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Kasper Elm: LA COSTITUZIONE DELL'ORDINE

Statua di San Guglielmo patrono di Fascia

Statua di san Guglielmo

patrono di Fascia

 

 

 

LA COSTITUZIONE DELL'ORDINE

di Kasper Elm

 

 

 

La Costituzione dell'Ordine guglielmita è incentrata sulla regola benedettina, sulle Costituzioni dell'Ordine e sul diritto regolare. Dei primi due elementi della Costituzione, che devono essere trattati, la regola benedettina ebbe per la pratica dell'Ordine l'importanza minore. Il prologo delle Costituzioni la esalta come opera di un autore ispirato e come legame che unisce molti Ordini, tuttavia le attribuisce, per quanto concerne l'Ordine in sè, una modesta vincolatività. Essa assomiglia piuttosto alla casa del Padre celeste nella quale, eventualmente, sarebbero pronte molte stanze, ossia diverse Osservanze. Come anche i buoni cristiani che non osservassero tutti i precetti del Vangelo potrebbero in ogni caso essere ritenuti seguaci del Verbo, così anche ai professi della regola benedettina avrebbero potuto presentarsi molte possibilità di seguirla.

Queste sono le riflessioni con cui viene motivato il fatto che per quanto riguarda l'Ordine, contrariamente a quanto accadde ai fondatori di Citeaux, non si trattò di seguire alla lettera la regola benedettina, quanto piuttosto di riservarsi il diritto alla scelta e all'integrazione. La visione Guglielmita della sequela della regola benedettina, si riflette nelle Costituzioni, "consuetudo maiorum nostrorum approbata que est optima legum interpres". Le consuetudini, fino ad ora nè conosciute nè analizzate, si trovano in numerosi manoscritti provenienti dalla Francia, che si rifanno tutte ad un archetipo che fu redatto nel 1340 nell'ambito di un Capitolo provinciale tenuto ad Aalst ad uso della provincia francese dell'ordine, e che venne notificato in molteplici esemplari ai conventi della provincia. Le loro parti fondamentali relative all'intero Ordine vennero approvate nel 1271 nell'ambito di un Capitolo generale a Malavalle e, assieme alle integrazioni che seguirono nel corso del tempo, restarono in vigore fino alla caduta dell'Ordine. Esse stesse sono il risultato di lunghi sforzi e contrasti che ebbero fine soltanto nel 1271 una volta delineata la sua identità esteriore ed affermata l'autonomia dell'Ordine. Lo sviluppo costituzionale che emerge dalla storia delle Costituzioni, ebbe inizio prima del 1237 con l'acquisizione delle consuetudini cistercensi disposta da Gregorio IX, con le quali venne sostituita la regola guglielmita seguita fino ad allora. Già prima del 1250 emerse l'impossibilità di coniugare queste consuetudini con le esigenze dell'Ordine. Esse divennero una "materia discriminis" che cominciò a minacciare l'"unanimitas" e l'"uniformitas".

