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CONVENTI agostinianI: Lecceto

Il chiostro del convento di Lecceto

Il chiostro del monastero

 

 

CONVENTO AGOSTINIANO DI LECCETO

di Benedict Hackett

 

 

 

Il più famoso degli eremi agostiniani venne fondato circa otto chilometri a ovest di Porta S. Marco a Siena. Situato nel bel mezzo di un bosco di lecci in un'area chiamata Grillanda, si trova a circa 300 metri sul livello del mare e dista solo un miglio da S. Leonardo al Lago, che si trova in direzione nord-ovest. Questa vicinanza geografica è il motivo per cui molti storici, dal 1835 fino ad oggi, hanno confuso i due eremi. A differenza di S. Leonardo, Lecceto fa parte della parrocchia dei SS. Giusto e Clemente a Casciano. Il nome originale dell'eremo era Foltignano, ma già dal 1220 era conosciuto come Selva del Lago, anche se a volte continuava ad essere chiamato Foltignano. Più di un secolo prima, il nome Selva del Lago era stato attribuito a maggior ragione a S. Leonardo. Sembra che il nome Lecceto sia stato usato ufficialmente per la prima volta nel 1392 (Hackett, Archives, 19).

Ma ancora nel sec. XVI l'antico nome, Selva del Lago, ricorreva in relazione a Lecceto, così denominato a causa della sua posizione in un folto bosco di lecci. Il documento più antico che attesti l'esistenza di Lecceto è datato 18 settembre 1223 (Gutierrez, Lecceto fra storia e leggenda, 1985), e già in quell'anno l'eremo comprendeva la chiesa. Il fatto che stupisce è che di un eremo così famoso non si conosca il nome del fondatore e tanto meno l'anno di nascita. A questo proposito, sono sorte delle ipotesi che fanno risalire l'eremo di Lecceto addirittura a epoca anteriore alla visita leggendaria di S. Agostino nel 387, ma la loro assurdità è così evidente che non vale la pena prenderle in considerazione.

Ambrogio Landucci, lo storiografo più quotato di Lecceto, scrisse nel 1653 che il romitorio era stato fondato all'incirca nel 1084, ma questa sua ipotesi non dà alcun affidamento, anche perché lascia intendere al lettore che l'eremo esistesse addirittura nel 1074. Un'ulteriore ipotesi afferma che in realtà Lecceto venne fondato da un gruppo di eremiti che abbandonarono S. Leonardo quando vi si insediarono i canonici secolari. L'ipotesi, per quanto allettante, non ha alcun valore storico. Infatti, secondo questa supposizione il trasferimento in questione avrebbe avuto luogo tra il 1224 e 1225, dato che Lecceto, il 1 gennaio 1224, veniva già chiamato eremo, mentre S. Leonardo, il 13 settembre 1225, era descritto semplicemente come chiesa. Questa argomentazione non è solo labile, ma anche inaccettabile. Prima di tutto, Lecceto il 18 settembre 1223 non viene chiamato eremo ma chiesa; era naturalmente un eremo con chiesa.

Di conseguenza, il fatto che S. Leonardo non venga chiamato eremo, ma solo chiesa nel 1225, non prova nulla. Comunque, se Lecceto nacque da S. Leonardo, allora la fondazione non sarebbe avvenuta fra il 1224 e 1225, bensì un secolo prima. Infatti, nel 1132 Alberto viene definito il Rettore dell'eremo di S. Leonardo, mentre due anni dopo viene qualificato come il Rettore della chiesa: l'appellativo di eremo per S. Leonardo non si ritroverà mai più. Concludendo, se la storia degli eremiti che abbandonano S. Leonardo per stabilirsi a Lecceto fosse attendibile, allora Lecceto sarebbe stato fondato fra il 1132 e il 1134. A questo punto bisogna abbandonare le ipotesi per attenersi alla realtà storica.

 

Si è affermato che Montespecchio sia più antico di Lecceto, e che quindi il primo sodalizio avvenuto fra i due eremi fosse probabilmente conseguenza del fatto che Lecceto avesse tratto le sue origini da Montespecchio. In realtà, questa ipotesi non è suffragata da alcuna prova ed in ogni caso Montespecchio poteva difficilmente trovarsi nella posizione di creare una colonia a Foltignano. Quello che invece è quasi certo è che Montespecchio sia stato fondato prima di Lecceto, per cui si può concludere che Lecceto fu fondato fra il 1189-1190 e il 1223. La prima data si riferisce alla fondazione di Montespecchio, mentre la seconda data è quella del documento più antico che abbiamo, attestante l'esistenza di Lecceto o Foltignano. Altro fatto singolare è che Lecceto sia l'unico dei cinque eremi di cui non si conoscono i nomi dei fondatori. Abbiamo solo il nome di un sacerdote, certo Martino loci domini, che però, nel gennaio 1224, non viene affatto designato fondatore dell'eremo (Hachkett). Sappiamo di certo che quando vennero costruiti l'eremo e la chiesa (il primo probabilmente intorno al 1200, mentre la seconda pochi anni dopo, ma certamente prima del 1228) il complesso era dedicato al SS. Salvatore e S. Maria Vergine. Sembra che i primi tempi siano stati duri, ma a poco a poco, vennero acquistate delle terre attorno all'insediamento primitivo, e di questo miglioramento fu artefice fra Bandino dei Balzetti da Siena, che è denominato per la prima volta Priore in un documento dell'11 luglio 1227. Egli infatti, in un solo giorno acquistò per l'eremo dodici appezzamenti di terreno, uno dei quali diverrà in seguito la proprietà di maggior valore, Loccaia, che potrebbe definirsi l'azienda agricola.

