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BEAti dell'Ordine Agostiniano: NICOLA TINI

Immagine di Nicola Tini

 

Immagine di Nicola Tini

 

 

Beato NICOLA TINI

(1303 - 1387)

 

 

 

Il beato Tini appartiene al bel numero di beati leccetani e, come i più di essi, appartiene alla nobiltà senese. Fu educato alla vita con sani principi religiosi e morali e fu avviato agli studi per una valida sistemazione nella pubblica società. Formare una famiglia non gli pareva la sua vocazione, ma altra più valida non ne avvertiva o almeno non ne dava a vedere fors'anche per contrasti di vedute con i suoi. E così il tempo passava beatamente. Già sui trentacinque anni, maturate nuove situazioni in casa e pungolato da esempi di amici che sceglievano il chiostro troncò ogni indugio e decise di consacrarsi a Dio nell'eremo tanto celebrato di Lecceto.

Al nuovo stile di vita era abituato; in fondo studio e preghiera erano state le direttrici dei suoi anni passati. Ora si dedica alle osservanze monastiche e si vincola definitivamente a Dio con i voti di povertà, castità e obbedienza. Completata la teologia divenne sacerdote. Per lui essere ministro di Dio significava divenire profeta del popolo eletto. Il degrado morale della sua città lo sollecitava alla predicazione. Accorreva ovunque l'opportunità consigliasse. Preparato com'era culturalmente e con la ottima formazione spirituale che aveva egli offriva con parola chiara, incisiva e tagliente un'istruzione religiosa che fustigava il vizio e richiamava ai fondamentali impegni del battesimo. Scuoteva gli indifferenti predicendo castighi: "... cominciò a preannunziare il flagello di Dio, poi vennero i fatti ... "

Anche per questo spirito profetico accorrevano alle sue prediche. Sensibilissimo alla sofferenza altrui non si stancava di allungare la mano ai poveri che gli toccavano il cuore. Abituato già nel suo palazzo, il beato Tini continuò con maggiore libertà nel convento quando era priore. Che fosse troppo generoso non sfuggiva all'occhio generoso dell'economo che masticava amaro la faccenda e finì per dirgli chiaramente che la comunità numerosa non permetteva di largheggiare troppo con quei di fuori. Ma il beato gli ricordò che "chi confida nel Signore non manca di nulla" . E seguitò a elargire grano e vino nei quattro lunghi mesi di carestia che colpì la regione. Tutti furono sorpresi che né il mucchio di grano scemava né il vino scendeva di livello nella botte. Col dono del miracolo risolveva anche situazioni disperate. Se ne accorsero in un tragico avvenimento del convento. Il fratello laico mancava da un giorno e nessuno sapeva ove fosse. Fuggito? Si cerca ovunque e nell'orto avviene la macabra scoperta: è penzoloni a un ramo. Vi si era appeso per l'acuirsi della forte crisi depressiva di cui soffriva. Il priore lo fece deporre ai suoi piedi e restò solo con lui per lunghe ore in preghiera.

Tracciò quindi la benedizione sul cadavere e gli ricreò l'alito vitale. I fratelli sgranarono tanto d'occhi a rivederlo vivo da morto che era. Con i malati il beato era tutto premura e delicatezza non disgiunta da energia contro le stranezze e le eccentricità della sclerosi. Un giorno trovò presso il convento un uomo che a prima vista sembrava sovraccarico di vino; era invece un lebbroso e agli estremi. Superando l'istintiva ripugnanza lo raccolse e lo trasportò nel suo letto e lo curò amorevolmente.

Dopo qualche giorno lo rimandò guarito grazie alle sue preghiere. Altro miracolo alquanto divertente fu compiuto a difesa della sua comunità minacciata di sterminio. Si diceva che la selva di Lecceto da qualche tempo fosse divenuta facile nascondiglio di fuoriusciti e che i frati li favorissero. Nottetempo quei briganti facevano poi sortite in città. Stanchi delle continue provocazioni i senesi organizzarono una spedizione punitiva. Invasero la selva come un formicaio per stanare i briganti. Nonostante le ricerche non li trovano. "Sono in convento" si dice. E via tutti all'assalto in pieno assetto di guerra con randelli, marre, archibugi. I frati avvistarono da lontano quell'orda di forsennati e corsero a sprangare usci e portoni e avvertirono il priore Nicola Tini. Questi senza neppure muoversi dal suo posto si chiuse in sé immobile e silenzioso parlò con Dio.

Ed ecco nuvoloni densi e neri di pioggia a galoppo contro quella marmaglia e giù goccioloni fitti e poi acqua a catinelle: un autentico diluvio. Unico scampo per gli aggressori fu darsela a gambe levate. Se la squagliarono tutti, chi correndo, chi arrancando per lo stradone. Liberata la selva il finimondo cessò con sollievo di tutti. Di un tal priore la comunità ebbe una stima particolare e a più riprese fu rieletto in tale carica. Seppe accrescere il fervore religioso in tutti e negli ultimi anni edificò per la serenità con cui sopportò la grave e dolorosa malattia. Morì a 84 anni il 9 febbraio 1387. Gli resero culto pubblico anche con immagini a voce di popolo.