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CONVENTI agostinianI: Francavilla Angitola

Resti dell'insediamento conventuale agostiniano a Francavilla Angitola

Resti dell'insediamento conventuale agostiniano

 

 

CONVENTO AGOSTINIANO DI S. MARIA DELLA CROCE A FRANCAVILLA ANGITOLA

 

Il Convento degli Agostiniani di Santa Maria della Croce

di Foca Accetta

Tratto da ANALECTA AUGUSTINIANA, volume LVII, 1994, pp. 144-160

 

 

 

 

Chi percorre la strada provinciale che dall'Angitola sale verso Filadelfia incontra, all'altezza del bivio per Montesoro, i ruderi di S. Maria della Croce, uno dei più importanti monasteri dell'Ordine Agostiniano in Calabria. Fino al 1662 appartenne alla Congregazione Agostiniana degli Zumpani, fondata da P. Francesco da Zumpano nel 1501, poi, in seguito alla soppressione di quella, fu aggregato alla Provincia Agostiniana di Calabria Ultra [1]. La fondazione di S. Croce non si può datare ad annum per la mancanza di dati storici: « non si sa certo l'anno che fu fondato, bensì il suffitto antico della chiesa fu fatto l'anno 1521, come sta nella tabella », così la relazione del 5 marzo 1650 [2]. Abbondante è invece la documentazione che rende possibile la conoscenza della struttura del convento attraverso i secoli fino al 1790. Il 13 gennaio 1576 il Padre incaricato alla visita la descrive nei termini: « doppo una pessima strada giunsi al nostro convento di Franchavilla. Questo convento è in campagna lontano dall'habitatione da dui miglia di via; gli è una bella chiesa con tribuna e sacrestia, campanile con tre belle campane. Il convento serrato, con due parti di dormitorio fatto con claustro in mezzo con molti piedi di malangoli. Le cammerate assai commode; et una camera fu concessa a frate Antonino da Montisoro dal R.mo di Napoli, quando era Vicario Generale dell'Italia et absentia del nostro R.mo Generale [...] La chiesa et altari et stuccano al solito di Calabria » [3].

La relazione del 5 marzo 1650 fornisce altri particolari: « ha la chiesa sotto il titulo di S. Maria della Croce, et sono 11 altari con l'altare maggiore tutti ornati: con soprapopulo e campanile con tre campane. Il convento è claustrato in quadro; ha nel basso alcune officine come il granare, palmento, dispensa, refettorio, cucina, cellaro, stanza di forno e gallinaro. Dall'altra parte il muro della chiesa si sale per una scala, la quale salita vi sono tre camerate per li conversi, si entra per una porta nell'inclaustro e nel primo dormitorio et sono 5 camere con 12 altre cieche; e nel secondo vi sono cinque altre camere, nel terzo la porta del soprapopulo e il muro della chiesa, nel quarto dormitorio ci sono quattro altre stanze per commodità del convento; dalla parte di fuori vi sono due stanze per animali » [4].

Altre informazioni si ricavano dalla descrizione elaborata dal notaio Annunziato Tranquillo nel 1790 e inserita nel volume XV delle Liste di Carico [5]. Si apprende, infatti, che gli archi e i cornicioni del « « primo » chiostro, di 150 canne di fabbrica « con arco all'ingresso », reggevano una « loggia di proporzionata estensione » sulla quale si aprivano due porte e si affacciava un dormitorio con 13 finestre; sotto la loggia erano « tre vani di porte », un « portone di legno », un magazzino, l'ingresso della sacrestia e il refettorio, lastricato di mattoni. Al centro del chiostro era un pozzo « di pietra intagliata » in cui l'acqua confluiva attraverso un apposito sistema di condotte: « sull'ortello contiguo alla stalla verso il mezzo vi è un muro il quale serviva di acquedotto ed oggi per chiusura ». Attraverso una scala di 23 gradini si raggiungeva il « secondo chiostro ossia chiostro nuovo », ove si trovavano sei vani di porta, dieci finestre e un finestrone « contornati di pietra intagliata »; « le travi di detto chiostro in tutto sono numero 103, scandali palmi 943, chiattole ossia antipalmi per la copertura 1270, tegole 11000 ed i muri che servono di divisione in detto chiostro sono canne 456 ». Inoltre, in locali situati vicino al convento vi erano sei trappeti «con tutti i loro finimenti [...] e utensili corrispondenti ».

La descrizione del Tranquillo ha una significativa valenza storica, perché, a differenza delle altre, elenca i beni artistici conservati nella chiesa e nei locali conventuali. Si legge, infatti, che in un « basso ossia magazeno » erano « un altare in marmo bianco al quale mancano pochi finamenti », forse quello commissionato nel 1717 al marmoraro Santo Bara di Messina per il prezzo di 125 ducati [6], e un altare di porfido. Nella chiesa, di palmi 56 lunga e 24 larga, oltre a « due altari, una cattedra, una vasca di porfido, due confessionali, una cassa di legno, una campanella e un organo diruto » erano custoditi «una statua di S. Nicola Tolentino, una del SS. mo Crocifisso e una in marmo bianco di S. Maria detta Croce; vi esistono i seguenti quadri che rappresentano il beato Francesco da Zumpano, due la Natività di Nostro Signore, uno la fuga in Egitto, l'altra della SS. ma Trinità, due S. Nicola Talentino, due la Vergine Addolorata, uno S. Tommaso di Villanova, due S. Agostino, uno la Vergine SS. ma del Buon Consiglio, uno degli Afflitti, e diversi paesaggi due. »