Inoltre, fu per merito di Bandino che si iniziò la formazione di altre due aziende, una a Viteccio e l'altra a Terrenzano. Il suo contributo allo sviluppo di Lecceto nel sec. XIII fu di notevoli proporzioni, tanto che la sua reputazione iniziò ad avere del leggendario, oltre al fatto che l'episodio più famoso della sua vita fu reso immortale da Filippo Agazzari in uno dei suoi Assempri (n. 40). Il primo privilegio papale concesso a Lecceto fu la protezione ottenuta da Bandino dalle mani di Gregorio IX il 3 febbraio 1228, seguita, qualche giorno dopo, da una seconda concessione elargita al Vescovo di Siena in favore di Lecceto. Bandino sfruttò questa opportunità per far si che il Vescovo Bonfiglio consacrasse la chiesa il 16 aprile 1228 (la terza domenica dopo Pasqua). In questa occasione il Vescovo nominò, oltre al SS. Salvatore e S. Maria Vergine, anche S. Benedetto patrono della chiesa di Lecceto; però, la ragione di questa scelta non è chiara: infatti, Bandino e i suoi fratelli eremiti non seguivano certo l'Ordine di S. Benedetto. Ad ogni modo, lo ius patronatus della chiesa, per non dire di tutto l'eremo, venne rivendicato a chiare lettere dal Comune di Siena per mezzo del podestà Malpillio. Grazie a lui, Bandino ricevette, il 22 settembre, 25 libbre che, da uomo saggio qual era, impiegò per la costruzione di una cisterna, molto più utile alla comunità di nuovi ornamenti per la chiesa (Hackett, Lecceto). Ma i suoi progetti andavano oltre i confini di Foltignano o Lecceto. Anche se Bandino non fu uno dei pionieri del nuovo Ordine religioso, i Frati Eremiti dell'Ordine di S. Agostino in Toscana, assicurò comunque l'entrata di Lecceto in questo Ordine. Inoltre, fu per merito suo che il vicino S. Leonardo tornò alle sue origini eremitiche; in seguito si unì, o meglio, fu sottomesso a Lecceto.

Per un breve periodo di tempo, Bandino non ebbe più la mansione di Priore, dato che il suo posto era stato preso da un certo frate Giovanni, che fu in carica dal 3 maggio 1250 (Landucci, Selva). Ma Bandino, che godeva della fiducia del Cardinale Riccardo Annibaldi, protettore dell'Ordine, dopo aver assicurato la fine dell'unione con Montespecchio nel 1255, venne rieletto Priore nel 1259 e governò Lecceto fino a che, nel 1274-1275, fu nominato Superiore provinciale per la provincia di Siena. Già nel 1276, era di nuovo a Lecceto nelle vesti di Priore, anche se questa volta per poco tempo. Morì 1'11 marzo 1277, dopo un dominio pressoché ininterrotto di quasi cinquant' anni, e fu molto venerato per la sua santità, in particolare da Filippo Agazzari. Negli anni in cui Bandino governò Lecceto, la struttura dell'eremo rimase di dimensioni esigue. Solo nei primi anni del Trecento iniziò un programma di ampliamento che comprendeva la chiesa e il convento.

La comunità può esser stata incoraggiata ad imbarcarsi in questa impresa sotto Giovanni Battista Benincasa, Priore intorno al 1300, quando i lavori furono resi possibili da una cospicua donazione elargita da un certo Bindo del fu Orsellino da Pernina, a patto che ogni anno i frati di Lecceto, in occasione della festa di tutti i Santi, consegnassero, vita natural durante, trenta libbre di denaro senese ad Agostino da Teramo che altri non è che 1'assai celebre Agostino Novello di S. Leopardo. Quando morì, il 19 maggio di quello stesso anno, i frati di Lecceto vennero sollevati dall'onere imposto dal loro benefattore. A questo proposito è interessante notare che il documento formale concernente la donazione venne redatto 1'8 febbraio 1309 nella sacrestia di Lecceto, non distante, quindi, da dove viveva Agostino. Ma egli non viene chiamato Agostino da Tarano (che adesso è ritenuta essere la dicitura corretta), bensì Agostino da Teramo. E' sicuro, quindi, che il benefattore e i frati di Lecceto conoscessero con esattezza il luogo di nascita di Agostino? I lavori di ampliamento dell'eremo risalente agli inizi del sec. XIII, inclusa la chiesa, o per meglio dire la costruzione di un nuovo convento e di una nuova chiesa, non cominciarono fino al dicembre 1317, e si prolungarono fino al 1345. Il complesso risultò essere completamente diverso da quello precedente; gli edifici a piano terra erano molto più solenni con un chiostro attraente e con la chiesa e il portico contenente i dipinti attribuiti a Paolo di Maestro Neri, mentre l'unico elemento rimasto dell'eremo originario fu la cisterna voluta da Bandino nel 1228. Tra il 1332 e il 1339, ad eccezione di un breve intervallo, Giovanni di Guccio Molli da Siena rivestì la carica di Priore.