Per evitare questo pericolo e per favorire la crescita dell'Ordine attraverso un'adeguata Costituzione, Innocenzo IV il 30 dicembre 1250 convocò i priori dell'Ordine ad un Capitolo che ebbe luogo a Malavalle nel giorno di Pentecoste del 1251, e che deliberò sulla rielaborazione delle "Institutiones Ordinis S. Guilelmi". I risultati di queste discussioni non ebbero validità per un lungo periodo. Già dopo alcuni anni le Costituzioni oggetto di revisione nel 1251 vennero nuovamente contestate. Urbano IV, il 17 febbraio 1264, dovette di conseguenza dare l'incarico di modificare ancora una volta le Costituzioni dell' Ordine, dal momento che non avrebbero più potuto essere osservate "sine scandalo" nella loro forma di allora. Al fine di giungere ad una soluzione definitiva ed inoppugnabile, nell'ambito di una Capitolo convocato da Urbano IV, una commissione formata da tre priori fu incaricata di elaborare una nuova versione della Costituzioni. Quando nel 1267 questa commissione presentò il suo progetto all'esame del Capitolo generale, il lavoro svolto "non sine magnis laboribus atque curis" si dimostrò troppo complicato per poter essere giudicato su due piedi dal Capitolo riunito. Si rimandò quindi la decisione definitiva circa la sua accettazione al Capitolo successivo, per dar modo ai priori di verificare accuratamente nel frattempo la proposta. L'esito fu negativo, la nuova Osservanza venne respinta da quasi tutti i priori come inattuabile. Soltanto il priore generale Lamberto, che nei Paesi Bassi si era reso benemerito della diffusione dell'Ordine come priore di Bernardfagne ed in seguito come provinciale, riuscì ad evitare la discordia incombente a causa delle costituzioni, ed a fare in modo, quale "sancte uniformitatis ac disciplinae zelator", dopo numerosi viaggi attraverso l'Italia, la Germania e la Francia, e dopo diversi colloqui con tutti i membri "moderans et coaptans secundum conditiones et personarum, locorum et temporum modernorum", che il progetto del 1271 venisse accolto, dimostrandosi in tale occasione, secondo il giudizio dei contemporanei un vero "indigator mediocritatis aureae".

Il risultato di questo compromesso, ossia le Costituzioni che abbiamo davanti a noi, consiste in due parti fondamentali: un ampio "Liber Ordinarius" ed una raccolta di statuti. Il "Liber Ordinarius", a sua volta suddiviso in due parti, in oltre cento capitoli regola il ciclo liturgico giornaliero ed annuale, e stabilisce l'ordinamento interno dei singoli conventi nonchè i compiti e gli uffici dei loro abitanti; è quindi la regola della vita conventuale. Esso corrisponde fondamentalmente alle "Ecclesiastica Officia Cistercensi". Oltre che per alcune disposizioni diverse, esso si differenzia da questi per via dell'ampliamento del calendario delle festività e di alcune modifiche che adattano le funzioni previste per un monastero cistercense, più grande, alle esigenze dei più poveri e piccoli conventi guglielmiti. Inoltre contiene una serie di disposizioni che derivano dall'"Usus Conversorum" e dagli "Instituta Generalis Capituli apud Cistercum", e che appaiono nel "Liber Ordinarius" come un corpo estraneo, sebbene regolamentino, con qualche eccezione, funzioni interne del convento, specialmente i compiti dei conversi. La seconda parte delle Costituzioni, molto più autonoma, consiste negli statuti dei Capitoli generali dell'Ordine. I primi undici capitoli di questa raccolta di statuti, della quale l'undicesimo è composto da dodici ampie sezioni, sono il risultato dei Capitoli generali dal 1251 al 1271. Dopo il 1271 vennero aumentate, come era accaduto alle Costituzioni dei Cistercensi e dei Domenicani, attraverso degli statuti, che, dopo la ripetuta approvazione attraverso il Capitolo generale, conseguirono come parte delle Costituzioni forza di legge. Degli statuti deliberati dopo il 1271 sono tuttavia rimasti conservati soltanto dei frammenti. Nonostante che i protocolli del Capitolo fossero stati depositati presso la casa madre di Malavalle, sembra si sia omesso di conferire a tali decisioni una generale vincolatività giuridica mediante una procedura regolare. Solo nel 1340 il priore generale Simone cercò, in un Capitolo di riforma memorabile per la storia dell'Ordine, di annullare queste omissioni, e di raccomandare i più importanti statuti fino ad allora formulati quale parte delle Costituzioni vincolante per tutte le province.