Di tutte queste opere non si conosce né il nome dell'artista né il destino che seguirono, tranne che per la statua di S. Maria della Croce e per i quadri di S. Nicola Tolentino, della SS. ma Trinità, della Madonna degli Afflitti. Ilario Tranquillo, nella sua « Istoria apologetica dell'antica Napitia », edita a Napoli nel 1725, sostiene che i quadri sono stati tutti e « tre fatti dall'impareggiabile pennello del Romanelli». La statua di S. Maria della Croce è stata commissionata, nel 1542, dal priore pro tempore, P. Matteo Mileto, allo scultore Giovan Battista Mazzolo, attivo in Messina negli anni 1515-1550. Nel contratto, stipulato dal notaio Francesco Calvo il 29 giugno 1542, sono indicati i modelli cui l'artista doveva ispirarsi nell'eseguire sia la statua della Vergine che del Bambino; le modifiche ai modelli; le proporzioni; le decorazioni del basamento [7].

La statua della Vergine doveva essere della stessa altezza (m. 1,58) di quella allora esistente nel convento di S. M. di Gesù in Messina; rappresentata con il Bimbo in braccio, nella stessa posizione nella quale era la statua della Madonna conservata nella chiesa di S. Agostino di quella città, eccettuato « chi lu pedi seu gamba dextera sia dritta et la manu voltata cum uno mundo in mano ». Lo scannello doveva essere istoriato con un basso rilievo della Pietà al centro; di S. Giovanni Battista a destra; di S. Agostino a sinistra. L'opera doveva essere consegnata a P. Matteo nella prima settimana della Quaresima dell'anno successivo (1543). Attualmente la statua si trova custodita nella chiesa del Carmine a Filadelfia(Foto a sinistra).

Al convento di S. Croce apparteneva, inoltre, la statua lignea di S. Foca Martire, protettore di Francavilla Angitola. Onofrio Simonetti, nel suo «Cenno biografico sovra l'Antiocheno Martire S. Foca », scrive: « II P. Sempliciano Cilurso portò nel 1663 da Roma la statua che al presente si venera. La fé scolpire pari a quella che eravi nella chiesa di S. Marcellino. La conservò il monistero e nel celebrarsi la festa (5 marzo) il sindaco la chiedeva al priore, rilasciandogli ricevo con l'obligo di restituirla al dì seguente. Nel 1685 poi venne concessa del tutto al paese. Prima la statua era a persona intera, e non a mezzo busto, e però non così venerabile e maestosa da inspirare un profondo senso di devozione.» [8].

E' opportuno sottolineare che la promozione del culto di S. Foca da parte degli Agostiniani s'iscriveva in un disegno più ampio di controllo religioso e sociale della comunità francavillese, in concorrenza con i Domenicani che lo esercitavano attraverso la Confraternita del SS.mo Rosario e la compatrona S. Rosa da Lima [9]. Allo stato attuale delle ricerche non è possibile stabilire quali siano stati i termini della concessione ovvero se fosse a titolo gratuito o oneroso. E' probabile, tuttavia, che agli Agostiniani fu riconosciuto il ius praecedentiae durante la processione di S. Foca. Tale ipotesi consente di giustificare i fatti che si verificarono il 5 marzo 1719.

Da un documento dell'epoca risulta che i PP. Agostiniani, con il consenso di uno dei due parroci della chiesa di S. Foca, « il rev. sig. abbate D. Domenico De Cunis », occuparono il « luogo alli PP. Domenicani nelle processioni publiche ». Quest'ultimi, infatti, dovevano sistemarsi e procedere a destra della statua, come stabiliva un decreto vescovile e una disposizione del delegato pontificio. Il priore dei Domenicani, P. Tommaso da Acri, dopo aver protestato verbalmente contro chi aveva autorizzato e attuato il sorpruso, decise di non partecipare alla processione e insieme ai suoi confratelli rientrò nel convento. Dieci giorni dopo, il 15 marzo, formalizzò la sua protesta davanti al notaio David Costa affinchè il parroco De Cunis subisse le sanzioni previste dai citati decreti [10]. Luogo di Studio e di Noviziato il convento di S. Croce era dotato di una « mediocre libreria universale, non di quantità, ma di qualità. Piena di libri di ogni specie di scienza così di Sacra Scrittura, Theologia Speculativa, Morale, di Prediche, Filosofia, Astrologia, Geografia, come anche di Legge Civile e Canonica, Medicina, Poesia, Rettorica, Istoria, Belle Lettere ed oltre tutte le opere di Alberto Magno, di S. Antonino, di S. Tommaso, di S. Agostino; li purperati Caitano e Ugone la decorano; vi sono infiniti altri autori dell'Ordine che l'adornano.» [11].

