Percorso : HOME > Monachesimo agostiniano > Conventualismo > Monasteri > Italia > Acquaro

CONVENTI agostinianI: Acquaro

L'insediamento monastico di Acquaro

L'insediamento monastico di Acquaro

 

 

CONVENTO DI S. MARIA DEL SOCCORSO AD ACQUARO

 

 

 

Le origini

Il convento fu costruito nell'anno 1546 ad opera della congregazione agostiniana degli Zumpani con l'autorizzazione del pontefice Paolo III. Sorse probabilmente accanto o sui resti di una chiesa che nel medioevo era dedicata alla Madonna e che si trovava in un territorio compreso tra i casali di Acquaro e di Semiàtori distante "uno quarto di Miglio dal primo ed un Mezo tiro di Archibuggio dal secondo" (AGA, fondo II, 6. Relazione del 14/03/1650, f. 219).

La preesistenza di questa chiesa mariana sarebbe riproposta da una tradizione secondo cui, mentre un giorno alcuni uomini erano intenti al gioco del formaggio nel luogo dove sarebbe sorta la chiesa del convento, fu rinvenuta una Immagine della Vergine in mezzo ad un cespuglio di spine. Si riscontrano i nomi delle località Saniatore e Santa Maria nel territorio di Arena in una lettera del re Carlo I d'Angiò dell'anno 1273. Il primo si riferiva ad un viridarium con olivi ed alberi di varie qualità di frutti, e l'altro ad un olivetum magnum lussureggiante.

 

Il convento e la chiesa

I due edifici si raggiungevano con strade diritte e piane ed erano frequentati sia nelle festività che nei giorni di lavoro da devoti d'ambo i sessi sia dello "Stato" d'Arena che forestieri. Proveniente dal convento di Borrello, il padre generale agostiniano Spirito Anguisciolo arrivò ad Acquaro la sera di domenica 5 agosto 1584. Il giorno successivo visitò la chiesa e prescrisse di rivestire all'interno il tabernacolo con drappo di seta o con altra stoffa e di conservare nella pisside solo le particole con l'eccezione per l'ostia grande durante l'ottavario del Corpus Domini. Istituì la confraternita di Santa Monica, e comandò di provvedere per il martirologio, per le borse e per i corporali, per il vasetto dell'olio santo e per le croci di legno degli altari. Sospese dalla celebrazione della messa il padre Nobilio per due mesi ed il padre Giovanni fino a quando non fosse stato ritenuto idoneo a giudizio del padre priore associato ad un altro padre.

La ricognizione dei ruderi del complesso ha rivelato la struttura del complesso conventuale: nel mezzo stava un chiostro quadrato con dodici colonne, col lato lungo 46 palmi (= 12,13 m). Vi si accedeva attraverso una porta aperta nel lato maggiore esterno. Lungo il lato minore e su parte del contiguo lato maggiore si aprivano le stanze per i religiosi. L'altro lato minore ed il rimanente del maggiore delimitavano la chiesa e la sagrestia. Il trappeto, costruito all'esterno l'anno 1753, fu appoggiato a parte del muro del chiostro ed a quello delle stanze. La relazione redatta il 14 marzo 1650 in ottemperanza delle disposizioni del papa Innocenzo X, descrive la magnificenza della chiesa lunga e larga 28 x 67 palmi, che corrispondono a 7,38 metri di larghezza e 17,67 metri di lunghezza (E. BOAGA, La soppressione innocenziana dei piccoli conventi in Italia, Roma 1974, pp. 27-29.

Il breve Inter coetera fu promulgato dal pontefice Innocenzo X il 17/12/1649; AGA, fondo Ii, 6. Relazione ..., f. 219): "Sopra l'altare maggiore troneggiavano dei bellissimi Quadri decorati con Bellissime Custodie tutte poste dentro la lamia con Coro mediocre attorno per cantar Vespro nelle Festività, et altri giorni con Arco di Pietra, il che fa pensare trattarsi di un polittico cinque-seicentesco oggi scomparso. C'erano dodici cappelle laterali, due delle quali fuori dell'Arco benissimo ornate e le altre dieci parte ben ornate, e parte mediocre. Nella sagrestia, dal lato del chiostro, era costruita la cappella dell'Annunziata. La comunità dei religiosi era composta da cinque sacerdoti, da un laico professo e da due serventi. Solitamente stava anche un chierico, ma per scarsezza al momento non si trovava nel convento.