Dopo quest'ultimo atto legislativo concernente l'intero Ordine, vennero in seguito emanati degli statuti provinciali, non più, però, degli statuti dell'Ordine vincolanti in modo generale. Come era accaduto nel 1340 nel Capitolo di Pentecoste a Malavalle, nel 1687, in un Capitolo della provincia francese, la sola a quel tempo ancora esistente, sotto la presidenza del priore generale Nicola Presseux de Hautregard (1686-1719), furono raccolte le più importanti delibere delle sedi francesi, che nel 1715 furono pubblicate dall'allora provinciale Benedetto Bourgoy nello "Statutum Universale sive compendiosa costitutionum collectio Ordinis S. Guilelmi". Gli statuti più antichi, che nella loro sostanza non vennero modificati dalle decisioni successive, regolamentavano in primo luogo la struttura dell'Ordine ed i poteri delle sue istanze, dei priori e dei Capitoli. Essi presero il posto delle disposizioni della "Charta Caritatis", della quale possiamo supporre che fosse stata ripresa dai Guglielmiti assieme alle rimanenti parti costitutive delle Costituzioni cistercensi. La carica di priore generale, la cui elezione ed i cui poteri sono determinati nel terzo capitolo degli statuti, spettava quale speciale privilegio al priore della casa madre di Malavalle. Assieme a queste due cariche, egli ricopriva anche quella di priore provinciale della provincia italiana dell'Ordine. La sua elezione competeva ai priori di quest'ultima provincia e non, come ci si sarebbe dovuti attendere, a tutti i priori dell'Ordine. Quale concessione al convento di Malavalle, che aveva nel priore generale anche il suo nuovo priore, bisogna comprendere che, accanto ai priori italiani, avevano diritto di voto anche i chierici della casa madre. Il priore generale veniva eletto a vita sotto la presidenza del priore più anziano della provincia italiana secondo la maniera elettorale della regola benedettina, e le disposizioni del privilegio "Religiosam vitam eligentibus". Egli poteva tuttavia deporre anzitempo la sua carica, che assumeva direttamente dopo l'elezione, senza dover ottenere alcuna particolare approvazione da parte della Santa Sede, oppure essere esonerato qualora avesse commesso gravi violazioni. In base alle costituzioni del 1271, in corrispondenza delle sue tre cariche, egli aveva un triplice potere.

Come priore generale aveva una serie di poteri esecutivi che tuttavia, già nel 1271 furono straordinariamente limitati da quelli delle altre istanze dell'Ordine, e che in seguito vennero ulteriormente ristretti. Gli competeva la conferma dell'elezione dei priori provinciali. Gli veniva espressamente vietato di intervenire negli ambiti di competenza degli altri superiori dell'Ordine al di là dei propri. Gli era così severamente proibito di dare una qualsiasi disposizione che eccedesse i poteri relativi alla sua carica contro la volontà del priore o dei conventuali, qualora soggiornasse in un convento che non fosse il proprio. D'altra parte ai membri dell'Ordine il ricorso a lui o al Capitolo generale era stato reso così difficile, che l'accesso ai vertici dell'Ordine sembra fosse praticamente fuori discussione. Nei casi difficili, gli competeva ulteriormente l'esercizio del potere punitivo, qualora non fosse riservato alla Santa Sede o al Capitolo generale. In un Capitolo generale da lui presieduto assieme ad altri, in caso di parità di voti, il suo voto era decisivo; assieme alle definizioni del Capitolo disponeva anche di questioni di denaro che riguardavano l'intero Ordine. Nella provincia italiana questa sfera di competenza relativamente ristretta venne ampliata mediante i poteri del padre provinciale, di cui si parlerà ancora in seguito. Come priore della casa madre aveva i diritti, non poco importanti, che spettavano al priore come all'abate negli Ordini monastici. Come tale, tuttavia, rispondeva anche ai priori dei due conventi figli più antichi, quello di S. Angelo e quello di S. Guglielmo de Acerona. A questi competeva non soltanto il diritto di controllo sul suo convento, bensì avevano anche la possibilità, nel periodo intercorrente fra i Capitoli, di ordinare la sua destituzione, qualora si fosse reso colpevole di gravi offese alla fede, ai costumi ed alle regole, e si fosse ribellato a molteplici richiami.

