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Conventi agostiniani: Civitavecchia

Chiesa della Santissima Trinità a Civitavecchia-Arpino

Chiesa della SS. Trinità

 

 

CONVENTO DELLA SS. TRINITA' A CIVITAVECCHIA

da: F. M. MIGNANTI, Santuari della regione di Tolfa. Memorie storiche a cura di O. MORRA. Roma 1936.

 

 

IL SANTUARIO E L'EREMO

A circa due chilometri dal paese di Allumiere, sulla via che conduce alla Farnesiana, si vede a destra, in pittoresca posizione, una chiesa con annesso convento: è l'eremo della SS. Trinità, il più antico dei santuari della regione della Tolfa. Il Cenobio non si componeva che di 5 o 6 stanze sovrapposte a due piccoli portici, l'uno di cinque archi, l'altro di quattro, che si uniscono ad angolo retto; la chiesa, dedicata alla SS. Trinità, lunga non più di 12 metri e larga in proporzione, aveva tre altari, dei quali uno solo ne rimane ora, con una tela che raffigura appunto la tre divine Persone, con un Angelo che ha in mano una bilancia.

La chiesa, priva nel suo interno di cose di particolare interesse, ha nel suo esterno, a destra di chi entra, a fianco di una angusta finestra, una lapide con antichissimi caratteri, degna di essere qui riprodotta. Essa è del seguente tenore: NE PROPERES SIVE VIATOR ES SIVE IN / QUILINUS EREMITICAM VENERARE / DOMUM VENERARE SACELLUM UBI / PRAEFULGIDUM ILLUD ECCLESIAE / CHRISTI LUMEN AUGUSTINUS EGRE / GIUM AUGUSTISSIMUMQUE OPUS DE TRINITATE INCOHAVIT QUOD ETIAM / MIRIFICO COELESTIS PUERI IN PRO / XIMO BERTHALDI LITTORE SIBI APPA / RENTIS ORACULO INTERMISSUM IN / AFRICA TANDEM JAM SENEX ABSOLVIT.

Tradotta, l'iscrizione così suona: Sia tu viandante, o tu abbia qui dimora, sosta a venerare questa casa eremitica e questo santuario dove quel fulgidissimo luminare della Chiesa di Cristo che fu Agostino imprese a scrivere quel mirabile e sublime trattato sulla Trinità, che interruppe poi a seguito del prodigioso monito di un celeste giovinetto apparsogli nel vicino lido di Bertaldo, e che portò a termine in Africa, divenuto vecchio. Questa non è la sola chiesa del cenobio, perché adiacente ad essa, verso nord, è un altro oratorio dedicato alla Madonna SS. ma del Soccorso, sul cui altare era una volta una tela rappresentante la Vergine, mentre oggi v'è una piccola statua di Maria raffigurata incoronata col Bambino in braccio. Nel ripiano poi della scala che mette alle stanze del piccolo convento, e precisamente sopra la volta che ricopre l'altare della prima chiesa, v'è anche ora un terzo oratorio dedicato alla Madonna SS.ma delle Grazie. Era quivi in antico una statua in legno della Vergine, ed era situata in mezzo a due affreschi rappresentanti l'uno S. Agostino, l'altro S. Guglielmo; resasi indecorosa per vecchiezza, la statua fu sostituita da un'altra in terracotta, poi dipinta e dorata, che in prosieguo di tempo cedette pur essa il posto ad una tela, che vi è anche attualmente, raffigurante la Immacolata Concezione.

Questa cappella, secondo la tradizione, sarebbe stata la cella abitata da S. Agostino. A destra di chi entra in questo oratorio si nota un'altra iscrizione pure in caratteri gotici, ma assai più belli e più ben conservati di quelli della precedente, che così dice: VETUSTISSIMUM MONACHORUM EREMITARUM / COENOBIUM OLIM HIC FUIT A PROXIMA CIVI / TATE DE CENTUMCELLIS ET AB ADIACENTE / SACELLO SANCTAE SEVERELLAE VOCITATUM / IN QUO BEATUS AUGUSTINUS PRIUSQUAM / IN AFRICAM REVERTERETUR CUM EISDEM / DEI SERVIS ALIQUANDIU COMMORATUS EST / QUIBUS ETIAM COMUNIS VITAE PRAECEPTA / PRAESCRIPSIT QUAE SECUNDA REGULA APPELLATUR.