La biblioteca fu « ordinata », nel 1728, dal P. M. Fulgenzio Marinari [12]. Questi, infatti, « ritrovandosi ad uso tanti libri per il valore di 270 ducati e meditando con il principio di questi ordinare una libreria per maggior decoro del monastero a cui è aggregato », chiese e ottenne dal P. Generale Fulgenzio Bellelli (1726-1733) l'autorizzazione ad utilizzare « una stanza contigua a quelle che ora da lui si abitano per ridurla in forma di libreria »; inoltre, il P. Generale dispose che « qualunque libro che si ritroverà dopo la morte di qualunque religioso figliolo di detto monastero debba porsi dal P. Priore prò tempore nella libreria predetta della quale ne sia custode vita durante il medesimo P. Maestro (Marinari) » [13]. Vito Capiallbi, nel suo «Memorie delle tiprografie calabresi », sostiene che la biblioteca, « raccolta con premura, diligenza e conoscenza insieme », la « principiò il P. Maestro Giulio Accetta di Francavilla, già due volte Provinciale di Calabria, nel 1684 e 1690, il quale poi ascritto alla Provincia di Lombardia anche di quella Provinciale divenne. Fu egli arrolato all'Accademia degli Apatisti di Firenze, e creato finalmente professore di matematiche nella Reale Università di Torino, ivi morì il 25 settembre, o come altri vuole in novembre 1752. L'accrebbe il P. M. Agostino Accetta, fratello germano di Giulio e anche Provinciale di Calabria nel 1726; e in ultimo il P. M. Giuseppe Lorè, figlio del convento, le regalò molte opere moderne e di costo. Questa raccolta si disperse colla soppressione del 1784.» [14]

All'interno del discorso del Capialbi si cela un'antinomia che mina dal profondo la tesi principale; infatti, il Giulio Accetta Provinciale di Calabria nel 1684 e 1690, per ragioni anagrafiche, non è il matematico, nato secondo P. Aurelio Perini « Francavillae Provinciae Rhegii Julii circa anno 1690 », ma un suo omonimo già Provinciale nel 1664 e Priore di S. Croce per diversi anni, come si vedrà in seguito. Di conseguanza la fondazione della biblioteca si può attribuire a Giulio Accetta solo se questi si identifica con Giulio senior e non con il più famoso Giulio iunior [15]. La famiglia agostiniana dimorante in S. Croce era in media costituita da quindici religiosi tra sacerdoti, professi, novizi, e servienti [16].

Le spese sostenute, per vitto, alloggio, vestiario, medico, servienti sono registrate e indicate nella relazione del 1650 con minuziosa precisione: « per pietanza dei frati a ragione di carlini tre al giorno, che sono ducati 108 l'anno; mangia ogni mese tomoli 20 di grano, che sono tomoli 240 di grano l'anno, et questo per li garzoni che tiene et operai per coltivare le terre, mettere li grani et conciar la vigna, continuo passaggio de' frati, stanza del superiore, passaggio di forestieri, signori officiali e ministri così regij che baronali; paga di vestiario ogni anno per sette sacerdoti a ragione di 10 scudi per uno scudi 49 (sic), per tre servienti scudi 10; per tre garzoni della masseria a ragione di quindici scudi per uno scudi 45; per due vaccari trenta scudi; per medico e barbiero scudi sedici; per medicine poco più e poco meno scudi 10; per Foglio ducati 10 ogni anno.» [17]

Dall'inventario redatto da P. Agostino Raffaele Loyola da Altamura, il 2 gennaio 1700, si può constatare la quantità e la qualità di beni di prima necessità che erano nei magazzini del convento: « Nel granaro: in una massa tumula quarantanove di grano, in un cestone di canne altri tumula ventidue di grano, grano riposto in una fossa dentro la terra di Francavilla altri tumula cento e sei, altri tumula quattro da esigersi da Giuseppe Cucuzza, due tumula di fave piccole. Nella dispensa: due casse piene di fichi secchi, una cassa piena di fagioli e metà di castagne, due pezzi di lardo, tre mazzi di candele di sevo, sette cognetti di vari salumi tutti dimezzati, molti vasi di creta con varij legumi, uno sportone pieno di maccheroni, due tumula e mezzo di fave, un quarto di noci.

Nella camera dell'ogliaro: sedici vasi grandi da rimettere oglio vacui, quattro cannate d'oglio vecchio per le lampadi. Nel casolaro: settantaquattro pezzette di caso, dieci pezzi di salame fatta in questo anno, orgio tumula uno e mezzo, tre tumula e mezzo in circa di grano d'india, otto indoglie [...]. Nella cantina: dieci botti di vino piene, nove vacue, un lambicco di rame, un imbutello di rame» [18]. Accanto a religiosi di santa vita e di esimia pietà e cultura i documenti evidenziano boiardi e approfittatori, lotte e intrighi per ottenere incarichi di primo piano.

Nel 1576, il Padre Visitatore, « per onere della religione », intervenne contro il priore e un altro frate, che con l'aiuto, certamente non disinteressato di P. Antonino da Montesoro, ebbero la possibilità di recarsi a Roma: « in quel convento era priore frate [...] di Cardinali, quali privai (della carica) per essere andato a Roma con la congiura e perché lui e frate [...] di Santa Caterina havevano dato al frate Antonino di Montisoro cento pezza di caso (formaggio) per mandarli a Roma, poiché il frate Antonino si faceva padrone di questo convento, et io non vi cognoscevo altro padrone che il Padre R.mo Generale et li privai anche del vestiario che dovevano avere dal convento poiché li havevano dato molto interesse di pane, vino, formaggio et altre cose [...] per aver consentito che qui si facesse la congiura». Quindi nominò il nuovo priore P. Giulio De Patrizi [19].