Nato all'incirca nel 1290, entrò nell'ordine a S. Agostino, ma terminò il suo noviziato a Lecceto, dove si comportò in modo esemplare, solo che trovava il cibo immangiabile. Uno dei più commoventi Assempri di Agazzari (n. 24) narra come Giovanni fu tentato a fuggir via, ma tornò indietro dopo essersi incontrato con Cristo, che gli era apparso non appena entrato nel bosco dietro il convento. Cosi Giovanni perseverò, ed oltre a diventare Priore di Lecceto, nel febbraio 1333 fu detto Procuratore dell'Ordine per la provincia di Siena. Inoltre, a quanto sembra, Giovanni lasciò temporaneamente la carica di Priore dal 1335 al 1337, affidandola a fra Silvestro di Pietro dei Malavolti, che avrebbe ricevuto e vestito da novizio un certo Niccolò Tini che, novizio a Lecceto nel 1337, si ammalò. Niccolò era destinato a indossare le vesti di Priore di Lecceto per moltissimo tempo, quasi quanto lo era stato Bandino dei Balzetti, e fu anche più rinomato di quest'ultimo per umanità, ascetismo, santità di vita e come taumaturgo. Niccolò Tini fu naturalmente l'eroe di Filippo Agazzari; infatti fu proprio Niccolò a riceverlo a Lecceto e ad investirlo del noviziato il 31 dicembre 1353. Tini era diventato Priore già verso il 1340 e lo rimase fino al 1387, segnando quello che fu sicuramente il periodo più importante della storia di Lecceto.

L'albero dei beati monaci illicetani

L'albero dei monaci beati illicetani

Prima di tutto, l'eremo attirò a sé Agostiniani dagli ideali eccelsi, o meglio, fu proprio la reputazione di fra Niccolò che spingeva frati, non solo del nord Italia, ma anche dell'Inghilterra, a lasciar casa, amici e terra natia per accorrere a Lecceto, desiderosi di vivere quella che consideravano l'autentica vita eremitica agostiniana sotto la guida di Niccolò Tini, Priore e figura esemplare per eccellenza. il primo dei nuovi arrivati fu forse Antonio da Nizza, che divenne poi l'amico intimo di William Flete d'Inghilterra. Ma è probabile che entrambi siano stati preceduti da fra Damiano da Genova. Egli, dietro sua richiesta e per volere di Niccolò, venne assegnato a Lecceto il 25 gennaio 1358 dal Priore Generale Gregorio da Rimini. La vocazione di Flete, baccelliere in teologia all'Università di Cambridge, trasferitosi a Lecceto nel 1359, era straordinaria sotto ogni aspetto, per non parlare della sua personalità e degli scritti tuttora esistenti, specialmente le tre lettere inviate nel 1380 ai suoi confratelli in Inghilterra. Uomo profondamente spirituale ed ascetico, conduceva una vita alquanto individualistica, che mise alla prova la pazienza del suo santo Priore Niccolò Tini, il quale, però, essendo un uomo eccezionale, comprese quanto la vocazione di Flete a Lecceto fosse fuori dell'ordinario. William viveva quasi sempre da solo, per lo più in una grotta che si scavò fra i lecci. Se non fosse stato per lui, Caterina da Siena non avrebbe di certo visitato Lecceto, dato che fu solo per incontrare Flete che vi si recò nel 1368, e non per la prima volta. L'ultima visita di Caterina a Lecceto ebbe luogo il 7 gennaio 1377, occasione in cui dettò al pio uomo inglese il cosiddetto Documento Spirituale, compendio inestimabile della sua dottrina spirituale. Infine, sia Flete che Niccolò Tini furono amici di Giovanni Colombini, che, come Caterina, fece visita a Lecceto.

Flete sopravvisse a Niccolò che, prima della sua morte, avvenuta il 29 febbraio 1387, spianò la strada per l'avvento dell'Osservanza o Riforma della vita agostiniana a Lecceto. Egli richiese al Priore Generale, Bartolomeo Veneto, che capeggiò la Riforma, di nominare un Priore al suo posto. Il Generale, perciò, il 4 marzo 1387 nominò Priore, con poteri di Vicario del Generale, Niccolò di Francesco di Manente dei Cerretani, ed anche se questa non fu la vera nascita della prima congregazione osservante degli Agostiniani, vale a dire quella di Lecceto, si cominciò da allora a muovere a piccoli passi in quella direzione (Walsh, 1979). Una brusca interruzione si ebbe quando, nel 1408, un movimento guidato da Stefano Cioni mirò a convertire Lecceto in un monastero di canonici regolari di S. Agostino. Questo rappresenta uno degli episodi più bizzarri della storia di Lecceto, di cui ancora non sono chiari i precedenti, né le circostanze che portarono al movimento.

La situazione fu risolta il 28 giugno 1408 in occasione del Capitolo tenutosi a Lecceto, presieduto da Gabriele Condulmer, Vescovo designato di Siena e futuro Papa Eugenio IV. Al convegno Filippo Agazzari Priore di Lecceto dal 1398, venne eletto Priore della nuova comunità chiamata dei Canonici Regolari del SS. Salvatore di Lecceto. Questo provocò un certo dissenso negli ambienti agostiniani, tanto che Papa Gregorio XII fu costretto ad annullare tutto quanto il 20 novembre successivo, concedendo però a coloro che volevano rimanere canonici di andarsene altrove.

