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Kasper Elm: GUGLIELMO DI MALAVALLE

S. Guglielmo d'Aquitania: tela di Antonio Nasini (1643-1715)conservato nella Chiesa di S. Agostino a Massa Marittima

Resti dell'Eremo di Malavalle

 

 

L'ADOZIONE DELLA REGOLA BENEDETTINA SOTTO GREGORIO IX

di Kasper Elm

 

 

 

 

Il primo passo verso la costituzione di un vero e proprio Ordine lo fece Gregorio IX. I Guglielmiti lo celebrarono come il loro vero benefattore, come lo "structor vel fautor" dei loro conventi, e a torto, - come si vedrà - come colui che avrebbe addirittura diffuso la loro forma di vita fino ai confini della terra. In effetti i Guglielmiti godettero di una protezione sicura da parte di questo Papa. Sotto il suo pontificato, gli "iam dudum heremitice viventes" adottarono la regola benedettina al posto degli "Statuta S. Guilelmi" seguiti fino ad allora. Dopo l'antica tradizione dell'Ordine, risalente al XIII secolo, questa regola consentì loro di mitigare la durezza sperimentata fino ad allora, il "rigor pristinus", e di creare il presupposto per una reale diffusione. L'adozione della regola benedettina all'inizio del XIII secolo non fu certamente niente di strordinario. In applicazione del 13° canone del Lateranense del 1215, molte altre comunità religiose avevano abbandonato le regole ed i "Proposita" osservati fino ad allora, sostituendoli con una delle antiche regole monastiche.

Questo cambiamento era molto spesso un atto formale privo di conseguenze per la vita delle comunità coinvolte. Nella maggior parte dei casi le Costituzioni stesse offrivano la possibilità di modificare la regola adottata, cosicchè l'antico modo di vivere poteva essere conservato. Dovette quindi essere di importanza decisiva per la vita dei Guglielmiti il fatto che questa via d'uscita fosse loro preclusa. Essi, infatti, non adottarono soltanto la regola benedettina, ma assieme ad essa anche le consuetudines dei Cistercensi. Queste tuttavia regolano i dettagli della vita monastica, della liturgia e dell'organizzazione dell'Ordine in maniera così precisa, da non lasciare pressochè spazio a particolarità qualora le si segua rigidamente.

Un'ulteriore difficoltà nell'adozione di queste istituzioni emerge dal fatto che le forme organizzative della "Charta Caritatis" improntate ad un'unione monastica molto sviluppata, e le prescrizioni liturgiche del "Liber Ordinarius", attuabili solo da un grande convento, fossero fondamentalmente inadeguate a gruppi eremitici poco organizzati. Non ci si deve quindi meravigliare del fatto che poco dopo il 1238 si parlasse nelle Bolle papali non delle consuetudini cistercensi, bensì sempre e soltanto delle "Institutiones Ordinis S. Wilhelmi", nelle quali forse elementi delle consuetudini cistercensi si coniugavano con la tradizione della "Regula S. Wilhelmi" in una sintesi adeguata e rispondente alle tradizioni dell'ordine. Il passaggio dei Guglielmiti alla regola benedettina è indubbiamente collegato alla tendenza all'unificazione monastica che è possibile cogliere dal XII secolo; non lo si può tuttavia delineare come pratica e necessaria attuazione del 13° Canone del Lateranense.

La decisione della Curia esprime al contrario un interessamento personale certo da parte innanzitutto di Gregorio IX, che molto presto fece la conoscenza dei Guglielmiti. Durante le sue legazioni in Toscana si era infatti trattenuto presso la tomba del Santo ed aveva concorso con mezzi propri alla costruzione della chiesa tombale, cosicchè lo si celebrava come il fondatore del cenobio di Malavalle. Il Papa, al quale non era sconosciuto lo spirito di Maria e di Rachele, non agì certamente solo per benevolenza personale. Egli sembra piuttosto aver ravvisato nello sviluppo dell'ordine guglielmita, una possibilità di sostenere con nuova forza il monachesimo benedettino allora particolarmente in difficoltà in Italia. Quest'opera, che accanto alle sue attività politico-religiose, ai suoi sforzi per lo sviluppo dell'ordine francescano, per l'ordinamento del movimento religioso femminile e per la costituzione degli Umiliati e delle confraternite penitenti, viene poco considerata, Gregorio aveva cercato di realizzarla mediante interventi disciplinari, l'acuita richiesta di tenere Capitoli Generali e l'abbozzo di nuove Costituzioni. Oltre a tutte queste misure si era rivelato efficace il fatto di appoggiarsi a nuovi Ordini e Congregazioni per una radicale realizzazione degli ideali monastici, ed il fatto di esortare alla riforma le antiche abbazie benedettine, allo scopo di far rivivere, grazie alla loro forza ancora nuova e vivace, l'antica stirpe dei Benedettini. Questa tendenza rilevabile nell'incremento dei Camaldolesi, dei Cistercensi e dei Florensi, fu determinante anche per l'aumento dei Guglielmiti.

Attraverso la regola benedettina, l'ordine doveva essere sottratto al suo ristagno eremitico, e attraverso l'alleggerimento del suo modo di vivere doveva essere reso accessibile anche ad altri gruppi di persone. A tale scopo, nel 1237 il Papa trasferì all'eremo di Acerona il monastero benedettino di S. Maria de Mazzapalu, situato nella diocesi di Orvieto, con l'appoggio del cardinale cistercense Ranieri Capoccius. Il monastero, menzionato per la prima volta nel 1042, era in origine un priorato dell'abbazia del Santo Sepolcro di Aquapendente, che in seguito fu trasferito ai Vallombrosani. Tale monastero si era costruito nel XII secolo una posizione così importante ed autonoma, che, libero da collegamenti con la casa madre, non aveva preso parte al passaggio all'ordine eremitico dei Vallombrosani. Dell'antica importanza del convento non rimaneva nel XIII secolo più nulla: cattiva amministrazione, rinuncia all'immunità e povertà (al punto da non riuscire più ad acquistare stoffa per l'abito dei monaci) caratterizzano la situazione del monastero, tipica fra l'altro del mondo benedettino italiano del XIII secolo. Assolutamente giustificato fu quindi il fatto che il Papa non ritenesse più possibile la riforma del convento senza interventi esterni, e che l'affidasse ai Guglielmiti, che si adoperarono per riacquistare i beni del monastero alienati agli aristocratici ed ai comuni, e per ridare vivacità alla vita religiosa.