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Conventi agostiniani: La Spezia

San Nicola in gloria di Carpenino

San Nicola in gloria di Carpenino

 

 

CONVENTO AGOSTINIANI A LA SPEZIA

 

 

 

Il monastero fu fondato nel 1390 e fu il primo insediamento religioso sorto in città. I monaci che vi si insediarono provenivano da un più antico monastero che sorgeva a Vezzano Ligure nell'entroterra spezzino. Inizialmente i frati si insediarono in in fabbricato di modeste dimensioni; successivamente sia il convento che la chiesa furono ampliati.

Questa venne dedicata a sant'Agostino e fu aperta al culto il 24 aprile 1547 dal vescovo di Luni-Sarzana mons. Giovanni Francesco Pogliasca. Pochi anni prima, nel 1539, gli agostiniani avevano fatto dipingere una pregevole tavola che raffigurava l'apoteosi di san Nicola del pittore locale Antonio da Carpena detto il Carpenino. Attualmente si trova nel Palazzo Civico di La Spezia, nell'aula del consiglio comunale.

Dopo oltre quattro secoli di presenza in città, i padri agostiniani furono espulsi nell'ottobre 1797, ancora prima della legge sulla soppressione dei monasteri emanata dalla Repubblica Ligure l'anno successivo.

La Municipalità convinse il governo della necessità di adibire il convento a scuola pubblica; in seguito divenne una caserma e la chiesa, dal 1878, fu sede del Tribunale Militare Marittimo. Il convento faceva parte della Provincia Agostiniana di Lombardia.

 

Gli Agostiniani a La Spezia

La pala era stata commissionata a Carpenino nel 1539, o forse nel precedente anno, probabilmente dalla Confraternita di San Nicola che, insieme a quella del Rosario e di Santa Maria della Consolazione, aveva la propria sede nella chiesa degli agostiniani a La Spezia. La sua ubicazione originaria è ricordata da uno scritto inedito di Mazzini dove si afferma che la tavola fu eseguita dal pittore per una cappella del soppresso convento di Sant’Agostino a La Spezia.

Qui rimase fino alla fine del secolo XVIII per passare all'ex convento delle Monache Clarisse dove erano alloggiate le scuole pubbliche e dove rimase fino al 1870 per essere portato in Municipio. La Gloria di San Nicola da Tolentino era una delle tante opere che decoravano l'edificio sacro dopo il suo ingrandimento tra la fine del Quattrocento e la prima metà del Cinquecento. Gli altari della chiesa erano parecchi e le cappelle incavate nelle pareti: quello di Santa Monica aveva un'icona antica da restaurare, quello della Trasfigurazione ne aveva una "molto corrosa dal tempo", per cui andava sostituita, quello di San Girolamo, al di sotto di una cappella, ne aveva una molto piccola che, perciò, andava cambiata, mentre quello del Crocifisso era dotato di un'opera abbastanza bella, come pure quello della Beata Vergine del Soccorso, di San Giovanni, della Resurrezione, di San Leonardo, del Rosario; di contro erano privi di ornamento gli altari di San Pietro, della Purificazione, di San Giovanni e quello dell'Annunciazione era così indecoroso che il Visitatore ne ordinò la demolizione.

Per la maggior parte, gli altari erano di giuspatronato delle famiglie notabili della città e della Lunigiana - gli Oldoini, i Massa, i Castagnola, i Campi di Pontremoli, i Mascardi di Sarzana - le quali si erano adoperate per fornire la chiesa di adeguate ancone e suppellettili. La data di esecuzione del dipinto di Carpenino precede di poco l'anno di consacrazione della chiesa ristrutturata (24 aprile 1547). Probabilmente questa opera non fu l'unico lavoro che Carpenino fece per la rinnovata chiesa agostiniana. Il soggetto dell’opera è incentrato sulla figura dell’eremita agostiniano, raffigurato in modo statuario sopra un plinto a specchiature policrome, coi suoi tradizionali attributi: il crocifisso, i gigli, la stella sul petto (l'unico oggetto dell'iconografia del santo che manca è il libro). Nel registro superiore si dispiega la triplice incoronazione con al vertice Dio Padre tra una gloria di cherubini, al di sotto a destra la Vergine assi sa in gloria col Bambino, Sant'Agostino in abito episcopale a sinistra e, quindi, due angeli, con gigli, offerenti la terza ed ultima corona sul capo del santo.

Nel registro inferiore, intorno alla figura di San Nicola in un interno di chiesa, una piccola comunità di fedeli assiste al sacro evento e invoca il santo taumaturgo. Nell'ideazione del dipinto, colpisce lo iato tra la composizione ambiziosa e solenne del registro superiore ed il tono "di popolare naturalezza nella folla dei devoti". Il motivo sta forse nel committente, la confraternita intitolata a San Nicola, che desiderava una scena corale che attinge alla quotidianetà: a destra i confratelli e a sinistra le consorelle, mentre partecipano con trasporto e gestualità studiata all'evento miracoloso. Utilizzando lo schema compositivo di una sacra conversazione, l'artista indulge nella descrizione realistica dei personaggi e dei loro costumi.

Due fisionomie in particolare sono trattate con risalto veristico tanto da sembrare veri e propri ritratti: si tratta della corpulenta figura di astante a destra e dell’anziana donna inginocchiata dall'altro lato, la quale tuttavia potrebbe essere uno studio virtuosistico sulla vecchiezza. Per essi il dato della riconoscibilità è molto evidente ed enfatizzato.

Colpisce anche lo studio delle anatomie che, a parte qualche ingenuità residua - ad esempio le mani filiformi del devoto frontale inginocchiato -, denotano l'avvenuta assimilazione del verbo leonardesco; colpisce ancor di più la curiosa attenzione verso le patologie di cui sono portatori alcuni personaggi e, in questa chiave, va letta anche l'aggiunta dell'arteria temporale azzurrognola del santo, di cui non vi è traccia nel disegno preparatorio.

 

(Testo tratto dalla monografia su "Antonio Carpenino ed il restauro della Pala degli Agostiniani " al capitolo di Marzia Ratti dal titolo A. M. Carpenino e il restauro della "Gloria di San Nicola da Tolentino")