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Percorso : HOME > Monachesimo agostiniano > Brianza > OrenoMadonna della Cintura a Oreno
Frontespizio dell'opera di Massimiliano Penati
L'antica Chiesa di San Nazaro e il Monastero delle Agostiniane di Oreno
tratto da Saggi storici tratti da alcuni paesi della Brianza ed altri notabili luoghi: ossia, L'antica chiesa di S. Nazaro e il monastero delle Agostiniane di Oreno
di Massimiliano Penati
Prefazione
Alcuni anni or sono che mi posi a raccogliere e compilare le Memorie di Oreno, mia terra natale. Diedi mano a questo mio lavoro senza avere uno scopo premeditato: imperocché a condurre ed a compiere il quale siccome umilissimo argomento, non mi trasse mai pensiero, che arrecarmi potesse cotal lavoro vanto od utilità veruna. Si fu adunque quel naturale inclinamento che tutti abbiamo di amare la terra natale, non perchè è bella e grande, ma perchè è nostra, che m'indusse in Oreno e sue memorie ad illustrare qualche suo monumento; a ravvivare alcune sue tradizioni; a riordinare qualche vecchia fiaba che ereditammo dal seicento, e rivestirla di carattere morale, e finalmente a spiegare con accorgimento alcuni pochi cenni che alquante vecchie cronache ci danno del nostro villaggio. Credea sulle prime che quest'altra mia opera non andasse a coprire le cento pagine d'un libro tascabile; ma mi avvidi tosto, che non giunto alla terza parte del tutto, avea già oltrepassato quel numero. Se l'opera non fosse stata per divenire cotanto voluminosa, e trattando d'un oscuro villaggio, mi sarei accontentato di servirmi della diffusione di quelle memorie con soli esemplari manoscritti. Dico da senno, se questo fu il modo che tenni sino dal suo incominciamento; imperocché subito che avea compito un capitolo che lo dava a leggere agli amatori delle cose della nostra terra.
Avvenne però che questo modestissimo espediente anziché attutire la pubblica curiosità la fomentò, e si venne perciò a desiderare l'opera completa e pubblicata regolarmente: allora stetti alquanto sul pensiero, se convenevol cosa fosse l'appagare quell'ansietà. Considerando però come mai si potea d'un oscuro villaggio trarre materia che dilettar sapesse lo estraneo che abita oltre i confini del suo territorio, sicché ristetti per ora dall'accondiscendere all'opinione pubblica nel tenere una regolata pubblicazione dell'opera. Veramente questo mio lavoro passa quei naturali confini, imperocché molti di quegli esempi in esso narrati possono essere applicati a molte terre delle nostre contrade e cita sovente delle memorie di altri paesi. Ma questo spandimento di notizie adombrate da quel meschino titolo di un quasi ignorato villaggio nei fasti della storia, non potea far penetrare e comprendere all'immaginazione dei più, che in realtà vi esistesse. A cotali considerazioni concedetti che il mio scaffale custodisse ancora inedite come la corrente del diluvio configurasse il suolo del nostro territorio: come nella casa che abitiamo vi vivesse lontana gente che per tempi e per costumi non è a noi più conformi; come narrasse messer Maurizio il notturno delle streghe sui Noci del Credaro; come nonna Orsola dannasse una sua gallinella al conciliabo delle streghe, ed altre cosifatte notizie che so io.
Ma non volli lasciar perire e andare obliata la memoria: l'antica Chiesa di S. Nazaro e il Monastero delle Agostiniane di Oreno, e giudica il pubblico se bene io feci.
Lettore, non vi troverai in questa uno stile fiorito, ne una ben ordinata narrazione; ma se come me senti amore per la tua terra natale, gusterai in queste poche pagine quell'ineffabile diletto, che nasce dal contemplare le antichità del suo paese.
Oreno, marzo 1877.
CAPITOLO I.
Della scomparsa della Chiesa di San Nazaro.
Alcuni avanzi del Monastero.
Luogo ove sta vano quei due monumenti.
Fu verso la fine del secolo decimoquarto che la Chiesa di S. Nazaro di Oreno venne distrutta; o diremo con più acconcio modo, fu intorno a quel tempo che si dispersero le ruine d'un nostro vetusto monumento, il quale probabilmente durò quasi per tutto quanto lo spazio di tempo che trascorse il Medio Evo; imperocché pare un'opera sorta dalla mano dei primi cristiani della nostra contrada antica, nell'ultimo secolo del basso impero, e che novello entrò nel Medio Evo, lo segui nelle vicende religiose, e perì un secolo prima, quando quello pur cessò di essere. E le future generazioni, che succedettero a quella memorabile scomparsa, lo dimenticarono con un'incuria tale, che si perdette ogni traccia e ogni memoria, ove esso innalzavasi.
