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L'Ordine degli Eremitani di sant'Agostino

La Brianza vista dal monastero agostiniano di san Genesio

La Brianza vista dal monastero agostiniano di san Genesio

 

 

L'Ordine Agostiniano in Brianza

Devozioni agostiniane

 

 

 

Ma qual è, oltre il bene e il male, l'Ombra di tutte più gigantesca che incombe sulla Brianza ? Non un brianzolo, no.

Un africano, chi ci pensava? Nato a Tagaste più di millecinquecento anni fa. Vescovo d'Ippona, dottore dottissimo della Chiesa, filosofo, romanziere, ma anche ... brianzolo per alcuni mesi (e con un gusto matto) nell'autunno del 386.

Cassago. Ci volavo sopra; e intenzionalmente, in appendice a quel mio periplo cristiano della Brianza, Cassago, cioè Cassiciaco, a dargli il suo nome latino, romano, agostiniano, che pare a pronunciarlo un'antifona di canto fermo. Fu proprio qui che soggiornò quel grandissimo? Oh sì, perbacco, m'assicura il presidente della locale associazione storico-culturale «S. Agostino». Più nessun dubbio. Se mai fu quel guastafeste, disinformato e pasticcione del Manzoni don Alessandro (gli aggettivi sono miei, ma lo spirito indignato dei cassaghesi certo me li approverà) a sviare un giorno le piste, dando una risposta a vanvera a uno studioso che gli aveva rotto le scatole sulla questione di Cassiciaco, col rispondergli che per lui il rifugio di Agostino era stato un certo Casciago nel varesotto, Non ci fosse stata quella papera, forse l'incertezza mai sarebbe nata. Strani casi della storia! Proprio l'Omero brianteo don Lissander che rischia di depredare la Brianza della sua massima gloria archeologico-turistica: l'aver ospitato Agostino. Buon per tutti che non si sia venuti a botte fra Brianza e varesotto per questa santissima «secchia rapita».

Ma per tutti - e massime per me quel mattino - non c'era più traccia di dubbio. «Dove travammo riposo in Te dal tumulto del mondo, la bellezza in eterno verdeggiante del Tuo paradiso ... Sulla montagna pingue, la Tua montagna, la montagna ubertosa ...»

Ricordavo quel passo delle Confessioni. Nel quale, a bel leggere, è sempre del cielo-cielo che Agostino parla.

Ma ... « montagna pingue, ubertosa ... », ristoratrice dei «tumulti del mondo ... », capace di parafrasare la «bellezza in eterno verdeggiante del paradiso ... ». Che cosa di più somiglia sulla terra al paradiso ? La Brianza, no? E Agostino, dunque, ne scrive quel che sopra abbiam letto. Ecco il soIligismo irrefragabile, ecco la certa conferma che qui il grand'uomo ha soggiornato. Di cos'altro, infine, può trattarsi - nelle espressioni che ho riportato - se non proprio e onninamente della Brianza, e di questa Brianza cassaghese, più verde che altrove? Dall'alto, svolazzando su quei bei villini Novecento, mi fabbricavo con l'immaginazione una dimora scoperchiata di sedici secoli fa, di cui mi sforzavo a immaginare la struttura e i connotati, La casa dell'amico e mecenate Verecondo: tanto meritevole per la sua liberalità che Agostino gli fece, pregando, una grossa raccomandazione appo il Padre Eterno ( «Fedele alla Tua promessa, Tu vorrai rendere a Verecondo, in compenso della sua villa a Cassiciaco ...».

E dentro - in quelle stanze, in quel giardinetto fatti ormai polvere di polvere - distinguevo il futuro santo con sulle ginocchia il ragazzino Adeodato suo figlio, sermoneggiare col fratello Navigio, coi cugini Rustico e Lastidiano, con l'amico Alipio e i discepoli Trigezio e Licenzio. In mezzo a loro - anzi, sopra di loro - quella santissima virago di sua madre Monica, massaia e vivandiera del piccolo collegio, a frigger manicaretti, dir la sua sulle dispute teologiche e magari allungare qualche scopola al nipotino, o - pourquoi pas ? - ancora al gran figliolo maggiorenne: lei la super-mamma dell'antichità, che il genio e la personalità del suo rampollo mai intimorì nè tenne in scacco. Ma a me, terrorizzato dalla sottigliezza di quelle dispute sulla Trinità e il libero arbitrio, piaceva immaginare piuttosto le burle, i motteggi che, leggendo le Confessioni, fan capolino tra le righe nella cronaca di quell'incantato soggiorno del catecumeno Agostino. Giacché erano fiori di giovanotti. Lui, il più anziano, aveva trentatré anni.

E la Brianza, il suo gaio verde, i suoi vinelli frizzanti versarono probabilmente nella titanica ma pessimista meditazione di Agostino, nella sua ripulsa antimondana, una fuggitiva, mai più obliata vena di monelleria, di goliardismo campestre, Forse la sera, andando a coricarsi, e se Monica già dormiva, il gran santo faceva con suo figlio e il resto della giovane brigata la battaglia coi cuscini.

Stavo sprofondando nell'abisso delle più remote, paleocristiane lontananze. Tanto che, distrattomi nel regolare i comandi del pallone, mi venni a trovar quasi a terra, in una linda stradina, davanti a una bottega con tanto di «saloon» per insegna. Feci fatica ad accettare che da quel barbiere americanizzato Agostino d'Ippona fosse sceso, fra una meditazione e una disputa, a farsi radere.

 

[Tratto da "La mia Brianza" di Luigi Santucci]