Ricoprivano gli incarichi di vicario il padre Dionisio Larota di Montepaone, e di sottopriore il padre Domenico Galati di Acquaro. I rimanenti tre sacerdoti erano il padre Deodato Emanuele di Palermo, il padre Fulgenzio Gerace di Castelvetere (l'odierna Caulonia), e il procuratore padre Nicola Bianco di Torre. Il laico professo era frate Nicola Gimelli di Montepaone, e svolgevano le mansioni di serventi frate Nicola Ardonio di Scilo (Scido ?) e frate Diego ****uni (Cantone ?) di Acquaro.

Questi due ultimi erano senz'altro oblati che vivevano e lavoravano nel convento al quale avevano fatto donazione dei propri averi. Il valore del complesso convento-chiesa poteva essere di novemila scudi romani, ed altri cinquemila erano necessari per il completamento. I religiosi erano obbligati alla celebrazione di ventisette messe ogni settimana e di altre centoventidue durante l'anno, per l'adempimento dei vari legati lasciati dai benefattori nel corso di un secolo. Le entrate provenivano da proprietà sia alberate con vigne, olivi, fichi e gelsi che aratorie, da censi enfiteutici, bullali ed in natura, da un gregge di novantasette tra capre e pecore, e da incerte, ma consuete elemosine sia in danaro che in grano, olio, pane, e seta. Le uscite comprendevano alcuni censi in danaro ed in olio, il mantenimento della chiesa, i vestiti e gli alimenti, le riparazioni ed i servizi, il contributo dovuto ai superiori dell'Ordine, ed una lite. In una sola voce erano registrati dodici scudi di moneta romana per il medico e le medicine, gli avvocati, il barbiere, e la lavandaia."

La grandiosità dell'edificio è confermata dalla valutazione giudiziaria del feudo di Arena redatto nel 1653, nel quale è riportato che "poco distante dal casale di Acquaro verso mezzogiorno vi è un bellissimo monastero di Monaci di S(ant)o Agostino sotto titolo di S(anta) Maria del Soccorso, con una comunità di otto religiosi e con una rendita di 250 ducati. Nella chiesa, ad una navata con pulpito e coro, e dotata di campanile, erano eretti l'altare maggiore e diverse cappelle. Il chiostro, il dormitorio, la cucina ed il refettorio, la cantina, il giardino ed altra comodità consentivano ai frati una vita tranquilla." Sia il convento che la chiesa furono danneggiati a causa del terremoto del 5 novembre 1659. Nel casale di Semiàtori si verificarono i crolli della chiesa parrocchiale dedicata a San Nicola e di quattordici abitazioni e lesioni a due trappeti e ad un molino. Si deve supporre che la chiesa fu ricostruita dopo quell'evento devastatore. Il 19 ottobre 1684 fu acquistata per 560 ducati una proprietà in parte oliveto ed il resto terra aratoria, in località Pulinaro detta anche Russano utilizzando i 512 ducati lasciati dal padre maestro Leonardo d'Acquaro. Il religioso poteva essere l'omonimo padre baccelliere che nel 1677 era priore del convento di Sant'Agostino di Monteleone, ora Vibo Valentia. Si tenne in questo convento un agitato capitolo provinciale che si concluse la mattina di sabato 11 maggio 1697 con la contemporanea elezione di due ministri provinciali.