Diamo, come della precedente, anche di questa, la traduzione italiana: Esistè qui un antichissimo cenobio di monaci Eremiti, che ebbe nome dalla prossima città di Centocelle e dal vicino santuario di Santa Severella, nel quale il Beato Agostino prima di far ritorno in Africa dimorò alcun tempo con quei servi di Dio, ai quali pure tracciò quelle norme di vita in comune che vanno sotto il nome di Seconda Regola (1). Questo cenobio, di cui le iscrizioni che abbiamo riprodotte affermano la veneranda antichità, fu residenza di una famiglia di monaci Agostiniani; luogo di non agevole accesso, solitario e quieto, nascosto quasi tra i monti, era assai adatto ad una vita di austerità e di religiosa contemplazione. Fu da questo convento che vennero chiamati -come diremo a suo luogo- i PP. Agostiniani ai quali fu affidata la custodia della chiesa della Madonna della Sughera. Il convento della SS. Trinità sussistè fino al 1656, nel qual anno fu soppresso dal papa Alessandro VII, e nel cenobio non restò più che un semplice eremita (2).

Soppresso il convento, e subentrato il luogo nella giurisdizione dell'Ordinario, nacque controversia fra il Vescovo di Sutri e quello di Corneto affermando ambedue che esso cadeva nella giurisdizione della propria diocesi. Fu raggiunto però l'accordo, su queste basi: l'oratorio propriamente detto la Madonna del Soccorso avrebbe appartenuto alla Diocesi di Corneto, la chiesa della Trinità coll'oratorio della Madonna delle Grazie e l'annesso convento sarebbero spettati alla Diocesi di Sutri. Questo stato di fatto durò per 200 anni, fino al 1854. Quattro anni prima di questa data Tolfa e Allumiere erano state avulse dalla Diocesi di Sutri, ed erano passate a far parte di quella di Civitavecchia in virtù del Decreto concistoriale che reca la data 5 settembre 1850 e che incomincia colle parole: Omnium Ecclesiarum sollicitudo semper Romanum Ontificem; quando nel 1854 morì il card. Luigi Lambruschini, sottodecano del Sacro Collegio e come tale Vescovo di Porto e S. Rufina e Civitavecchia, e rimase in pari tempo vacante la sede vescovile di Montefiascone e Corneto per libera e spontanea rinuncia da parte del Card. Nicola Clarelli che reggeva le due sedi, Pio IX colla Bolla Apostolica Romani Pontificis in data 23 giugno 1854 separò la sede vescovile di Civitavecchia da quella di Porto (che le era stata unita da Leone XII), separando altresì quella di Corneto da quella di Montefiascone; riunì poi le due diocesi di Corneto e Civitavecchia, e vi prepose come vescovo Mons. Camillo Bisleti, che reggeva la sede vescovile di Ripatransone. In tal modo è cessata la doppia giurisdizione sul romitorio della Trinità, che dipende dal Vescovo di Civitavecchia e Corneto.

Da questi brevi cenni storici sul santuario e sul convento facilmente ognuno rileva come la parte più interessante sia l'avere nel luogo dimorato Sant'Agostino, come le lapidi riprodotte affermano, l'avervi dettato la sua seconda Regola, e l'avervi incominciato i famosi XV libri del trattato De Trinitate che, interrotti per una visione avuta dal Santo sul lido del vicino mare, non furono compiuti che venticinque anni più tardi (3).