A questo punto ci pare opportuno aggiungere qualcosa di più su fra Filippo, al secolo Filippo di Leonardo di Cola, che si diceva fosse della stirpe degli Agazzari, e perciò universalmente conosciuto come Filippo Agazzari. Nato a Siena intorno al 1339, venne indirizzato all'Ordine agostiniano da frate Michele Checchi, e fu ricevuto a Lecceto da Niccolò Tini il 31 dicembre 1353. Si preparava ad entrare nel convento di S. Agostino a Siena, quando, ancora studente, in visita a Monticiano, venne scoperto mentre giocava a dadi e perciò severamente punito dal Priore Generale Gregorio da Rimini. Nel 1363 Filippo fu diacono a S. Leonardo al Lago, ove assistette alla sepoltura di 63 vittime della peste che allora dilagava. Lo troviamo poi a Lecceto, dove, nel 1387, fu vicino a Niccolò Tini durante gli ultimi giorni di vita, come racconta negli Assempri: «E poi venendo a lo stremo mi chiamò per nome e disse: farai l'officio e la mia sepoltura; e detta questa parola passò di questa vita con molta pace».

Il 13 maggio 1398 Filippo fu nominato Priore di Lecceto e Vicario del Generale, la qual cosa gli dava autorità anche sul vicino S. Leonardo. In questo periodo venne costruita l'imponente torre di Lecceto (1405-1408), primo segnale di una seconda grande epoca di nuove edificazioni. Il ruolo preminente che Filippo ebbe nel movimento che trasformò Lecceto in una casa per canonici regolari di S. Agostino, aspramente criticato dal Priore Generale Nicola da Cascia e da molti altri, non gli fece perdere la faccia né la stima. Rimase Priore e Vicario Generale fino al 1420, quando, ormai ottantenne, rinunciò alla carica di Priore, continuando il vicariato fino alla morte, avvenuta il 30 ottobre 1422.

Deve il suo posto nella letteratura secolare e religiosa italiana ai 62 Assempri, che scrisse con singolare abilità, in maniera semplice ma molto seducente, sia per quanto riguarda la tecnica narrativa sia per il particolare uso del linguaggio senese del tempo, fra il 1397 e il 1416, se non oltre. Può forse non sorprendere che, sebbene avesse dedicato spazio a quattro Agostiniani, vale a dire Giovanni laico (Assempro 23), Giovanni di Guccio Molli, Bandino e Niccolò Tini, non nominò affatto William Flete, ma è davvero incredibile che ignorasse completamente S. Caterina, anche se, in effetti, non fu santificata fino al 1461. Purtroppo, non conosciamo i motivi che spinsero ad ignorare l'esistenza e soprattutto la fama che la santa ebbe negli anni della maturità di Filippo. Infine, Agazzari, oltre che possedere particolari doti letterarie, coltivava, a quanto pare, l'arte dello scrivere, tanto che gli è stato attribuito l'ornamento in filigrana dello splendido innario di Lecceto del 1415, che adesso si trova alla British Library di Londra. Non si può affermare che, come Vicario Generale, Filippo si adoperasse molto per favorire l'instaurazione di una congregazione osservante a Lecceto, né si prodigò in tal senso il suo successore, Matteo di Francesco da Lucignano, anche se fu nominato responsabile di tutti gli Osservanti d'Italia, e fu evidentemente un frate dalla profonda spiritualità, assai venerato non solo a Lecceto ma anche a Bologna.

In realtà, i più energici promotori dell'Osservanza furono due frati senesi appartenenti alla nobiltà, Girolamo Buonsignori e Bartolomeo Tolomei, i quali ottennero a Siena, da Papa Eugenio IV, una bolla, Regimini universalis ecclesiae del 6 settembre 1443, che conferiva alla congregazione di Lecceto uno stato giuridico eccezionale. Lo stesso Papa fece seguire altre quattro bolle a favore dell'eremo. Infine, in occasione del Capitolo generale di tutte le congregazioni degli Osservanti Agostiniani tenutasi a Montespecchio nel 1449, Bartolomeo fu nominato Vicario Generale della congregazione di Lecceto dall'allora Priore Generale Giuliano da Salemi. La tempra spirituale di Lecceto serbò il suo alto valore durante tutto il secolo.

Frati come Andrea Biglia erano soliti, di tanto in tanto, ritirarvisi in contemplazione, mentre altri si stabilirono a Lecceto, attirati dalla sua fama, come era già avvenuto quando era Priore Niccolò Tini. Nell'anno in cui Eugenio emanò la bolla del 6 settembre, il Conte Carlo Sforza, fratello di Francesco, duca di Milano, entrò nel monastero il 18 gennaio 1443 e vestì la tonaca dell'Ordine undici giorni dopo, con il nome di Gabriele. Il 24 ottobre pronunciò i voti; a quanto pare, fu esonerato dal trascorrere i dodici mesi e un giorno di noviziato che precedono tale cerimonia.

Entrato a Lecceto a vent'anni, venne ordinato sacerdote pochi anni dopo e fu inoltre nominato maestro dei novizi; fra i suoi allievi figura Anselmo da Montefalco, che di verrà uno dei quattro Priori Generali affiliati a Lecceto. Gabriele avvertì sempre un profondo legame con Lecceto, ove visse da frate esemplare; infine, il 20 giugno 1454 venne assegnato alla sede di Milano e fu consacrato Arcivescovo nella chiesa osservante agostiniana di S. Maria Incoronata, dove, dal giorno della sua morte, il 12 settembre 1457, riposano le sue spoglie. La tomba è adornata da una scultura che ritrae Gabriele in posizione distesa. Già fin dai primordi, Lecceto può essere definito un chiostro dei Beati, come è chiamato il chiostro interno, che è quello più antico. Tuttavia, nessuno dei Beati è stato beatificato, o tanto meno santificato dalla Chiesa; né il loro culto è mai stato ratificato da alcun Papa, come è successo, per esempio, a Niccolò Tini o al converso Cristofano alias Christoforo di Giovanni Landucci.