Le due fazioni dei religiosi si erano riunite separatamente, una nel coro e l'altra nel refettorio. La prima aveva fatto convergere i propri voti sul padre Girolamo Sgroi di Francavilla e la seconda sul padre Giovambattista Baudile di Castelvetere, entrambi insigniti del grado di baccelliere. Venuto l'accaduto a conoscenza della curia generalizia, con Patente da Ancona del 23 giugno 1697 fu inviato in qualità di rettore provinciale, commissario e visitatore generale della Calabria Ultra il padre baccelliere Tommaso Principati di Tarsia con l'incarico di condurre un'indagine sui poco edificanti comportamenti dei religiosi. Intorno alla metà del Settecento non tutta la comunità agostiniana irradiava esempi di virtù cristiane. Il pro-sindaco del vicino casale di Semiàtori nel 1753 inoltrò al sovrano una denuncia contro i religiosi, che erano accusati di non mancato adempimento ai legati delle messe e di portare donne nel convento. Si insinuava anche che da molti anni il padre provinciale Francesco Morrone non cambiava i frati perché da quelli residenti riusciva a ricevere somme di danaro superiori alle dovute. Le indagini poterono stabilire che quattro sacerdoti non erano sufficienti per la celebrazione delle messe d'obbligo dovute ogni giorno. Si vociferava anche di una non irreprensibile condotta del padre priore Francesco Cantore di Pìzzoni e di quella dei fratelli laici Vito Cantafi e Francesco Giampà di Castelmonardo (l'attuale Filadelfia).

Il padre Costantino Iaconissa, di Acquaro, non disdegnava di sobillare il popolo contro il marchese d'Arena. Per l'altro Iaconissa, il padre baccelliere Fulgenzio, anch'egli di Acquaro, testimoniarono il sindaco generale dello “Stato” di Arena e l'arciprete d'Acquaro il 10 ottobre 1754 e dopo due giorni il clero di Semiàtori che l'agostiniano era sempre stato lodevole di costumi ed esemplare ed onesto religioso. Nulla si disse del padre Giuseppe Calcarame di Castelvetere e del laico frà Guglielmo Palermo di Acquaro, perché da poco tempo presenti nel convento. Il 2 luglio 1760 i padri baccellieri Nicola Cotronei e Fulgenzio Iaconissa attestarono in pubblica testimonianza davanti al notaio che nel 1742 erano ospiti del convento di Santo Spirito di Firenze, "dove attendevano alli studi." Nelle loro ultime disposizioni molti devoti d'Acquaro e di Semiàtori espressero la volontà di voler essere sepolti dentro la chiesa del convento. Si apprende da quei testamenti che c'erano diverse sepolture comuni davanti agli altari dell'Immacolata, del Santissimo Rosario, di Santa Monica, di San Nicola da Tolentino, della Madonna della Grazia, della Madonna del Carmine, di Santa Chiara, della Pietà, e di San Leonardo. Le famiglie nobili degli Andrello, dei Còmito, dei Mattei, e dei già citati D'Antona e Pitisano avevano proprie tombe.

Nella cappella della Purificazione della Beata Vergine Maria era eretta un'omonima confraternita laicale, che alcuni devoti il 7 maggio 1727 dichiararono ch'era stata fondata da tempo immemorabile. Quel giorno fu decisa la ricostituzione del sodalizio, con la formazione di un nuovo statuto che fu approvato dal vescovo di Mileto il 5 luglio di quello stesso anno 1727. Il ministero degli agostiniani nei paesi viciniori è testimoniato dalle elemosine di 4,50 ducati negli anni 1763/64 della cappella del Santissimo Sacramento del casale di Bracciara per trenta messe celebrate nei giorni domenicali e festivi, e di 1,50 ducati per quindici messe che nel 1781/82 il padre predicatore Pasquale Basile applicò in suffragio dell'anima di Rosa Viterbo iscritta alla confraternita del Rosario di Dasà.

 

La soppressione

Le scosse di terremoto dei giorni 5 e 7 febbraio 1783 provocarono il crollo della chiesa e del convento, ma tutti i frati sopravvissero. Ricostruite dopo la catastrofe due stanze, formate di pietra e fango, fino al 24 ottobre 1797 vennero occupate dal padre superiore baccelliere Giuseppe Ciamprone che essendo l'unico religioso presente viveva in realtà da eremita. Quel giorno d'autunno fu fatto l'inventario delle poche robe e dei salvati sacri arredi e suppellettili raccolti nelle due stanze e degli utensili della sottostante cucina, che furono presi in consegna dal sac. Pietrantonio Luzzi in qualità di delegato del vescovo di Mileto. Soppresso dal noto Piano Fuscaldo ed incamerati i beni e le rendite, con quell'atto il convento veniva definitivamente chiuso. Dopo due secoli e mezzo gli agostiniani scomparvero da Acquaro e Semiàtori.