 

 

Note

 

(1) Il testo delle due lapidi trascritte nell'originale manoscritto del Mignanti non è perfettamente identico a quello datoci da A. Bartoli nelle sue inedite memorie storiche su Tolfa. Poichè, come è detto più oltre, le lapidi non sono più nel Santuario della Trinità, nè si sa dove siano state portate, mi sono attenuto, nel riprodurle, a quella che mi è parsa essere la versione più attendibile. Si tratta comunque di divergenze quasi esclusivamente di carattere ortografico e di minima importanza.

(2) Dagli atti pubblici del notaio Domenico Iacobini, tuttora conservati nell'Archivio Comunale di Tolfa, si rileva che il giorno 8 maggio 1636 fece professione nella chiesa della Madonna della Sughera Fr. Giovanni Pasini (o Parsini), che era figlio del convento della SS. Trinità. Da altro atto dello stesso notaio del 28 gennaio 1647 si ricava che in quella data abitavano tuttora l'Eremo della SS. Trinità i PP. Agostiniani. Nel 1669 venne eseguito, a rogito del Rossi notaio di Tolfa, l'inventario degli arredi della chiesa, inventario che è conservato nell'Archivio Comunale. Tra l'altro è detto che, oltre alle due lapidi sopra trascritte, vi era un quadro su tavola antichissimo, rappresentante la Madonna del Soccorso, e che si conservava pure un breviario assai antico in cui era descritta una lezione di S. Guglielmo, coll'indicazione ripetuta che S. Agostino aveva dimorato in quel luogo iniziandovi il trattato De Trinitate. (Dalle Memorie inedite del BARTOLI).