Il 22 gennaio 1753 il P. Generale diede mandato al P. Provinciale di Calabria Ultra di recarsi nel convento di S. Croce per constatare i « gravissimi delitti commessi nella gestione di quello Studio dal P. Priore e dal P. Baccelliere Cotronei acciò a dunque possiamo venire a cognizione della verità» [20].

Nella realtà socio-economica di Francavilla e degli altri centri vicini, il convento di S. Croce svolse un ruolo tutt'altro che trascurabile, sia per la disponibilità di un imponente patrimonio immobiliare, fondiario e zootecnico, sia per l'attività creditizia. I beni immobili erano costituiti da alcuni fabricati in Francavilla « li quali si affittano ogni anno per ducati 12 in circa »; da edifici esistenti nei fondi rustici (ubicati in c/da Gennarello, Trivio, Bilotti, Solari-De Cunis, Terranova, Fra Carlo, Eccellente) adibiti ad abitazione dell'affittuario e in parte utilizzati nella gestione dei fondi ad uso di granai, stalle, depositi, cantine; da frantoi e mulini per il grano (Fischia, Talagone, S. Giovanni). I mulini e i frantoi incidevano in maniera significativa sull'entrate. Questi potevano essere gestiti direttamente, incamerando i proventi in natura della macinazione, come pure potevano essere dati in affitto dietro corresponsione di un canone in denaro o in natura. Nella valutazione complessiva del potere economico degli Agostiniani i mezzi necessari alla trasformazione dei prodotti agricoli primari vanno tenuti nel debito conto. Nella relazione del 1650 il patrimonio fondiario e i proventi che si ricavavano sono descritti nei termini: « ... possiede molti territori la maggior parte boscosi e incolti delli quali parte servono per uso della masseria di detto convento; dell'altri poi suoi percepire ogni anno d'affitto tomoli 30 di grano, li quali possono valere trenta ducati. Può fare ogni anno della masseria 200 in circa tomoli di grano; può fare 50 tomoli di orgio, le quali servono per uso del convento. Di legni si provvide con li beni di detta masseria. Li frutti come fichi, cerasi et altri simili non si vendono, ma servono per uso del convento. Tiene alcune vigne delle quali si provvide il convento di vino ogni anno 200 barili in circa. [...] Possiede alcuni horti vicino al convento quali servono per uso di quello. Tiene alcuni oliveti; suoi bavere un anno per l'altro 200 rotori d'oglio. Possiede alcune quercie di ghianda (che) servono parte per il commodo del convento et parte possono fruttare ogni anno 6 scudi [21]». L'effettiva consistenza dei beni rustici è indicata da un inventario redatto, nel 1790, dal notaio Annunziato Tranquillo, agente della Cassa Sacra.

Questo documento - conservato nell'archivio di Stato di Catanzaro [22] - riporta il numero dei fondi e per ciascuno di essi le specie di colture, l'estensione, i confini, il tipo di gestione e di canone. Questa meticolosa precisione - collegata allo scopo e alla funzione della Cassa Sacra: identificazione e vendita dei beni ecclesiastici - permette di affermare che il patrimonio fondiario degli Agostiniani di S. Croce, insistente nel territorio di Francavilla, Castelmonardo, Polia, Acconia e Cortale, era costituito essenzialmente da terreni seminativi e arborati. L'uliveto era quasi sempre unito alla coltura del grano e più raramente al frutteto, rappresentato dal pero, fico, ciliegio, noce. Molto frequente era la presenza del gelso inserito nella coltivazione arborea e seminativa arborata. La conduzione dei fondi era l'affitto e la gestione diretta in economia. La relazione del 1650 nell'indicare i dati del patrimonio zootecnico sembra, ancora una volta, condizionata dall'esigenza di offrire la visione di una comunità autosufficiente, ma non ricca e opulenta, per l'implicito timore di esose imposizioni fiscali da parte delle autorità ecclesiastiche. Infatti, si legge: « Possiede 2 bovi per la masseria, et del restante può percepire ogni anno 20/25 ducati; quel poco cacio (formaggio) che fanno serve per uso del convento. Tiene bestie caprine tra piccole e grandi n. 60 delle quali non percepisce altro, se non, che alcun commodo per vitto del convento. Tiene porci a metà n. 8 delli quali quattro sono del convento et servono per uso e commodo di detto convento» [23]. Sganciato da quella preoccupazione, l'inventario redatto da P. Agostino Loyola nel gennaio 1700 offre un quadro più preciso e dettagliato. Da questo documento risulta, infatti, che a disposizione del convento e dei singoli religiosi - che salvo dispensa violavano il voto di povertà - era un cospicuo patrimonio zootecnico, gestito in gran parte da affittuari che, secondo l'uso del paese, corrispondevano ai rispettivi interlocutori (convento e religiosi) « mezzo frutto », cioè la metà dei prodotti (latte, formaggio, ricotte, carne ecc.); gli animali da tiro e da soma erano utilizzati per servizio nella masseria del convento e dai frati: « Nelle Masserie: animali pecorini e caprini, consignati a Pietro Carchidi a mezzo frutto secondo l'uso del paese, mille e settantasei; scrofe numero cinque; porcelli di un anno numero tre; animali vaccini (bovini) tra grandi e piccoli numero ventisei, consignati a Giovanni Di Nisi secondo l'uso del paese per tre anni cominciando dall'anno 1697 e finisce ad agosto 1700; quattro bovi consignati a Pietro Attisano, il fa la masseria di detto convento; due altri bovi per servizio di detto convento [...]. Animali particolari dei Religiosi: il P. M. Giulio Accetta tiene pecore e capre numero trecentonovantatre, quali si tengono da Domenico Fida; scrofe numero sedici, porcelli numero due, vaccini numero otto. Il P. Baccelliere Girolamo Sgroi Provinciale: scrofe numero due, un porcello, una giumenta. Il P. Nicola Pizzone da Francavilla: pecore e capre quarantasei, scrofe numero dieci, due porcelli, una giumenta con una anima. Fra Domenico Riga da Francavilla procuratore di casa: pecore e capre, nella mandria di (Domenico) Fida, numero settantatre; scrofe , che tiene Giuseppe Lo Roj, numero sedici, quindici porcelli con un verro, e in più in Montesoro con Tomaso Vuono un'altra scrofa, una giumenta, un'asina che tiene a guadagno con Marco Antonio Mazzetti. Fra Domenico Di Cicco converso di casa tiene una scrofa. Fra Diodato Pizzone converso di casa tiene due scrofe e sei porcelli. Il P. Giovanni B. Cilurso priore di casa tiene una giumenta.» [24]

