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Allegoria della Religione Cattolica: l'Ispirazione mistica e Agostino
ANDREA DA FIRENZE
1343-1377
Firenze, S. Maria Novella Cappella Spagnoli
Allegoria della Religione Cattolica: l'Ispirazione mistica e Agostino
Andrea da Firenze, soprannome di Andrea Bonaiuti, fu pittore nativo di Firenze, attivo nella seconda metà del XIV secolo. Apprezzato più per l'abilità compositiva che per l'effettiva qualità della sua pittura, è noto per due opere: il ciclo degli affreschi del Cappellone degli Spagnoli in Santa Maria Novella a Firenze, cui appartiene l'affresco che raffigura Agostino con alle spalle l'allegoria dell'Ispirazione mistica, e quello delle storie della Vita di san Ranieri, eseguito per il Camposanto di Pisa.
Il primo, erroneamente attribuito da Giorgio Vasari a Simone Martini, gli fu commissionato nel 1365 ed appartiene ad una complesso pittorico importante noto come il Trionfo di san Tommaso d'Aquino. Influenzati dalla scuola senese, oltre che dall'opera di Giovanni da Milano, gli affreschi, che comprendono le Storie di Cristo e l'Esaltazione di san Tommaso d'Aquino e dell'opera dei domenicani, rivelano uno stile molto schematico, più attento al messaggio celebrativo rivolto alla Chiesa e ai domenicani che a una buona raffigurazione del soggetto.
Il grandioso Trionfo di san Tommaso d'Aquino si trova lungo la parete di sinistra del Cappellone: il padre della scolastica siede su un maestoso trono al centro della composizione, circondato dalle personificazioni delle Virtù teologali Fede, Speranza e Carità, (in alto) e cardinali Temperanza, Prudenza, Giustizia e Fortezza (in basso). Ai suoi ai piedi giacciono i grandi eretici sconfitti: Sabello o Nestore, Averroè e Ario. Accanto a Tommaso si trovano autori biblici: precisamente, da sinistra a destra, Giobbe, Davide, Paolo, gli evangelisti Marco, Giovanni, Matteo e Luca, Mosè, Isaia e Salomone. Nel registro inferiore si susseguono quattordici stalli decorati, dove siedono le personificazioni muliebri delle sacre scienze (a sinistra) e delle arti liberali (a destra). Ai loro piedi si trova un illustre rpersonaggio. Ciascuna è protetta da un pianeta, secondo una tradizione pitagorica ripresa nel Medioevo da Michele Scoto, san Tommaso d'Aquino e Dante.
L'allineamento da sinistra indica la Legge civile con Giustiniano, La Legge canonica con Clemente V, La Filosofia cone Aristotele, La Sacra Scrittura con san Girolamo, La Teologia con san Giovanni Damasceno, La Contemplazione con san Dionigi Aeropagita, La Predicazione con sant'Agostino, L'Aritmetica con Pitagora, La Geometria con Euclide, L'Astronomia con Tolomeo (che è stato confuso col sovrano omologo di cui porta la corona), La Musica con Tubalcain, La Dialettica con Pietro Ispano, La Retorica, col cartiglio, e Cicerone in abiti romani, La Grammatica, accompagnata da giovani scolari, con Prisciano di Cesarea
Nel De beata vita Agostino sostiene che la beatitudine equivale al possesso di Dio; Egli si rivela come luce all'anima: "Questo sole nascosto infonde quella luce ai nostri occhi interiori (Hoc interioribus luminibus nostris iubar sol ille secretus infundit)."
AGOSTINO, De Beata Vita, 4, 35
"Dio, padre della verità, padre della sapienza, padre della vera e somma vita, padre della beatitudine, padre del bene e del bello, padre della luce intelligibile, padre del nostro risveglio e della nostra illuminazione ..."
AGOSTINO, Soliloquia I, 1, 2
Nel De quantitate animae Agostino afferma che risulta più facile apprendere qualcosa riguardo allo "spirito a coloro che con una buona cultura iniziano ad applicarsi a questi problemi, non per amore di vana gloria, ma infiammati di amore divino per la verità ..." Così nel Libro VIII delle Confessioni, al capitolo 4 sembra quasi che invochi Dio sollecitandolo, quasi istigandolo ad operare questo miracolo: "Agisci, Signore, svegliaci e richiamaci, accendi e rapisci, ardi, sii dolce ... Si avvicinano e sono illuminati da quella tua luce ..." Dirà poi nel De Magistro: "Dalla luce interiore della verità viene illuminato con godimento l'uomo che è considerato interiore" (12, 40).