(3) Alle notizie date dall'Autore di questi cenni storici sono lieto di poterne aggiungere altre fornitemi dalla cortesia del rev.mo P. Saturnino Lopez osa, al quale rinnovo qui i sensi del mio animo grato. Le origini del romitorio sono sconosciute. Non sappiamo quale fondamento abbia la notizia contenuta in Alphabetum Augustinianum (vol. I, p. 154) secondo la quale esso risalirebbe all'anno 827. L'opera cita in proposito il B. Giordano di Sassonia, (Vitasfratrum, lib. I, cap. 16), il quale parla dell'eremo come di uno "ex antiquioribus quae sunt in Italia" e che "fuit usque ad tempora Gregorii Papae IIII". La più antica notizia documentata del cenobio la abbiamo da due bolle di Innocenzo IV. Nella prima, in data 16 dicembre 1243 (Reg. Vat., XXI, f. 54; ann. I, n. 323), il Papa ordina al Card. di S. Maria in Cosmedin suo legato di concedere ai frati romitani della SS. Trinità di Centocelle (o Civitavecchia) la chiesa di S. Severa, abbandonata; nella seconda, in data 30 marzo 1244 (Reg. Vat., XXI, f. 93; ann. I, n. 578), diretta al Priore e ai frati dell'Eremo della SS. Trinità "de Centumcellis", si conferma la concessione medesima. Non sappiamo però a quale ordine appartenessero i religiosi che lo abitavano. Come membro dell'Ordine eremitano di S. Agostino ce lo fanno conoscere gli Atti del Capitolo della Provincia Romana, celebrato a Corneto nel 1274. Nel 1275 vi fu tenuto il capitolo, e un altro ancora ve ne fu tenuto nel 1278 (Analecta Augustiniana, II, pp. 226, 229). Sembra che, almeno sin dalla prima metà del sec. XV, il cenobio abbia perduto la sua personalità, e con lievi interruzioni sia stato fatto membro del Convento di Corneto. Infatti in data 29 agosto 1453 il Priore Generale, P. Giuliano di Salem, annota nel suo Registro, conservato nell'Archivio dell'Ordine, Dd. 6, fol. 170v: "Quia vidimus Conventum nostrum de Centumcellis derelictum et a fratribus inhabitatum, ruinamque minantem; ideo, cupientes eidem de oportuno remedio aliqualiter providere, ob reverentiam tanti Patris nostri eximii Aurelii Augustini, ibidem per biennium commorantis, tum etiam ratione officii, licet conventus esset Conventui Corneti incorporatus, quamvis nullam curam gererent fratres ipsi de eodem; ideo, hoc nos videntes, decrevimus illum Fratri Carolo de Corneto, qui pluries a nobis eum requisivit, dare et eum eiusdem conventus priorem nostri parte facere et fecimus, sperantes ut per eum debeat in brevi relevari". Il P. Carlo poco o nulla dovette fare, poiché ai 25 ottobre 1460 il Generale, P. Guglielmo Becchi, scrive nel suo Registro (Dd. 6, fol. 173): "Fecimus Vicarium Centumcellis magistrum Johannem de Corneto, ut rehedificaret et restauraret conventum". Finalmente, il P. Generale Ambrogio da Cori, il 28 dicembre 1481, decreta: "Excepimus sub protectione nostra Conventum nostrum S.te Trinitatis de Centumcellis, et curam illius commisimus in temporalibus et spiritualibus Priori Cornetano, qui est et qui erit pro tempore, non obstantibus quibuscumque iuribus alterius conventus" (Reg. Dd. 7, fol. 176v). Dal 1623 fino al 1782 appare sempre nei Registri della Provincia Romana come incorporato al Convento di Corneto ed affidato alla cura, prima di un sacerdote e vari frati, poi d'un solo frate converso. Nel 1782, scrive il P. TOMASO BONASOLI, Archivista dell'Ordine in un Cod. ms. che si conserva nell'Archivio generalizio, sotto il titolo: "Notizie della Religione Agostiniana e della Provincia Romana", pag. 393: "Al Convento di Corneto sono annessi due Romitorii, quello della SS. Trinità delle Allumiere, e l'altro di S. Agostino alla Fontanella. Il primo (che resta vicino alla strada che dalla Tolfa conduce a Corneto) resta distante dalle dette Allumiere due miglia, e miglia 11 o 12 da Corneto; dalla Tolfa poi, per la via delle Allumiere, miglia 4. Resta dentro un bosco alquanto elevato, in aria buona, benché non abbia alcuna apertura che dalla parte del mare e sia circondato dai monti. Fuori del Romitorio vi è una fontana abbondante di acqua sorgiva, assai buona, nè vi è all'intorno alcuna abitazione. Dicesi fondato questo Convento nell'828, ovvero nell'844, e trovo che dal 1274 sino al 1642 vi sono stati sempre de' Sacerdoti col loro Priore, benchè nel 1505 trovasi ne' Registri della Provincia che la famiglia veniva disposta dal P. Priore di Corneto. Dopo il 1642, non vi si trova più famiglia, ma al più un Sacerdote ed un Converso, che erano mantenuti dalle Allumiere, e in appresso vi stava un Converso, in qualità di Romito". I documenti sopra citati mostrano, peraltro, che la continuità della permanenza di Sacerdoti col loro Priore non fu assoluta. Sulla data della cessazione della famiglia, inoltre, e sulla conseguente giurisdizione dei due Vescovi, c'è differenza fra quanto qui sopra è detto e ciò che dice il Mignanti (pag. 13). Il P Bonasoli continua: "Al presente in questo Romitorio vi si vedono ancora alcune camere mezzo rovinate e solo vi è rimasta in buon essere la chiesa... Vi si osservano tre lapidi, con iscrizione sopra. La prima iscrizione stà nella facciata esterna della chiesa, mezzo gottica, e dice: (segue il testo della iscrizione Ne properes sopra citata). L'altra iscrizione stà nel muro divisorio dentro la chiesetta dedicata alla SS. Trinità, e dice: (segue il testo dell'iscrizione Vetustissimum Monachorum. La terza iscrizione è moderna e sta nel Romitorio di sopra, fuori d'un piccolo Oratorio". Aggiungiamo infine qualche notizia sullo stato odierno del santuario. Attualmente esso è in completo abbandono: sul finire del 1918 morì l'eremita che vi soggiornava e nessun altro prese il suo posto. La chiesa non è più officiata, e reca i segni della totale incuria; i muri del vicino romitorio sono pericolanti. Nessun quadro si vede sull'altare della cappellina delle Grazie: probabilmente il quadro dell'Immacolata, di cui è fatto cenno, è quello che ora si trova sopra una parete della sottostante chiesa. Il companile conserva le due campane, una delle quali, la maggiore, risale al Cinquecento: vi si legge infatti, su due righe, la seguente iscrizione: PAULUS RICELARIUS CIVIS FLORENTINUS ANNO MDII ADI V L - OPUS PAULINI DE BOSSI AVE MARIA GRATIA PLENA DOMINUS. Le due antiche lapidi, sopra trascritte, sono state asportate. Non sappiamo renderci ragione di questo atto, che sarebbe giustificato solo se chiesa ed eremo dovessero essere definitivamente condannati ad irrimediabile rovina, mentre con opportuni lavori di restauro sarebbe ancora facile e agevole salvare il sacro edificio che ha una secolare tradizione e in cui assai opportunamente potrebbero essere rinnovati il culto e le pie consuetudini che vi facevano convenire, fino ai tempi più recenti, folle di fedeli.