Però gli avanzi del Monastero delle Agostiniane (il quale per comune origine si copulava in un solo edifizio colla predetta Chiesa), arrivarono a farsi vedere fin quasi alla metà del nostro secolo. Quegli avanzi ridotti a due sole stanze a piano terreno col corrispondente solajo, o piano superiore, come anticamente si fabbricavano le nostre case, rivelavano una costruzione eseguita intorno al mille.
Queste poche vestigia del nostro antico monastero conservavano tuttavia le meste forme d'una claustrale abitazione in quella parte destinata a refettorio e a cucina delle monache. Nel 1370, cioè il primo anno che le monache di Oreno andarono a coabitare colle Francescane nel monastero di S. Apollinare in Milano, in una di queste stanze le nostre monache vi riposero il loro vino, che doveano dipoi far condurre a quel monastero per servirsene a loro uso. Disposte quelle due stanze a ricevere di fronte il mezzodì, eppure pareano orbe in quella cospicua sua parte. Si presuppone quindi, che per quella venisse conterminata a tramontana la piazzetta che stava dinanzi alla Chiesa di S. Nazaro e che cotale precauzione di vietare ogni mezzo che spiar potesse per di dentro e per di fuori lo sguardo, venisse prescritto dalle regole per la costruzione degli edifizi monastici. Quel rimasuglio dell'antico monastero riceveva aria e luce dal freddo settentrione per due finestre a sesto acuto, i cui spigoli orlati e sagomati erano di mattoni modellati e non intonacati. La sua architettura, semplice si ma elegante, volea che la si rispettasse ancora non come un abituro d'un rustico colono, sibbene come destinato per abitazione d'un ceto di persone privilegiato. Quando le monache abbandonarono il nostro monastero, e quelle due stanze per fortuita circostanza vennero lasciate in piedi, una famiglia contadina se ne venne ad abitarle. Allora si apersero quei due usci che vedemmo aperti dinnanzi a quelle, i quali non convenivano a quell'edifizio.
Egli è però certificato da buon documento che il dì 6 di novembre dell'anno 1370 frate Rinaldo da Lecco, nunzio o procuratore delle monache di S. Apollinare di Milano, stava dinnanzi all'entrata del monastero o meglio attendeva colà colle chiavi degli appartamenti delle monache il daziario certo Goffredino da Osca. Quell'entrata poteva essere una porticina, che per mezzo d'un corridoio metteva negli appartamenti del monastero, e presumibilmente subito a sinistra nelle predisegnate due stanze, e a destra, dicontro a quelle, a quell'appartamento propriamente detto chiostro. Pare che in quel tempo tutte le parti che costituivano quel nostro antico monumento esistessero ancora, come il chiostro col cavedio, qualche sotterraneo ed altri fabbricati di poco conto; ma in uno stato sì deplorevole, che si dovette alienarli, perocché più nessuno profitto se ne potea ricavare. Le due stanze poi, che arrivarono a farsi vedere a' nostri giorni, pare che avessero una posizione anormale col resto del corpo del monastero, imperocché le finestre delle quali guardavano sull'aia del massaro delle monache. Sarà quindi stato che per questa circostanza furono risparmiate dalla distruzione che ebbene la principale parte del monastero. Il medesimo frate Rinaldo dà chiara testimonianza di questo fatto, quanto nel succitato dì, chiesto dal predetto Goffredino di aprire colla chiave la camera ov'era riposto il vino delle monache, così gli rispose: Queste camere sono riserbate per le monache e pei loro nunzi.
Dinanzi al monastero, nella sua parte di levante, stava il massaro delle monache. La masseria costituiva tutto quanto il podere che teneva il monastero; il quale, come si ricava da certi indizi, sì estendeva per ben trecento pertiche milanesi. Quel fondo ora lo troviamo designato colla denominazione di Vigne dei Trisoldi. La tradizione lo chiama ancora il terreno delle monache, e stava poco lontano dalla masseria a tramontana. Era pure incombenza del massaro di coltivare l'ortaglia delle monache, la quale era racchiusa nel ricinto del monastero, e similmente al suo lato di tramontana. Il far legna al bosco, il fender ceppi il legar fasci di legna e qual altro grossolano e faticoso lavoro che abbisognava al governo di quella comunità religiosa, era eziandio tenuto a prestarlo la famiglia del massaro. Ma molto più importava per quelle inerme femmine l'aver dinanzi al loro monastero dei devoti e gagliardi paesani, che poteano difenderle dall'attacco dei ladri e dei malandrini.