L'istanza dell'Ordine, alla quale sia il priore generale che tutti gli altri priori dell'Ordine erano soggetti ed alla quale dovevano rispondere, era il Capitolo generale. Esso era costituito dai priori dell'intero Ordine, ciascuno rappresentante dei conventi a loro soggetti, e da tre chierici della casa madre, la quale anche nell'ambito del capitolo generale sapeva difendere i propri diritti. I membri del capitolo generale si riunivano ogni due anni nella settimana dopo Pentecoste a Malavalle, "cum teneamur domum sancti Gulhelmi ubi caput est Ordinis prerogativa qualibet reveri", per discutere sotto la presidenza di un collegio composto dal priore generale, dai priori provinciali e da due definitori per ciascuna provincia. Il capitolo, che soltanto in caso di inobbedienza (da parte) della casa madre poteva essere tenuto in un luogo diverso, aveva il compito ed il diritto, di vegliare sulla "salus animarum", e di provvedere alla "observatio sancte regule et Ordinis", componendo cioè i conflitti di ordine giuridico fra i priori, richiamando e punendo i superiori dell'Ordine dimentichi dei propri doveri, controllando i visitatori nominati dai capitoli provinciali, predisponendo misure contro abusi, trattando questioni finanziarie riguardanti l'intero Ordine, chiedendo conto, infine, al priore generale e destituendolo eventualmente dalla sua carica. Questi ampi poteri, che furono coronati dal potere legislativo, facevano del capitolo generale, secondo il volere delle Costituzioni, l'istanza dell'Ordine presso la quale risiedeva la sovranità più alta. La Costituzione del 1271 presuppone la suddivisione dell'Ordine in province, e le istituzioni dei priori provinciali e dei capitoli provinciali. Nel primo capitolo costituente a S. Guglielmo, che ebbe luogo nella Pentecoste del 1251, si poteva già fare i conti con una provincia toscana ed una ultramontana. Questa bipartizione dell'Ordine sembra sia stata mantenuta almeno nei primi decenni della seconda metà del secolo.

Sebbene nelle bolle papali già attorno al 1250 si parli dei frati in Francia, Germania ed Italia, sembra che soltanto più tardi - la data precisa è sconosciuta - si sia giunti alla suddivisione della provincia ultramontana in una tedesca ed in una francese, visto che fino al 1290 i conventi al di là delle Alpi appartenevano ancora ad un gruppo omogeneo, e che soltanto a partire dal 1301 è possibile documentare la carica di un provinciale in Germania. La carica del priore provinciale, eletto a vita dai priori della provincia, veniva, esattamente come quella del priore generale, limitata dagli ampi poteri del capitolo provinciale. Il capitolo formato dai priori e dai rappresentanti dei loro conventi, si svolgeva ogni due anni in un luogo stabilito dai definitori, per cui nella provincia settentrionale ci si atteneva di solito all'ordine cronologico in cui erano stati fondati i conventi, tralasciando tuttavia quelle case che non si erano sviluppate in modo tale da rispondere alle esigenze di una simile riunione. Il suo regolamento interno come anche la modalità di elezione del provinciale erano esplicitamente simili a quelli rispettivamente del capitolo generale e del priore generale, con l'eccezione, tuttavia, che i definitori del capitolo provinciale avevano in più, rispetto a quelli del capitolo generale, il diritto di nominare i visitatori dei singoli conventi, e di dare il permesso alla predicazione pubblica. Nonostante la responsabilità di fronte al capitolo provinciale, la carica del priore provinciale - nella provincia italiana quella del priore generale - era, oltre a quella del priore conventuale, di maggiore importanza per la vita quotidiana del convento. Il titolare di questa carica (priore provinciale), eletto non a vita, ma soltanto per due anni, era, nel periodo fra un capitolo e l'altro, "de facto" l'unica istanza superiore raggiungibile, tanto più che già nel XIII secolo l'appello al priore generale ed al capitolo generale vennero sempre più limitati. Il priore provinciale, a causa della notevole lontananza dalla casa madre, non era competente soltanto per le questioni di danaro generali della provincia, ma, come mostrano numerosi documenti, si occupava anche dei negozi giuridici dei conventi, qualora si trattasse di questioni di particolare importanza come la fondazione di nuovi conventi o il regolamento della attività pastorale parrocchiale. A lui spettava il diritto di giudicare a titolo definitivo sulla nuova fondazione di conventi e sull'accettazione di membri di altri Ordini.