 

 

Il Torelli nei suoi Secoli agostiniani dice che questo monastero della SS.ma Trinità era tenuto in altissima venerazione, e che in esso si raccoglievano quei religiosi che desideravano menare vita più penitente e austera della comune; inoltre, che nella chiesa di questo convento era una antichissima tela raffigurante il mistero augusto della SS. Trinità e che sopra la porta di essa si leggeva l'iscrizione che ha sul principio le parole: Sive viator, già da noi riferita.

Un altro religioso agostiniano, Pedro del Campo, nella storia del suo ordine scritta in lingua spagnola, afferma, sulla fede di vari autori, che S. Agostino dopo il suo battesimo visitò i religiosi del Monte Pisano; che quivi era un convento nella cui chiesa si vedeva una pittura rappresentante la SS. Trinità e che sulla porta d'ingresso si vedeva la lapide che cominciava: Sive viator.

Fra Giuseppe da S. Antonio di Lisbona, in una sua storia in lingua portoghese, al par degli altri afferma che S. Agostino, dopo il passaggio di S. Monica all'altra vita, dimorò nel convento di Monte Pisano e Civitavecchia.

Girolamo Romano nella sua Istoria dell'Ordine di S. Agostino, ripete la stessa affermazione quando scrive che, morta S. Monica, S. Agostino frequentò i monaci che abitavano sulle rive del mar Tirreno e quelli che dimoravano nei monti etruschi, specialmente nel Monte Pisano.

Nè diversamente parla il Crusenio allorché scrive: Adhuc hodie circa illum locum extat sacellum cum eremitica domo antiquissimum ubi in lapide incisa, et fere ob antiquitatem exesa caractheribus antiquitatem maximam redolentibus servatur epigraphe huius tenoris: Sive viator etc.

Tra gli autori non appartenenti all'Ordine Eremitano citeremo anzitutto il Petrarca, che nel De vita solitaria (lib. II, cap. 5), ricordando S. Agostino e il suo amore per la solitudine, scrive: Pisani montis otio delectatus Augustinus illuc eremitico habitu traxisse moras creditur.

Anche S. Antonino, il dottissimo arcivescovo di Firenze, dice che Agostino visitavit eremitas qui erant in monte Pisano, aliquibus diebus cum eis moras trahens, et alios eremitas qui erant Centumcellis (Hist. 3 p., tit. 24, § 2, c. 14).

Il Mantovano pure, nel suo scritto De sacris diebus (lib. 8, agosto), parla di questa dimora dicendo: vivendi normam instituit: memoratur eremum / incoluisse maris Thusci prope littora centum / cellarum qua vicus erat.