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PITTORI: Giovanni Maria Gariboldi

Agostino vescovo e cardioforo nella chiesa di S. Bartolomeo a Barzago

Agostino vescovo e cardioforo

 

 

GARIBOLDI GIOVANNI MARIA

1792

Barzago, chiesa di san Bartolomeo

 

Agostino vescovo e cardioforo

 

 

 

Il dipinto a muro entro una cornice si trova nella chiesa san Bartolomeo a Barzago. Dirimpetto è stato raffigurato sant'Ambrogio.

Qui Agostino compare nella sua dignità episcopale con la mitra in testa e il bastone pastorale. Il santo è seduto davanti a un tavolo dove è stato appoggiato un grande libro aperto dove si può leggere la scritta DOMINE DA QUOD JUBES ET JUBE QUOD VIS.

Le parole sono estratte da una preghiera attribuita al santo vescovo ipponate che troviamo nel volume I Scrittori de' cherici regolari detti teatini, parte seconda di Antonio Francesco Vezzosi pubblicato a Roma nel 1780.

Medesima orazione si trova in pedice alla Lettera VII del libro "Lettere teologiche dirette ad un vescovo in risposta alle Osservazioni teologico-critiche dell'arciprete Donnino Giuseppe Coppellotti Dottore Collegiato in Sacra teologia sopra alcune Tesi piacentine esposte al Pubblico l'anno 1762 dal Padre Lettore N. N. dedicate alle celebratissime e preclarissime Scuole AGOSTINIANA e TOMISTICA, parte Prima" pubblicato a Venezia nel 1764.

In realtà questa invocazione che scatenò la reazione durissima di Pelagio quando l'ascoltò, a Roma, si trova nel libro X delle Confessioni, dove Agostino ripete più volte: «Da quod iubes et iube quod vis»: una preghiera che fa risalire a Dio quello che invece, secondo Pelagio, è compito dell'uomo.

Si era intorno al 405 e si incontrarono Pelagio, un vescovo amico di Agostino e altri. Lessero il libro X delle Confessioni dove Agostino (come lui stesso ricorda nel De dono perseverantiae 20, 53) ripete più volte: Da quod iubes et iube quod vis. Di fronte a questa invocazione, Pelagio si alzò infuriato, perché la considerava un'offesa a Dio. Essa faceva infatti risalire a Dio quello che invece, secondo Pelagio, è compito dell'uomo: Dio comanda e l'uomo deve eseguire. Da quod iubes? No, sostiene Pelagio, non è Dio che deve dare, perché altrimenti la colpa, nel caso che l'uomo non compia ciò che Dio comanda, ricadrebbe su Dio stesso. In questa circostanza viene allo scoperto tutta la distanza che separa Agostino e Pelagio.

Tutta l'insistenza di Agostino sulla necessità della preghiera evidenzia la sua concezione della vita cristiana, che ha come centro lo Spirito Santo che abita in chi crede. Si parla spesso di cristocentrismo agostiniano e si parla poco dello Spirito Santo in Agostino. In realtà la dottrina della grazia è legata strettamente alla fede, che lo Spirito Santo ci è stato donato per rinnovarci, per renderci figli di Dio, per rendere il cuore di pietra dell'uomo un cuore di carne, per rendere l'uomo un figlio capace di amare il Padre e capace di amare tutto ciò che è giusto e buono secondo la Sua volontà. Tutta questa azione interiore dello Spirito Santo non è considerata affatto da Pelagio. Che Pelagio non desse alcuna importanza alla preghiera lo possiamo constatare dalla lettura di un testo sicuramente suo, la Lettera a Demetriade, una ragazza della nobiltà romana che si era consacrata a Dio. Pelagio scrisse questa lettera come aiuto alla formazione spirituale. In questa lettera allo Spirito Santo e alla preghiera accenna una sola volta. E non alla preghiera di supplica, affinché Dio cioè aiuti la giovane a mantenersi fedele alla sua consacrazione, ma soltanto alla preghiera intesa come meditazione sulla Legge. L'idea che si debba chiedere a Dio l'aiuto per compiere il bene è del tutto estranea a Pelagio.

 

Agostino nella mano sinistra regge un cuore fiammante, secondo una raffigurazione assai comune dal barocco in poi.

La chiesa di san Bartolomeo fin dal XIII secolo viene elencata nel Liber notitia appartenente nella pieve di Missaglia. La "capella" di Barzago è ancora citata nel 1398 tra quelle della Pieve di Missaglia (Notitia cleri 1398), così come nuovamente compare nel Liber seminarii mediolanensis del 1564. Dal Cinquecento al Settecento la parrocchia di Barzago, a cui era preposto il vicario foraneo di Missaglia, è costantemente ricordata negli atti delle visite pastorali compiute dagli arcivescovi di Milanoi. Nel 1757, come viene attestato dagli atti della visita dell'arcivescovo Giuseppe Pozzobonelli, nella chiesa di San Bartolomeo, aveva sede la confraternita del Santissimo Sacramento e Rosario.

 

L'affresco di Sant'Agostino e quello di Sant'Ambrogio sono opera di Giovanni Maria Gariboldi (segnalazione del dott. Italo Allegri). Risulta da un confesso dell'AP di Barzago del 14 ottobre 1792 (ASBar, vol. 14, Confessi e ricapiti riferibili ai bilanci consuntivi degli anni 1879-1889, ct. 13, Confessi relativi ai dipinti eseguiti nella nuova chiesa e in quella di Bevera). Lo stesso autore ha realizzato gli affreschi del presbiterio: la scena dall'Ultima Cena e la Manna nel deserto.