e che si esprime, ad esempio, attraverso il volto degli Apostoli, dipinti verso il 1623: rozzi lineamenti contadineschi, che ci mostrano uno Zurbaran ancor lontano da ogni idealità. Intanto, sin dal 1617, dopo aver compiuto viaggi a Valencia e a Valladolid, egli era ritornato per qualche anno a Llerena, nella sua Estremadura, dove sposò una Beatrice de Morales. Ogni tanto compiva qualche viaggio a Siviglia, per motivi di lavoro, sinchè non gli giunse dalla città una delegazione del Consiglio municipale che lo invitava a ritornarvi definitivamente; il che l'artista fece nel 1628, sanzionando poi il trasferimento con una serie di contratti. Ha così inizio il periodo più tipico e fecondo dell'attività pittorica dello Zurbaran: senza rinnegare del tutto l'iniziale realismo, L'apoteosi di S. Tommaso d'Aquino del 1631, ad esempio, benché di dimensioni più grandi del vero, è in effetti il ritratto dell'elemosiniere della chiesa per cui fu dipinto il quadro e le Sante che egli effigia sovente riproducono i tratti di giovani sivigliane - egli tese tuttavia ad una maggior sintesi compositiva, conferendo pose solenni e naturali alle poche figure che inseriva nelle sue opere. Ne scaturì un'austera gravità densa di misticismo ed un raro senso di sincerità per cui sembrava che il pittore si preoccupasse più di rappresentare quel che vedeva che non dei modi di tradurlo in forma. Nel 1628 una commissione venutagli dal convento de La Merced, di Siviglia, per una serie di quadri sull'allora appena canonizzato S. Pietro Nolasco, gli fornì l'occasione che da tempo attendeva ed egli poté divenire così il pittore della vita monastica, mistica ed ascetica e lui stesso, in quell'occasione, si fece terziario francescano. Nominato nel 1629 pittore della città di Siviglia dal Consiglio Municipale, subì le proteste di Alonso Cano e di altri artisti rivali. Ma cinque anni dopo fu invitato a Madrid da re Filippo IV per eseguire una serie di dipinti destinati al « Buen Retiro », una nuova dimora reale e fu quindi eletto pittore di corte. Morta nel 1639 la sua seconda moglie, Zurbaran tornò a sposarsi ma non ritrovò più quell'equilibrio che gli aveva permesso di realizzare i suoi capolavori per le Congregazioni religiose di Siviglia, di Jerez e di Guadalupe. Per venticinque anni ancora egli visse ed operò tra Siviglia e Madrid, ma forse anche per effetto del grande successo sivigliano di Murillo e per il vano tentativo di gareggiare con lui e magari di superarlo negli effetti patetici, l'arte dello Zurbaran fatalmente declinò.