Eppure quella masseria, florida ancora nel 1370 retta allora dal buon Martino de Ruzinello, non avea lasciata nel 1846 (quando quella casa, ch'era sorta sulle sue ruine, fu demolita), traccia alcuna di sua esistenza: imperocché in quell'epoca di detta demolizione era abitata da tre famiglie coloniche in appartamenti di non troppo vecchia costruzione, meno quelle due stanze che furono salve dalle ruine del monastero.
Il voler rintracciare la pianta del nostro vetusto monumento delle Agostiniane sull'attuale terreno, sarebbe un lavoro che peccherebbe in fantasia. Ma considerati in questa descrizione i pochi avanzi che ci lasciò essere conformi ad una tavola icnografica, che rappresenta un monastero eretto in quel frammezzo di tempo che trascorse dal settimo al nono secolo, non sarebbe un pregiudizio il ravvisare in lui un fratello d'arte.
Se le nostre Agostiniane diceansi di S. Nazaro, egli è perchè quella chiesa stava unita al loro monastero. Ma quella chiesa in origine fu eretta al divino culto per il popolo, e a quanto appare da considerazioni storiche, molto tempo ne usarono di quella e popolo e monache; sicché non sarebbe storta la ragione per non credere che la chiesa stesse nella cerchia del monastero; sibbene si comunicassero quei due edifizi per andirivieni.
Il sito ove stavano quei due nostri monumenti, dei quali ora intraprendo a narrare le loro vicende, rispetto alla figura topografica, che sempre presentò il nostro villaggio in tutti i secoli di sua esistenza, si avea ad assegnarlo a monte del centro dell'abitato. Or che l'abitato è diviso in gruppi, i gruppi suddivisi in case e le case divise le une dalle altre con metodo speciale di numerazione, rinverremo quel luogo in Via San Francesco N. 4.
Ristando a contemplare la porta di questa casa tosto ci accorgeremo di aver a fronte tuttora un'antichità. Quel semplice suo disegno ad arco tondo, quella sua vòlta sostenuta dal congegno di massi di pietra arenaria (e probabilmente nei tempi andati di massi di tale pietra erano anche gli stipiti), un finestruolo sul frontone della porta con davanzale di serizzo, indicano una maniera di costruzione dei tempi assai lontani.
Le vòlte dei nostri edifizi nei secoli di mezzo erano costrutti con mattoni e a sesto acuto. Nei secoli a noi vicini l'arco tondo tornò a farsi vedere, ma più schiacciato, e quasi sempre costrutto con mattoni. Se alle volte in quest'ultima epoca faceasi eccezione alla materia, allora preferibilmente si adoperava il granito, e non mai la pietra molare od arenaria, come se ne fece uso in questa porta.
Pare che ai tempi del basso impero, e nel principio del Medio Evo, si facesse molto uso della pietra arenaria nelle costruzioni: da ciò venne il nome di arena dato all'anfiteatro; e qualche volta il cimitero degli antichi cristiani o catacomba era pur chiamato arenario.
Passando sotto quel venerabile arco crederemo d'affacciarsi incontro ad altri oggetti che potrebbero ancora ridestarci i sensi d'ammirazione per l'antichità. Ma oltrepassato quello ritroveremo che tutto ha mutato faccia. L'area della casa demolita nel 1846 è tutta sopraffatta, e più non scorgesi indizio veruno nè delle due antichissime stanze del nostro monastero, nè delle più recenti costruzioni, che formavano gli appartamenti delle tre famiglie coloniche or ora indicate, i quali per esser stati fabbricati sullo stesso luogo ove il monastero e la sua masseria stavano, a dì nostri noi la corte delle monache appellammo quella distrutta casa.
In quest'ultimo luogo, ove siamo entrati per osservare, vedremo ancora il pozzo delle monache sul limitare d'un grandioso giardino. Ma quell'antico cavo ora sta coperto e sormontato da moderno cappello piramidale, il che, più che destarci venerazione per l'antichità, ci muove ad ammirare l'amenità del luogo. Non fuori di questo memorabile ricinto ci devono essere ancora, in un terrabuco di sito, due botti che furono proprietà delle monache, perocché su di esse stava inciso Monache di S. Apollinare. Sono pochi, egli è vero, quegli avanzi che conosciamo di que' nostri due antichi monumenti: ma consoliamoci che sono pur troppo sufficienti e sicuri ad indicarci il luogo ov'essi furono.