Oltre a ciò, egli aveva secondo la norma la possibilità di impedire ai priori eletti di entrare in carica ed ai professi di entrare definitivamente nell'Ordine, dal momento che in entrambi i casi spettava a lui la conferma. Il suo potere sanzionatorio, che comprendeva il diritto di scomunica, riguardava i numerosi casi che si sottraevano alla decisione del priore, ma che tuttavia non erano soggetti alla competenza del capitolo e del priore generale, in altre parole, quelle mancanze o violazioni non rare, che non si potevano liquidare come semplici negligenze, né si potevano annoverare fra i delitti morali o monastici. Il controllo sulla disciplina monastica e la scoperta di eventuali colpe dipendevano da lui certamente soltanto in secondo luogo. Era compito dei visitatori citati con particolare rispetto nelle Costituzioni. Essi visitavano i conventi dell'Ordine tutti gli anni, allo scopo di controllare, seguendo una procedura fissata nelle Costituzioni, la gestione del priore ed il comportamento dei conventuali. I visitatori, che rispondevano al capitolo generale, venivano generalmente nominati dai definitori del capitolo provinciale, e potevano, qualora emergessero discrepanze fra loro ed i conventuali chiamati in causa nella valutazione della situazione di un convento, invocare l'autorità del priore provinciale affinché decidesse. Questa modalità di nomina dei visitatori non era tuttavia generale, un'altra possibilità richiama l'attenzione su elementi degli statuti dei quali si dovrà parlare in seguito. La Costituzione dell'Ordine guglielmita, a prima vista, sembra assolutamente moderna, ed infatti contiene elementi costitutivi delle Costituzioni dei Domenicani non soltanto dal punto di vista materiale, bensì anche dal punto di vista letterale. Ciononostante da uno sguardo più approfondito emerge il fatto che non soltanto il "Liber Odinarius", il quale regola la liturgia ed il sistema dei conventi, ma anche le disposizioni degli statuti contengono elementi cistercensi.

Totalmente in contrasto con le consuetudini dei Domenicani, aventi in parte un'origine cistercense, sono state fatte grandi concessioni nelle Costituzioni dei Guglielmiti alla particolare dignità della casa madre e con ciò all'aristocratico principio di successione di Citeaux. S. Guglielmo è il "caput Ordinis" ed il luogo di riunione del capitolo generale, ed i suoi conventuali potevano esercitare un'influenza non poco significativa sull'elezione del capo dell'Ordine e sulle delibere del capitolo generale. Il suo ordinamento conventuale aveva per tutti gli altri conventi dell'Ordine un significato normativo. Così, ad esempio, la disposizione dei posti a sedere di tutte le adunanze venne fissata secondo l'uso di Malavalle. Del tutto cistercense, oltre al forte risalto dato all'anzianità fra i conventi della provincia, è la suddivisione, mantenuta qua e là, dell'Ordine in filiazioni, che riuscì ad affermarsi anche in contrasto con la suddivisione provinciale. Come era concesso alle più antiche filiali di Malavalle di visitare la casa madre, sebbene secondo le forme costituzionali più moderne ciò spettasse ai visitatori nominati dal capitolo provinciale, anche altre case avevano, secondo una buona consuetudine cistercense, il diritto di ispezionare le loro fondazioni figlie e, in particolari casi, addirittura di deporre il loro priore. Per quanto riguarda la stabilità del sistema di filiazione, è indicativo il fatto che il priore di un convento non potesse provenire, come invece accadeva per i Domenicani, da un convento qualsiasi, bensì dovesse essere almeno professo di un convento figlio, se non era già professo del convento di cui doveva essere eletto a priore. Di conseguenza nelle Costituzioni si trovano i termini arcaici "paterprior" o "prior matris ecclesiae", sebbene le funzioni di questi uffici, a parte poche eccezioni, fossero svolte dalle rimanenti istanze dell'Ordine. Ciò corrisponde alla medesima tradizione per cui la vita del singolo convento, la vita dell'Ordine realmente guglielmita, ha un taglio monastico. Il priore eletto a vita dalla riunione dei membri del convento e confermato in carica dal provinciale, anche se con limitazioni, riveste ampiamente il ruolo dell'abate. Verso l'esterno egli rappresenta i confratelli per quanto riguarda i negozi giuridici, con il sostegno per lo più di un procuratore, verso l'interno è responsabile della formazione del convento e della salute dell'anima dei suoi abitanti, per cui gli viene riconosciuta una grande quantità di diritti di punizione e di condono.