Nato nel 1368, divenne frate laico a Lecceto nel 1390 o 1391. Per una settantina d'anni la sua vita fu propriamente quella di un santo, vale a dire una vita di profonda umiltà, semplicità, severa mortificazione, preghiera, carità, obbedienza, riflessione. Allo stesso tempo fu anche un infaticabile lavoratore. La torre, uno dei più significativi punti di riferimento di Lecceto, venne progettata e inaugurata da lui, e per questo lavoro egli raccolse pietre, sabbia e mattoni.

Quando Papa Pio il visitò Lecceto nel 1459, fu colpito dalla condotta di Cristofano, e ancor di più lo fu il Cardinale Alessandro Oliva che, prima di venir eletto Cardinale, si era nascosto nella foresta di Lecceto solo per venir poi scoperto nel suo nascondiglio. Il Cardinale Oliva fu un promotore dell'osservanza, e nel 1459 venne eletto Priore Generale, mentre il 5 marzo 1461 fu fatto Cardinale da Pio II con il titolo di S. Susanna. Per inciso, Pio II non fu l'unico Papa a visitare Lecceto; infatti anche Martino V, Gregorio XII, e Eugenio IV si erano recati in quel pio luogo. Ricapitolando, di tutti i Beati Leccetani, il culto più duraturo fu quello di Cristofano Landucci, ma anche se si dice che le sue ossa riposino in un'urna con la parte anteriore di vetro, posta sotto l'altare della sacrestia di Lecceto, in realtà non è così, poiché appartengono ad un frate a lui posteriore, Ascentio di Barnaba Balestrieri da Siena, che fu Priore di Montespecchio. Lecceto continuò ad attirare frati dagli alti ideali non solo da tutta Italia, come nel caso di Carlo (Gabriele) Sforza, ma, come era avvenuto nel secolo precedente, anche dalla Francia. In questo caso si trattò di un giovane Agostiniano la cui vocazione ricorda per un verso quella di William Flete d'Inghilterra. Amaud da Nerac, membro della provincia di Tolosa, era studente di diritto canonico all'università quando decise di interrompere i suoi studi per vivere in Italia come osservante.

Presentò richiesta al Priore Generale, Anselmo da Montefalco, che il 12 giugno 1493, lo raccomandò al Priore di Lecceto, Paraclito Bini da S. Angelo in Colle, perché lo accettasse nella sua comunità. Amaud, giunto a Lecceto, iniziò il suo secondo noviziato e prese i voti l'11 luglio 1494; condusse una vita esemplare fino al giorno della sua morte, il 20 maggio 1507: aveva appena recitato l'uffizio della nona, quando passò il breviario a chi lo assisteva dicendo: «Riponetelo, il Vespero lo cantarò con gli Angeli in Paradiso». Venne sepolto all'entrata della chiesa fuori dal chiostro, chiaro segno della grande reverenza che la comunità aveva per lui. Cinque anni prima della sua morte, Arnaud venne raggiunto da un altro Agostiniano francese, Nicolay Jacques de Parillion di Metz, che era membro della provincia di Francia, e come Arnaud, ripeté il suo noviziato a Lecceto, dove prese i voti il 30 aprile 1503. Morì a Lecceto nel 1527, assai cospicuo per la sua amorevole dedizione ai malati. Ma non furono solo gli Agostiniani che si sentivano attratti da Lecceto. I laici, per esempio, avevano grande stima per i frati, e fra questi Niccolò Guido Saracini, un aristocratico di spicco a Siena, che, quando morì nel 1376, volle essere sepolto davanti all'altare di S. Anna. L'impressionante lastra sepolcrale che lo ritrae nella veste di cavaliere, nel 1613-1614 venne trasferita nella parte opposta della chiesa. Egli fu uno dei benefattori di Lecceto e volle donare alla comunità un grande affresco che si trova all'interno del portale principale della chiesa, recante la data del 2 settembre 1374.

La sua figura, davvero esigua, è raffigurata proprio alla base dell'affresco, che include quello che è forse uno dei primi ritratti di S. Nicola da Tolentino, proprio fuori della stessa Tolentino. Nel 1470 un altro importante cittadino senese, Bartolomeo di Antonio Petrucci, volle essere sepolto a Lecceto con la tonaca agostiniana. Non ci sono indicazioni del punto in cui venne tumulato, ma la tomba, o meglio quella che un tempo era la tomba, di un Giacomo di Maestro Martino da Siena è contraddistinta da una lastra inserita sul pavimento della chiesa, e recante la data del 1490. Una ulteriore relazione che Lecceto ebbe con il mondo laico fu quella concernente la zia di S. Bernardino da Siena, Bartolomea Albizzeschi, vedova di Tuliardo Tolomei, che, dopo aver vestito la tonaca delle Terziarie Agostiniane di Lecceto, condusse una vita di eccezionale rettitudine, tanto da esser considerata da molti santa. Suo unico desiderio fu che il devoto nipote Bernardino diventasse Agostiniano a Lecceto; lo persuase infatti a chiedere un colloquio con i frati, cosa che lo impressionò molto. Se Bartolomea fosse morta prima, Bernardino forse sarebbe diventato Agostiniano. La proprietà più pregevole e più problematica fra quelle acquisite da Lecceto fu Montalcinello, lascito di Francesco di Niccolò Bartolini Buonsignori, che morì il 15 giugno 1477.