L'attività creditizia di S. Croce era esercitata attraverso il censo bollare, un istituto che permetteva agi enti ecclesiastici di concedere prestiti senza scivolare nell'usura; infatti, l'ente concedente non pretendeva la restituzione del denaro, ma si garantiva perpetuamente su un immobile una rendita annua variabile a seconda l'entità del prestito e del tasso d'interesse praticato. Nella relazione del 1650 si legge che il convento ricavava dai censi bollari una rendita annua di 350 ducati « delli quali si stanno liticando in actu 320 ducati di capitale con più di 200 ducati di censi decorsi » [25]. Nel 1790 le partite di censi bollari erano 117 con un capitale anticipato di 7835 ducati, al tasso medio del 5 per cento. Tra i maggiori debitori: la famiglia Rondinelli di Castelmonardo con circa 3000 ducati; Diego Bruno per 1035 ducati; Nicola e Giuseppe Mannacio per 514 ducati; Michele e Vincenzo Solari per 500 ducati; Giacinto Cauzzi per 450 ducati; Tommaso Perri per 340 ducati [26].

Una quota dell'entrate veniva impiegata per far fronte alle spese, ordinarie e straordinarie, del convento. Esse riguardavano, oltre il mantenimento dei frati e il pagamento degli stipendi ai dipendenti, le messe perpetue, i lavori di manutenzione, gli obblighi fiscali, i censi perpetui, le liti giudiziarie e l'assistenza legale: «Il detto monastero ha di peso di messe perpetue per ogni settimana numero 23; ben vero che per la maggior parte di queste furono assignati alcuni stabili, li quali sono persi per essere incolti et parte sono diminuite le entrate che fruttavano in quel tempo che furono assegnati. Di queste (entrate) si consignavano in quelli tempi antichi [...] cinque grana la messa [...]. Conforme l'uso della religione, o d'altri particolari devoti e benefattorii, paga ogni anno di censo perpetuo per detti stabili in denaro scudi 15. Paga ogni anno di censo per le vigne et altre terre tomoli 71 et un quarto. Suoi pagare ogni anno di colletta ordinaria ducati dieci e carlini otto, un anno ben di più [...] per l'occasione del capitolo generale si pagarono di più ducati 21 e tari 10. Deve pagare per una volta tantum scudi 5 per li quali stanno in pegno alcune robbe della sagrestia et del convento per haverli pagati, alii 14 ottobre del prossimo passato 1649, a D. Michele Buono di Nicastro commissario del Nunzio, per scarcerare sei frati, li quali havea fatto prendere carcerati mentre stavano venendo da una vigna, della quale il convento era stato in pacifico possesso per nove anni continui, determinato per decreti della I e II istantia; et il detto commissario di Roma, ad istanza della parte contraria così gagliarda, fece prendere carcerati detti frati contro ogni giustitia e riverenza, et doppo haverli malmenati volse 105 ducati per scarcerarli. Per risarcimento di detto convento come di chiesa, sacrestia, di cantina, di dispensa, et di refettorio scudi 40 ogni anno senza però fare cosa niuna nova [...]. Per accomodar le vigne et servitij della masseria ducati 15. Per avvocati e procuratori ducati 10. Et per altre spese, che accorrono in dies, [...] si rimedia come meglio si può» [27].

Ulteriore uscite erano quelle che sintetizzano e quantificano l'attività caritativa e assistenziale: « Può fare di elemosina ogni anno tomoli 6 di grano col cercarlo però nel tempo della scugna nelle campagne (cioè dopo la mietitura); può fare di elemosina di pane in Francavilla ogni domenica per un anno tomoli 3 di grano; suoi fare ogni anno nel giorno di S. Nicola Tolentino per messa et elemosina ducati 4 » [28]. Il 1783, anno in cui si verificò il terribile sisma che sconvolse la Calabria, rappresenta l'inizio della parabola discendente per gli Agostiniani di Francavilla. Ai danni materiali provocati dal terremoto si aggiunsero nei mesi successivi i provvedimenti restrittivi emanati dal governo napoletano contro gli ordini religiosi, che provocarono l'abbandono del convento da parte dei frati, la dispersione e forse la distruzione dell'archivio, della biblioteca e del patrimonio artistico di S. Croce. Gli Agostiniani ritornarono in S. Croce dopo l'applicazione del Piano Fuscaldo e vi rimasero fino al 1803, quando in seguito ai ripetuti assalti dei briganti passarono ad abitare in Filadelfia. Ma sopragiunse la soppressione ordinata dal Murat nel 1809. A seguito del concordato del 1818, tra la S. Sede e il Regno di Napoli, il convento venne ripristinato, l'11 gennaio 1820, con una rendita di ducati 1221 e grana 19 [29].

