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Transverberazione di Agostino
DONATO TEODORO
1750-1760
Chieti, chiesa di sant'Agostino
Transverberazione di Agostino
Questa pala d'altare è posta sull'altare maggiore della chiesa dedicata ad Agostino e ha per tema iconografico la transverberazione o trasverberazione del santo. Il termine deriva dal verbo latino transverberare cioè trafiggere con una freccia o una lancia. La scena è nota nella iconografia agostiniana, che qui si presenta con una variante: a trafiggere Agostino non è il Bambino Gesù ma un angelo Serafino, che gli provoca una ferita d'amore che trafigge il cuore.
Agostino è ritto in piedi con la mano destra che impugna una penna, con cui sta scrivendo su un libro aperto deposto su una scrivania. Si nota anche la presenza di un calamaio che risalta bene sulla tovaglia rossa. Agostino indossa il saio nero dei monaci agostiniani sul cui sfondo spicca il cuore rosso verso cui si dirige la punta della lancia dell'angelo. Il volto del santo, cinto da un'aureola, ha lo sguardo rivolto all'angelo. Ha un aspetto vegliardo, con una folta barba grigiastra e un'espressione di accoglienza all'azione dell'angelo.
Ai piedi del santo sono accovacciati tre personaggi dai vestiti orientali, che rappresentano altrettanti eretici sconfitti dagli scritti di Agostino. A destra due angeli reggono le insegne episcopali di Agostino: una mitra e il bastone pastorale. Nella fascia superiore un buon numero di angeli osserva con attenzione tutta la scena.
La sua opera si caratterizza per l'enfasi scenografica influenzata dai modelli del tardo-barocco napoletano e del tardo-manierismo nordico. Anche in questa occasione Teodoro utilizza grandi spazi per inscenare temi con vari personaggi in conversazione e adorazione, all'interno di un tema mistico. Suo figlio Ludovico, che continuò l'attività paterna, probabilmente collaborò alla stesura di questa tela che si trova sull'altare maggiore della chiesa.
Donato Teodoro
Nato a Chieti verso il 1699, Teodoro si formò artisticamente a Napoli venendo a contatto con l'arte di Luca Giordano, Ludovico De Majo, Francesco Solimena e Francesco De Mura. Ne assimilò lo stile come appare dalle prime committenze abruzzesi a Chieti, per le chiese di San Giustino, Sant'Agata e la Santissima Trinità. Ulteriori committenze lo portarono a lavorare nella provincia di Abruzzo Citeriore, all'Aquila nella Cattedrale e Basilica di San Bernardino, e quindi nell'Abruzzo Ultra, tra Campli e Civitella, Manoppello e Pianella del Tronto. Nel 1738, ispirandosi a modelli di Luca Giordano, affrescò gran parte del Santuario della Madonna dell'Assunta a Castel Frentano. Tra le sue opere ricordiamo il Martirio di San Massimo (1720) nella cattedrale dell'Aquila; le tele con Salomone e la regina di Saba ed Ester e Assuero, la pittura del soffitto ligneo della chiesa di Santa Maria in Platea a Campli, dove le tre navate conservano i dipinti del Battesimo di S. Pancrazio, l'Assunta, il Martirio del Santo. A lui sono attribuiti diversi affreschi nella chiesa S. Francesco d'Assisi a Lanciano e nella chiesa parrocchiale di San Giovanni Apostolo ed Evangelista a Colledimezzo.
A metà Settecento lavorò spesso a Lanciano, dove dipinse le tele del santuario del Miracolo eucaristico, e una tela della Natività di Gesù per la chiesa di Santa Lucia. I soggetti delle sue opere hanno un carattere biblico, che predilige i simboli della lotta fra Bene e Male come gli episodi di Giuditta e Oloferne o San Michele che scaccia Lucifero. Teodoro morì a Chieti nel 1779 e fu sepolto nel monastero di San Domenico al Corso. Il figlio Ludovico continuò l'attività della bottega del padre e fu attivo nel cantiere del Duomo di Atessa, dove dipinse la tela di San Leucio vescovo e affrescò la volta centrale con scene bibliche.