Suo fratello era Girolamo, uno dei più importanti frati Leccetani (prese i voti il 30 ottobre 1433 e morì 1'11 giugno 1495), che, come abbiamo già visto, fu una delle figure preminenti del movimento osservante. In seguito le proprietà aumentarono, incluse quelle assicurate da Bandino dei Balzetti; la comunità aveva anche dei terreni in affitto a Pian del Lago, che divideva con i frati di S. Agostino, a Siena, e con la comunità di S. Leonardo al Lago. La fine del secolo coincise con il secondo periodo di nuove edificazioni. I progetti prevedevano un nuovo refettorio con sopra un dormitorio e una loggia che si affacciava sul grande giardino nel retro del monastero. Il primo promotore di questo progetto sembra esser stato Mariano da Genazzano, famoso predicatore e oppositore del Savonarola. Si unì alla congregazione di Lecceto nel 1482, ne divenne Vicario Generale nel 1483 e nel 1487, e fu priore di Lecceto nel 1489. Morì nel 1498 che era Priore Generale dell'intero Ordine, e perciò non visse tanto a lungo da vedere completata l'opera di costruzione dei nuovi edifici, né vide terminati i magnifici Libri Corali, a cui si era dedicato il suo predecessore, Anselmo da Montefalco. Ma neanche lui visse abbastanza da vedere l'opera completa. La fine dei lavori coincise infatti con il periodo in cui era Priore Generale Egidio da Viterbo (1507-1518), il quale per profondo rispetto verso Anselmo e Mariano, e amore per Lecceto, che lo accolse nel 1503, si adoperò affinché venissero completati gli Antifonari e i Graduali. Il predecessore di Egidio era un altro Leccetano, Agostino da Terni.

Che Lecceto godesse di un certo prestigio è in parte testimoniato dal fatto che in ventiquattro anni, quattro dei suoi figli, tre di adozione, avevano ricoperto le cariche più alte dell'Ordine agostiniano, e due di essi, Alessandro Oliva e Egidio da Viterbo, divennero Cardinali. Il programma di costruzione continuò fino al sec. XVI. Nel 1500 venne aggiunto un secondo dormitorio sopra la sala capitolare all'estremità est del chiostro interno, il Chiostro dei Beati. All'estremità ovest del monastero, dieci anni più tardi, venne iniziato un secondo chiostro, finanziato in gran parte dal Vescovo di Pienza, Girolamo Piccolomini, il cui emblema adorna la loggia a pianterreno. I suoi fratelli, Lattanzio e Raffaello, erano membri della comunità a Lecceto di cui Lattanzio fu Priore nel 1499 e nel 1508; fu altresì Vicario Generale della congregazione di Lecceto nel 1496, 1501 e 1504. Il piano superiore del chiostro non venne costruito fino al 1548-1550. Qual era lo spirito della comunità nel XVI secolo? Per avere queste notizie, ci riferiamo prima di tutto a quella che potremmo definire un'edizione di lusso di uno dei panegirici di Lecceto composti da Egidio da Viterbo, che, pur riservando un posto preminente a quei membri della comunità che negli anni passati erano divenuti celebri per la loro santità, loda anche i "padri osservantissimi" a lui contemporanei, dipingendo cosi un quadretto idealistico dell'eremo in termini biblici, vale a dire parlando di casa di Dio e porta del Paradiso, di cui i Leccetani tenevano le chiavi! Annessa alla copia del panegirico è una veduta di Lecceto a colori, alquanto immaginaria, dilettantesca, e una lettera di un certo fra Basilio, che altri non è se non Basilio di Giovanni Monaldi, inviata a Piero di Tommaso Soderini, «illustrissimo dittatore perpetuo della repubblica di Firenze». Soderini, in effetti, venne eletto Gonfaloniere a vita e tenne l'incarico dal 10 dicembre 1502 al 31 dicembre 1512. Basilio, con tutta probabilità, scrisse questa lettera durante uno dei suoi due mandati come Vicario Generale della congregazione di Lecceto (1503-1504, 1510- 1512), o come Priore dello stesso Lecceto nel 1509. Non ci sono prove che conoscesse o avesse avuto contatti precedenti con Soderini.

Ci si chiede soltanto perché volesse, o meglio sperasse di attirare Soderini a Lecceto, mandandogli un dipinto dell'eremo con un panegirico di Egidio da Viterbo. Basilio, nella sua lettera, assicurò Soderini che, nel momento in cui avesse deciso di lasciare la carica, sarebbe stato il benvenuto "fra le foreste degli Agostiniani ", e cioè a Lecceto. Soderini, dopo esser stato deposto, in realtà cercò rifugio a Siena, ed anche se accettò l'invito di Basilio, non rimase a Lecceto. Durante gli anni quaranta del sec. XVI, l'Osservanza a Lecceto stava perdendo vigore; almeno questa è la sensazione che si prova esaminando i registri degli anni 1540-1547, del generalato di Girolamo Seripando, che in seguito diventò Cardinale e Legato papale al Concilio di Trento (1561-1563). Non si riesce a capire il perché delle sue esortazioni espresse in forma comune; inoltre, le sue critiche sono mosse alla congregazione di Lecceto per lo sfoggio di indipendenza, e non alla comunità in se stessa.