Per le precarie condizioni statiche - funzionali dell'edificio le autorità civili di Filadelfia chiesero all'Alta Commissione per il concordato che ai frati fosse concessa la possibilità di stabilirsi in un locale messo a loro disposizione nel centro abitato. Al trasferimento si opposero le autorità di Francavilla, poiché da secoli gli Agostiniani curavano la vita sacramentaria e l'istruzione catechistica di quella popolazione e si dedicavano all'assistenza dei poveri e degli emarginati [30]. La polemica, che ebbe risvolti violenti, si concluse quando l'Alta Commissione per il Concordato - grazie all'interessamento di P. Giuseppe Pezzella, delegato dal P. Generale per il ripristino dei conventi, e del vescovo di Mileto Mons. Ernico Minutolo - decise, il 24 maggio 1821, il trasferimento dei religiosi in Monteleone (Francavilla Angitola) « nel locale una volta delle monache di S. Chiara.» [31]

A questa decisione, però, si opposero alcuni dei religiosi, perché « 1° giurarono essere membri del monastero di Filadefia;

2- che in Monteleone non essendoci locale sufficiente perché composto di sole quattro celle, una famiglia di dieci individui non ci può abitare;

3- che dette quattro celle vengono circondate da case particolari e perciò non vi è speranza di dilatare... supplicano pertanto la M. V. ordinare che detto Monastero colla famiglia ripristinato si fosse in Filadelfia, in dove nei passati tempi commodamente dimorarono per lo spazio di anni quattro, e in dove vi sono i poderi assegnati in dotazione.» [32]

La loro iniziativa non ebbe esito positivo e furono costretti a trasferirsi in Monteleone. La consegna dei locali della nuova sede conventuale, « consistente in cinque picciole stanze e moltissime fabriche dirute », fu fatta il 23 giugno 1823 a P. Giuseppe Fazio, ultimo priore di S. Croce [33].

Infine, attraverso l'analisi degli atti dei Capitoli Provinciali di Calabria Ultra, conservati nell'archivio della Curia Generalizia degli Agostiniani in Roma, e dei protocolli dei notai di Francavilla Angitola, custoditi nell'archivio di Stato di Lamezia Terme, è stato possibile ricavare un elenco dei Priori di S. Croce dal XVI al XVIII secolo:

 

1542: P. Matteo Mileto

1576: P. Giulio De Patrizi

1598: P. Martino Condianni

1599: P. Ignazio da Gioia

1642-1643: P. Giovan Battista

1646: P. Francesco da Montesanto

1650 -1652: P. Pietro Antonio Accetta

1653 -1654: P. Francesco da Montesanto

1656: P. Pietro Antonio Accetta

1659: P. Paolo Gaccetta

1660-1661: P. Pietro Antonio Accetta

1663: P. Sempliciano Cilurso

1664-1665: P. Giulio Accetta

1666: P. Pietro Antonio Accetta

1667 -1670: P. Giulio Accetta

1671-1672: P. Marcelle da Filogaso

1673: P. Giulio Accetta

1674 -1675: P. Sempliciano Cilurso

1676-1677: P. Pietro Antonio Accetta

1678 -1680: P. Giulio Accetta

1681: P. Girolamo Lembo

1682-1683: P. Sempliciano Cilurso

1684-1686: P. Marcelle da Filogaso

1687: P. Nicola Caria

1688-1689: P. Filippo Scarola

1690: P. Girolamo Sgrò

1693-1694: P. Nicola da Francavilla

1695 -1697: P. Giulio Accetta

1698: P. Agostino Accetta

1699-1700: P. Giovan Battista Cilurso

1701 -1702: P. Giacinto Serrao

1703-1704: P. Domenico Magno

1705-1706: P. Nicola Quaranta

1707-1708: P. Giacinto Serrao

1709-1710: P. Nicola Gennarello

1711-1712: P. Giacinto Serrao

1713-1714: P. Filippo Paucci

1715 -1718: P. Giacinto Serrao

1719: P. Paolo De Cunis

1720-1721: P. Agostino Provenzano

1722-1723: P. Agostino Accetta

1724: P. Nicola Azzarà

1725-1726: P. Nicola De Paro

1721 - 1728: P. Fulgenzio Marinari

1729: P. Paolo De Cunis

1730-1732: P. Giacinto Serrao

1733: P. Filippo Scarola

1734: P. Gregorio Longhi

1735-1737: P. Nicola De Paro

1740: P. Giacinto Serrao

1741: P. Paolo De Cunis

1742: P. Nicola De Paro

1738 - 1739: P. Paolo De Cunis

1743-1745: P. Tommaso Grande

1746: P. GirolamoTeti

1748-1749: P. Tommaso Martini

1751 -1752: P. Domenico Calfapietra

1754-1755: P. Tommaso Martini (De Martino)

1757-1758: P. Antonio De Ancora

1760: P. Fulgenzio Fozia

1761 -1764: P. Giuseppe Lorè

1766: P. Antonio De Ancora

1767: P. Giovan Battista Ciamproni

1769: P. Angelico Melito

1770: P. Giuseppe Lorè

1773: P. Giuseppe Lorè

1778: P. Giuseppe Lorè

1781: P. Giovan Battista Costa

1821: P. Giuseppe Fazio

 

 

 

APPENDICE

 

XXVIIII lunij XV Indictionis 1542.