Ma l'affermazione più volte ribadita è che Dio, e soltanto Lui, può "illuminare le anime e renderle sapienti e felici, donando loro se stesso in godimento" (De diversis quaestionibus 53, 2; Enchiridion 27, 103; De vera Religione 3, 3; 28, 51). L'illuminazione è sempre opera divina (De Consensu Evangelistarum III, 25, 86).
"La nostra illuminazione è una partecipazione del Verbo, cioè di quella vita che è la luce degli uomini (Gv. 1,4). Ma noi eravamo veramente inadatti e ben poco idonei a tale partecipazione per la immondizia dei peccati. Dovevamo dunque essere purificati. Ora la sola purificazione dei peccatori e dei superbi è il sangue del Giusto, e l’umiltà di Dio; affinché, per poter contemplare Dio, che per natura noi non siamo, venissimo purificati da Dio stesso fattosi quello che per natura siamo e quello che per peccato non siamo. Infatti non siamo Dio per natura, siamo per natura uomini, non siamo giusti per il peccato. Dunque Dio, fattosi uomo giusto, ha propiziato Dio per l'uomo peccatore. Non c’è infatti rapporto tra peccatore e giusto, ma tra uomo e uomo. Dunque aggiungendo a noi la sua umanità, uguale alla nostra, ha sottratto a noi la dissomiglianza della nostra peccaminosità e, fattosi partecipe della nostra mortalità, ci ha fatto partecipi della sua divinità."
AGOSTINO, De Trinitate, IV, 2, 4
ANDREA DA FIRENZE
Pittore italiano operante a Firenze nella seconda metà del secolo XIV iscritto all'arte dei medici e speziali già nel 1346, verso il 1365 eseguì la sua opera maggiore: la decorazione della sala capitolare di S. Maria Novella a Firenze, il cosiddetto Cappellone degli Spagnoli. Malgrado il livello artistico non molto elevato delle pitture che lo decorano, il Cappellone degli Spagnoli è stato per molti secoli una delle maggiori curiosità artistiche di Firenze. Una celebrità dovuta soprattutto al grande interesse iconografico delle pitture e alla vivacità dei costumi rappresentati. Fu merito del grande critico ottocentesco Cavalcaselle la corretta attribuzione delle pitture del Cappellone. Le due pareti di destra e di sinistra sono occupate l'una dalla Esaltazione dell'Ordine domenicano, l'altra dal Trionfo di S. Tommaso e dispiegano un ricchissimo apparato dottrinario chiuso in un serrato nesso compositivo. Dal punto di vista iconografico questi affreschi, vera Summa Theologica figurata, sono del massimo interesse, ma il livello artistico, l'abbiamo detto, è modesto: il modellato è secco, il colorito sordo, il profilare, netto, si riduce a una sigla calligrafica. Si possono scorgere nell'opera di Andrea, che è una specie di parallelo a quella dell'Orcagna, forti influssi senesi; ma piuttosto che ad Ambrogio Lorenzetti, al quale egli guarda, i suoi risultati assomigliano più a quelli di un Bartolo di Fredi. Una simile trattazione, in un ciclo pittorico, di argomenti dottrinari, va vista nel quadro della campagna per la propaganda e il rafforzamento ideologico condotta con energia in quegli anni dall'Ordine domenicano. Gli altri affreschi della medesima sala affrontano temi iconografici più comuni, quali la Crocifissione, l'Andata al Calvario, la Discesa al Limbo, e, nelle volte, la Resurrezione e l'Ascensione in cui sono ancora più accentuati i legami con l'arte senese. Altri due spicchi delle volte, quelli con la Pentecoste e la Navicella, sono ritenuti dal Toesca opere di uno scolaro di Maso. Nel 1377, anno della sua morte, affrescò, nel camposanto di Pisa, tre storie della Vita di S. Ranieri. Un trittico a lui attribuito è nella sagrestia della chiesa del Carmine di Firenze, ed un altro è diviso fra i musei di Houston e Copenaghen.