Va detto, comunque, che Seripando, emerito successore, anche se non diretto, di Egidio da Viterbo, mise a dura prova la pazienza dei Leccetani, umiliando la congregazione e anche uomini degni di merito. Durante l'assedio di Siena nel gennaio 1554, Lecceto venne invasa da un distaccamento di truppe fiorentine, che saccheggiarono il luogo e cacciarono tutti, ad esclusione di due frati. Tra coloro che vennero mandati via c'era Ascentio di Barnaba Balestrieri, che un tempo visse alcuni mesi in solitudine, girovagando nei dintorni del monastero con addosso la tonaca da eremita. Ritornò a Lecceto nel 1538, dove condusse una vita proba. Alla sua morte, il 4 ottobre 1559, dopo esser stato per un certo periodo di tempo Priore di Montespecchio, fu venerato santo. L'Arcivescovo di Siena, Camillo Borghese (1607-1612), ordinò che, in segno di rispetto, i suoi resti mortali fossero posti in una urna di cipresso e conservati nella sacrestia di Lecceto. È possibile che la chiesa, dopo l'invasione fiorentina del 1554, avesse avuto bisogno di riparazioni, ma questo non giustifica il fatto che all'interno sia stata trasformata completamente secondo lo stile barocco da Camillo Noci, Priore nel 1611-1615.

Durante questi quattro anni, la chiesa costruita all'inizio del sec. XIV fu trasformata in quella attuale. Venne mutata la forma delle finestre, il soffitto decorato fu ricoperto, le pareti affrescate furono nascoste dall'intonaco, dimezzate o sbassate da nuovi pilastri, e infine lo stucco venne usato in gran quantità ovunque. Inoltre, furono apportate altre modifiche, fra cui la posizione degli stalli del coro, prima di fronte all'altare maggiore, e ora spostati dietro a quest'ultimo, cambiamento indubbiamente funzionale. Quando il Priore Generale, Nicola da Sant'Angelo, si recò in visita a Lecceto il 27 dicembre 1615, i lavori erano quasi completati, ed egli annotò a questo proposito: «Dopo cena ci spostammo da Siena e raggiungemmo il monastero di S. Salvatore di Lecceto, i cui padri ci ricevettero con sommo amore e gentilezza. Entrammo in chiesa, superbamente adornata, e come di consueto, visitammo il Santissimo Sacramento ... Lecceto è, fra tutti gli altri monasteri della congregazione, il primo per antichità, santità e miracoli, e da esso uscirono, come dal cavallo di Troia, molti padri eminenti per dottrina e spirito divino... Nel suddetto convento si trovano preti, diaconi e novizi in gran numero, e insieme conducono una vita quasi angelica». Tuttavia, un frate che nel 1619 scriveva dal convento di S. Mattino a Siena, si lamentava del declino dell'Osservanza, non solo nel suo convento, ma anche in tutta la congregazione di Lecceto, a capo della quale si trovava lo stesso Lecceto. Il XVII secolo è stato chiamato l'epoca d'oro per la storiografia agostiniana; questo è sicuramente vero per ciò che riguarda la storia di Lecceto.

A questo proposito si distinguono due nomi: Marcellino Altesi, il più anziano, e Ambrogio Landucci. Altesi vestì la tonaca agostiniana a Lecceto il 22 febbraio 1609, ed essendo baccelliere in teologia, divenne Priore di Lecceto nel 1626. Fra gli altri scritti, compose una collezione inestimabile di annali fino al 1633, intitolata Ilicetana Galleria. Morì il 12 gennaio 1635 e fu sepolto sotto quella che allora era la sala capitolare. Nei suoi annali o memorie storiche esce dai confini di Lecceto. La città di Siena appare in maniera evidente e ci sono anche delle allusioni a S. Leonardo al Lago, Montespecchio e altri conventi agostiniani. Il manoscritto inedito non è semplice da consultare, perché le annotazioni non sono in ordine cronologico, ma il valore di quest'opera non potrà essere sopravvalutato. Altesi era un ottimo ricercatore. Volunio Girolamo Mario Landucci, (il cui nome da religioso era Ambrogio) nacque da una delle più importanti famiglie di Siena ed entrò nell'Ordine agostiniano a S. Marcino a Siena, ma all'età di dieci anni, 1'11 novembre 1610, venne mandato a Lecceto per espletare il noviziato.

Col tempo Landucci si laureò in teologia e succedette ad Altesi nelle vesti di Priore di Lecceto nel 1629. Di lì a un anno venne eletto Vicario Generale della congregazione di Lecceto, dopo aver offerto il primo dei suoi tanti contributi alla storia di Lecceto, consistente in due grandi fogli impressi da due lastre di rame in cui era inciso un albero con tutti i Beati di Lecceto, ed accanto ad ognuno una nota storica. Quest' opera è conosciuta con il nome di Arbor Ilicetana, o Sacra Ilicetana Propago, come Landucci era solito chiamarla. Venne stampata nel 1629.