Nelle sue mani, anche se con l'approvazione del provinciale, professano i voti i monaci, e a lui, e non al superiore dell'Ordine, promettono solennemente obbedienza, un'obbedienza rigidamente controllata. Il conventuale, dopo la sua professione, rimane, secondo il principio della "stabilitas", legato per tutta la vita al suo convento di professione dei voti, ed il priore è eleggibile soltanto nella cerchia dei professi del convento, in casi particolari anche dei conventi figli. Anche di fatto il conventuale abbandona solo molto raramente il convento d'origine. Il che avviene per lo più per motivi di studio o in missioni particolari, a menoché non si tratti di un trasferimento per ragioni disciplinari, nel qual caso, tuttavia, il priore del convento madre conserva la responsabilità ultima per il membro punito del suo convento. Nel congiungimento delle più antiche forme costituzionali monastiche, e di quelle domenicane più recenti, è possibile vedere non solo uno dei più frequenti adeguamenti alla Costituzione degli Ordini mendicanti, bensì anche una conseguenza dei contrasti che a partire dalla metà del XIII secolo portarono a sempre nuove rielaborazioni delle Costituzioni. Come queste evidenziano, a tale proposito era in gioco la possibilità di influenzare la direzione dell'Ordine. La cerchia conservatrice dei conventi italiani, la casa madre di Malavalle in primo luogo, tentava di affermare la propria posizione all'interno dell'Ordine attraverso l'accentuazione degli elementi monastici della Costituzione, in particolare del sistema di filiazione. I numerosi conventi sorti, spesso nel medesimo periodo, nei Paesi Bassi, in Germania e in Francia, vedevano nella forma democratica della Costituzione capitolare uno strumento più adatto a rappresentare i loro interessi. Per ottenere un'influenza sulla direzione dell'Ordine che corrispondesse alla loro vera importanza, essi dovettero insistere per la realizzazione della suddivisione provinciale, la convocazione del capitolo ed il rafforzamento della posizione del priore provinciale, dal momento che soltanto questi elementi garantivano un diritto di essere consultati nell'ambito del vertice dell'Ordine. Per gli stessi motivi, fecero in modo che al capitolo generale competesse un potere relativamente grande e che venisse contenuta l'influenza dei più antichi conventi figli italiani sulla casa madre; soltanto così le province ultramontane poterono affermare i loro interessi presso il priore generale eletto dai loro confratelli italiani, e contrastare le aspirazioni spesso egoistiche delle grandi abbazie toscane.