Nobilis Magister Baptista Mazolo marmorarius sponte se constituit et obligavit venerabili fratri Matheo de Francavilla ordinis sancii Augustini terre Francaville partibus Calabrie ibidem presenti et constituenti etc. ad laborandum et disculpendum ad omnes eius expensas quandam imaginem dive Marie marmorie albe absque macula et machia de illa proporcione immaginis dive marmorie existentis in presente intus ecclesiam Sancte Marie de Jesu huius nobilis civitatis Messane longitudinis palmorum sex cum eius filio in brachiis de illa proporcione prout est discolplitus illa immagine marmorie existentis intus ecclesiam sancti Augustini huius nobilis civitatis Messane exceptu a lo chi lu pedi seu gamba dexstera sia dritta e la mano voltata cum uno mundo in mano de illis propriis renelis (?) et mayoribus cum eius sandello in pede marmorie palmi unius cum dimidio cum tribus figuris videlicet in medio immago pietatis ex parte dexstera immago Sancti Johannis Baptiste et ex parte sinistera immago Sancti Augustini cum eius oramentis et colore de aczoro bene condicionate scolpite et depicte. Quas immagines impunto et in ordine ut supra dictus nobilis Baptista per se etc. in pace etc. dare et consignare promisit et tenetur dicto venerabili fratri Matheo etc. hic Messane in eius apotheca in prima edomeda quatragesime proxime venture et hoc prò pretio unciarum viginti dua-rum de quibus unciis XXII dictus nobilis Baptista ab eodem venerabili fratre Matheo confessus est habuisse et recepisse presen-tialiter et manualiter coram me notario et testibus infrascriptis scutos venti aureos largos et iusti ponderis ut constat renunciando etc. et restans ad computum dittarum unciarum XXII dictus ut supra frater Matheus se constituit et sollemniter se obligavit per se etc. in pace etc. ac in pecunia dare traddere et assignare convenit promisit et tenetur in persona nobilis Baptiste in consignationem ditte immagine prò quibus omnibus et singulis possit ad petitionem partis promissa servantis contra partem deficientem fieri executio brevi manu in persona et in nobis coniunctim vel divisim cum auctoritate variandi etc. in quolibet foro loco iudicio et mundi parte. Renunciando cum expresso juramento privilegio fori eorum cum pacto de non opponendo etc. quin prius solvat et adimpleat formam et tenorem presentis contractus ad unguem cum refectione omnium dapnorum expensarum et interesse litis et extra et prò maxime viaticas presertim algozini et contra ad eorum solitas dietas et teneatur ad dittas expensas nonostantibus quod veniret cum sacculo parato ritu regni nonostantibus etc., et quod liceat e licitum sit ipsi venerabili fratri Matheo ipsa immago fieri facere per alios magistros in quovis orbis loco ipsorum ad interesse et dapna dicti magistri Baptiste iure quo potuit invenire etc. que omnia etc. sub pena etc. obligando etc. renunciando etc. cum iuramento guidaticis moris dilato rijs cessioni bonorum domus refugio dilationi plurium creditorum locis privilegiatis affidamentis etc. biennalibus trienna libus quaternalibus etc. et aliis etc. Ipse Matheus privilegio clericali et juraverunt et fiat in forma commune. Presentibus magistro Josepho de Amico magistro Antonio Grasso et aliis testibus.

 

La presente copia, composta di n. 1 foglio e fin qui trascritta, è conforme al suo originale conservato presso questo Archivio di Stato, fondo Notarile di Messina, Notaio Francesco Salvo, voi. 49.

Si rilascia a richiesta della Sig.ra Annamaria Betti, da servire per uso ove convenga. Messina, 23 Febbraio 1988.

IL TRASCRITTORE: [Firma illegibile]

IL COLLAZIONATORE: Francisca Poniam Dominici

IL DIRETTORE Dott.ssa Maria ALIBRANDI

 

 

 

Note

 

(1) - F. ACCETTA,I conventi agostiniani della Congregazione degli Zumpani in Calabria Ultra nel 1650, in BRUTIUM, ott./dic. 1988 - genn./marzo 1989, pp. 19-20/14-17. F. ACCETTA, I conventi agostiniani della Provincia di Calabria, in CALABRIA LETTERARIA, aprile-giugno 1989, pp. 29-32.

(2) - Archivio Generale Agostiniano AGA), Roma, fondo Ii, vol. VI, f. 268r. G. SERRAO, Castelmonardo e Filadelfia nella loro storia, 1983, p. 22 riporta la data del 1502, ma non cita la fonte.

(3) - AGA, Notitiae Provinciae Calabriae, fondo Aa, vol. XI, f. 504.

(4) - AGA, fondo Ii, vol. VI, f. 268 cit.

(5) - Archivio di Stato di Catanzaro (ASCZ), Liste di carico, vol. XV, distretto di Francavilla Angitola.