Questo «albero» non deve essere confuso con un altro Albero, anch'esso una pittura dei Beati, che viene conservato nella sacrestia di Lecceto. Sfortunatamente, l'Arbor del 1629 non è mai stato ritrovato, come pure la Sacra Ilicetana Silva che Landucci stampò nel 1633 quando era Priore di S. Stefano a Firenze. L'opera consisteva di appena quattro pagine, la qual cosa, senza dubbio, spiega la sua perdita. Landucci, divenuto professore di teologia, venne rieletto Priore di Lecceto nel 1634. Si ingegnò di migliorare il luogo, e tra le altre cose arricchì Lecceto di un archivio e di una biblioteca. Dopo la sua seconda elezione a Vicario Generale nel 1636, Landucci passò un brutto momento, forse perché, nonostante le sue ottime qualità, era un individuo alquanto dispotico. Le cose non si misero affatto bene per lui quando, il 9 agosto 1637, si recò alla periferia di Siena per accogliere il Priore Generale, Ippolito Monti, il quale lo congedò senza troppe cerimonie; in seguito Monti cambiò idea e permise a Landucci di accompagnarlo in occasione della sua visita a Lecceto iniziata il 16 settembre, ed anche questa non fu una esperienza felice per il Vicario Generale, dato che lui e gli altri membri della congregazione di Lecceto vennero interrogati a lungo e con severità da Monti sulla loro condotta. I frati, compreso lo stesso Landucci, si irritarono per questa inquisizione. Ma gli occhi di Monti erano colmi di lacrime quando si rivolse all'assemblea e compianse il crollo dell'Osservanza, anche se la cosa che lo addolorò e lo indignò di più fu di incontrare all'interno della congregazione divisioni, fazioni e odio. Gli agitatori erano Luca da Prato e lo stesso Landucci, che venne deposto dal suo incarico per volere del Priore Generale. Purtroppo per lui, i suoi guai non finirono qui. Infatti, qualche tempo dopo, gli vennero lanciate ben cinque accuse, ma fu discolpato nel 1645 dalla Santa Sede in occasione del Capitolo generale dell'Ordine, che lo elesse Priore di S. Agostino de Urbe. Infine, nel 1653, venne eletto per la terza volta Vicario Generale della congregazione di Lecceto.

Nello stesso anno pubblicò il primo dei suoi più importanti contributi alla storia di Lecceto: la Sacra Ilicetana Sylva a cui seguì la Sacra Leccetana Selva (1657). Sebbene i titoli fossero quasi identici, al pari del materiale, i due lavori sono alquanto diversi. Entrambi i libri sono di gran valore, ma debbono essere usati con cautela. Landucci, che dipendeva a buon diritto dagli scrittori leccetani precedenti, quali Girolamo Buonsignori II, Atanasio di Giuliano Marcucci da Montefollonico e naturalmente Marcellino Altesi, può risultare esasperante, non tanto perché tende a sbagliare le date e a fraintendere alcuni episodi, come nel caso della sua errata interpretazione della lettera datata 1231 e scritta da Gregorio IX a proposito di Montespecchio e Lecceto, ma soprattutto per l'eccessivo spazio che dedica alla storia mitica dell'agostinianesimo. Sarebbe stato preferibile se egli si fosse impegnato a scrivere una semplice storia di Lecceto, ma.era uomo del suo tempo, e malgrado ciò senza Landucci, la nostra conoscenza della storia di Lecceto sarebbe molto più modesta di quanto non lo sia in realtà. La sua carriera raggiunse il punto culminante quando, nel 1655, Papa Alessandro VII, già Cardinale Protettore e vecchio amico della congregazione di Lecceto lo elesse Sagrestano papale, carica che comporto la nomina a Vescovo della sede titolare di Porfireone in Palestina. Landucci morì a Roma il 16 febbraio 1669 ed è sepolto nella chiesa di S. Agostino a Campo Marzio; all'ingresso della sacrestia di questa chiesa si trova un elegante bassorilievo che lo raffigura. L'ultima relatio status esistente di Lecceto, che copre gli anni 1663-1713, prova come il monastero fosse perennemente vitale, a causa dei continui miglioramenti apportati alla chiesa, al monastero e ad altre proprietà. Degna di nota è la costruzione di una Cappella della Vergine, edificata nel 1665, così come la rilegatura di tutti i Libri Corali nel 1700, operazione necessaria perché alcuni fogli erano staccati ed altri danneggiati. Il danno più grave si ebbe nel 1704, quando un fulmine colpì il vecchio campanile che crollò sul tetto della chiesa e della sacrestia. Un nuovo campanile, quello attuale, venne eretto dietro la chiesa.

I lavori per la sua edificazione iniziarono nel 1706, ma esso crollò quando raggiunse l'altezza del tetto della chiesa. Si dovette quindi ricominciare tutto da capo, e finalmente, nel 1708 il campanile fu completato, dotando Lecceto di uno dei suoi punti di riferimento più importanti. Nel 1782 Lecceto perse un po' del suo prestigio quando, per volere di Pietro Leopoldo I Granduca di Toscana, la congregazione di cui Lecceto era a capo venne soppressa. Papa Pio VI non ebbe altra scelta che obbedire, così come dovette fare il Priore Generale degli Agostiniani, Vasquez. Il 2 novembre la congregazione venne infatti soppressa da quest'ultimo in obbedienza al decreto papale. Il convento fu incorporato nella provincia senese. Allo stesso tempo, il 23 novembre, S. Leonardo al Lago venne soppresso e unito ancora una volta a Lecceto. Entrambe le comunità religiose erano destinate alla rovina; infatti, il governo napoleonico, con i decreti del 16 e 28 aprile 1808 dichiarò soppresso Lecceto, e di conseguenza anche S. Leonardo, confiscandone tutti i beni. L'ultimo Priore di Lecceto, Guglielmo Venturi, ebbe il doloroso compito di controfirmare la fine del convento e di tutto quello che esso possedeva dato che, per l'ultima volta, dovette apporre il suo nome su sei schede e venticinque fogli di inventario, il giorno 8 ottobre 1810.

Venturi e la sua comunità di 16 frati abbandonarono la loro antica casa senza un soldo che ne compensasse la perdita. La vita agostiniana ha ripreso vigore a Lecceto quando una comunità di monache agostiniane, il 30 dicembre 1972, è entrata in possesso del romitorio che vanta più di settecento anni, trasferendovisi dal loro storico monastero in via delle Sperandie a Siena.