D'altra parte, in base a considerazioni simili, i Guglielmiti italiani dovettero con accortezza fare in modo che l'influenza degli ultramontani sul capitolo generale non aumentasse, tentando, inutilmente, di raggiungere tale scopo mediante decisioni quali "ut domus Ordinis in regnis Francie et Alamanie habite et habende uno provinciali sint contente". Queste tensioni fra i due gruppi dell'Ordine, allontanatisi l'uno dall'altro nel corso del XIII secolo per alcune circostanze, aumentarono nel XIV secolo a tal punto da portare alla fine ad un'autonomia quasi totale delle province settentrionali. Soltanto attraverso delle concessioni alle province ultramontane il priore generale e la provincia italiana -"benigna semper et facilis in dandis libertatibus"- poterono per il momento ancora impedire la scissione dell'Ordine. Ai capitoli provinciali fu consentito di formulare degli statuti aventi forza di legge, che tuttavia non dovevano essere in contrasto con gli statuti generali nè mettere a repentaglio l'unità dell'Ordine. La posizione dei provinciali si rafforzò per il fatto che i monaci da loro destituiti non potevano essere riaccolti dal priore generale, e che fu reso impossibile qualsiasi ricorso ai vertici dell'Ordine, per cui alla fine il potere ultimo di assoluzione all'interno dell'Ordine poteva essere esercitato solamente in capitoli generali ai quali prendevano parte rappresentanti ultramontani. Quello che le concessioni non ottennero dovettero sortirlo rigide punizioni per placare l'"omnis adversum nos frementium impetus et redivivus litigorum strepitus". Nonostante le sempre ricorrenti comminatorie contro le cosiddette "conspirationes", a lungo andare non fu più possibile eliminare l'aspirazione all'autonomia delle province ultramontane.

A metà del XIV secolo essa raggiunse il suo culmine dopo che il priore generale Simone, nell'ambito del capitolo di riforma del 1340 aveva ancora una volta tentato di esortare "ad reformandam malitiam", e di procedere contro le "conspirationes ruinosae" con preghiere e punizioni. Nel 1343 le province ultramontane eliminarono il più forte vincolo di dipendenza. Col permesso di Clemente VI si liberarono in quell'anno dell'obbligo di chiedere la conferma da parte del priore generale per il priore provinciale. Il papa trasferì questo diritto al priore della più antica casa della provincia. In questo modo veniva fondamentalmente realizzata l'autonomia delle province. Da allora non si sa più nulla di capitoli generali generalmente vincolanti nella patria dell'Ordine. Già prima di questo privilegio la Curia aveva preso in considerazione il processo di progressiva indipendenza delle province ultramontane. Giovanni Colonna, incaricato da Bonifacio VIII della protezione dell'Ordine, nel 1303 delegò le sue funzioni, nella misura in cui andavano a punire le case d'oltralpe, all'abate di S. Pietro a Gent, giustificando ciò con l'impossibilità di dedicarsi ai frati delle province ultramontane a causa della grande lontananza. Una volta interrotta la continuità dei cardinali protettori e dei conservatori nella prima metà del XIV secolo, nel periodo seguente e per i medesimi motivi, la Curia nominò conservatori dell'Ordine gli abati di S. Giacomo di Liegi e di S. Aubertus di Cambrai. Al più tardi a partire dal 1463, l'autonomia delle province francese e tedesca, preparata in tal modo (molteplice), fu completa.

Da quel momento spettò ai priori provinciali, nella loro provincia, la funzione della carica di priore generale nel frattempo giunta ad essere priva di importanza, così come, in corrispondenza di ciò, i capitoli provinciali assunsero i compiti del capitolo generale, che già dalla seconda metà del XIV secolo non era stato più convocato. Le due province di Francia e Germania, le cui guide nel corso del tempo, al pari del vertice italiano dell'Ordine, furono ben poco in grado di conservare l'Ordine e l'incolumità delle loro province, fino al XVII secolo coesistettero con gli stessi diritti. Al più tardi a partire dal 1630 le ultime case della provincia tedesca, decimata dalla Riforma e dalle sue conseguenze, dipesero dal priore dei Guglielmiti francesi, cosicché poco prima della caduta dell'Ordine, la sua unità venne ancora una volta ristabilita.