(6) - A. TRIPODI, Presenze e commerci di Siciliani nel comprensorio Lametino, in CITTA' (Lamezia Terme), dicembre 1989, p. 15.

(7) - Archivio di Stato di Messina, notaio Francesco Calvo, atto del 29/6/1542. Il contratto è riportato in appendice.

(8) - O. SIMONETTI, Cenno biografico sovra l'Antiocheno Martire S. Foca, Monteleone, 1892, p. 28.

(9) - F. ACCETTA, S. Foca Martire Patrono di Francavilla Angitola, in CALABRIA LETTERARIA,luglio-settembre 1992, pp. 53-57

(10) - Archivio di Stato di Lamezia Terme (ASLT), notaio David Costa, atto del 15/3/1719

(11) - G. B. PETROCCA, Francavilla Angitola, opera inedita.

(12) - P. Fulgenzio Marinari fu priore di S. Croce nel biennio 1727/28. Nel 1745 partecipò al Capitolo Generale di Bologna in qualità di Provinciale di Calabria Ultra. Al medesimo Capitolo prese parte il P. M. Giulio Accetta professore di matematica nell'Università di Torino, in qualità di Assistente d'Italia.

(13) - AGA, fondo Dd 169, f. 151.

(14) - V. CAPIALBI, Memorie delle tipografie calabresi, Napoli, 1835, p. 179. Le stesse notizie furono pubblicate da E. G. VOGEL, nella rivista « SERAPEUM », n. 2, 1841, p. 73 e 5

(15) - Giulio Accetta senior, ricoprì la carica di Provinciale di Calabria anche nell 1664. In un atto notarile, rogato dal notaio Giuseppe Costa l'11 febbraio 1664 (ASLT), si legge: « P. M. Giulio Accetta prior odiernus Venerabilis Monasteri Divae Mariae Crucis et rector provincialis huis Provinciae Ordinis Sancti Augustini ». P. DAVID AURELIO PERINI, Bibliographia Augustinìana, Firenze, s.d., p. 8 offre un quadro esauriente della carriera ecclesiastica di P. Giulio Accetta iunior; infatti, scrive: « ... natus est Francavillae Provinciae Rhegii Julii circa anno 1690. Anno 1705 Ordinem Erem. S. Augustini ingredi postulavi!. Studens Neapoli an. 1706, cursor Pulcini an. 1710, lector Florentiae an. 1713, Bacc. Pisauri an. 1715, inter collegiales an. 1717 meruit coptari in conventu S. Augustini de Urbe, ubi regentis munus prò aliquot annos exercuit... die 11 maii 1727 ad magistralem lauream consequendam examinatus, monia vota favorabilia retulit ». F. NICOLINI, Saggio di un repertorio biobibliografico di scrittori nati o vissuti nell'antico regno di Napoli, Napoli, 1966, p. 21 descrive l'attività di Giulio Accetta iunior presso l'Università di Torino nei termini: « Dal 19 gennaio 1730 occupò la cattedra di matematica nell'Università di Torino. A quali norme dovesse ottemperare nel suo insegnamento è indicato in un documento inedito dell'Archivio di Stato di Torino. Ogni anno gli era imposto « spiegare gli otto necessari libri di Euclide, cioè i primi sei, indi l'XI e il XII », esporre « un'aritmetica compendiosa, quanto necessaria alla pratica » e fermarsi su « i principii e le notizie dell'analisi ripartitamente e successivamente secondo le buone regole ». Gli si faceva obbligo altresì d'insegnare, nel primo anno, « la cosmografia, la geografia e la trigonometria piana ». Quanto al successivo corso triennale, materie da trattare erano nel primo anno gli elementi sferici e le sezioni coniche; nel secondo, la meccanica, la statica e l'idrostatica; nel terzo l'architettura militare, colle necessarie notizie della civile e della prospettiva e della nautica ». Al dir del Vallauri, l'Accetta fu il primo « a rialzar alquanto gli studi matematici in Piemonte « .,.. Aggregato all'Accademia delle Scienze di Parigi, lasciò, alla sua morte molti strumenti di fisica sperimentale, che vennero acquistati dall'Ateneo Torinese ».

(16) - AGA, Atti dei Capitoli Provinciali di Calabria Ultra, fondo Ff, voll. 28-39-41-43-47-51-54

(17) - AGA, fondo Ii, vol. VI cit. f. 269v

(18) - AGA, fondo Aa, vol. XI, f. 502

(19) - AGA, fondo Aa, vol. XI, f. 504.

(20) - AGA, Dd 194, f. 90v

(21) - AGA, fondo Ii, vol. VI, cit. ff. 268v-269

(22) - ASCZ, Liste di carico, vol. XV, cit. 294 e 5

(23) - AGA, fondo Ii, vol. VI, cit. p. 269r

(24) - AGA, fondo Aa, vol. XI, f. 502 cit

(25) - AGA, fondo Ii, vol. VI, cit. 268v

(26) - ASCZ, liste di carico, cit.

(27) - AGA, fondo Ii, vol. VI cit., f. 269

(28) - Ibidem, f. 268v

(29) - C. TESTA, Ricerche sulla restaurazione dell'Ordine Agostiniano nel Regno di Napoli, in ANALECTA AUGUSTINIANA, vol. 49, 1994, p. 244.

(30) - ibidem

(31) - ibidem.

(32) - ibidem.

(33) - ibidem