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Percorso : HOME > Monachesimo agostiniano > Storia dell'Ordine > Guglielmiti > Storia dei GuglielmitiKasper Elm: LO sviluppo DEI GUGLIELMITI
S. Guglielmo di Malavalle e Giovanni Bono
di Jànos Hainal
LE DIVERSE CIRCOSTANZE DELLO SVILUPPO
di Kasper Elm
Dopo aver affrontato a grandi linee l'espansione dell'Ordine, è evidente, come già accennato, che, a causa della situazione geografica ed economica dei conventi, della condizione sociale dei fondatori e della origine degli uomini dell'Ordine, ci si interroghi sulle circostanze in cui l'Ordine si sviluppò a partire dal XIII secolo, e che si studino a fondo i cambiamenti di fatto, a cominciare dal XIII secolo, dalla sua particolare impostazione, in origine eremitica. Nell'ultimo venticinquennio del XIII secolo, come già si è detto, i Guglielmiti portarono avanti, in Italia, la riforma delle abbazie benedettine toscane. Essi dovettero la possibilità di adempiere a tale compito, assegnato loro per primo da Gregorio IX, alla Curia, in particolare ai cardinali, ed in seguito papi, Giacomo Savelli e Benedetto Gaetani, i quali non persero occasione per promuovere l'Ordine.
Entrambi i prelati motivarono la cessione dei monasteri, in gran parte soggetti direttamente alla Santa Sede, con la loro particolare "affectio" all'Ordine, che aveva avuto origine nel periodo in cui essi, come cardinali protettori, erano incaricati di assisterli in maniera particolare. Contemporaneamente essi richiamarono l'attenzione sulla qualità dell'Ordine a loro nota, ossia "religionis fervor, caritatis ardor et honestatis splendor", che potevano far sperare in una felice realizzazione della riforma. L'assistenza dei Papi, che si espresse anche in una particolare devozione a S. Guglielmo, liberò i Guglielmiti del peso delle preoccupazioni di ordine materiale che invece gravava sui loro confratelli al di là delle Alpi. Le abbazie da loro acquisite erano in generale ben dotate e possedevano una grande quantità di chiese, cappelle e ricoveri dipendenti da esse, anche se spesso, tuttavia, erano destinati ad altro uso e venivano mandati in rovina. In Italia, perciò, il compito dei Guglielmiti, nella maggior parte dei casi, consistette nel recuperare la grande sostanza patrimoniale messa assieme nei secoli, e nel farla fruttare. In tali circostanze, le nuove acquisizioni di terreni ebbero per i Guglielmiti italiani soltanto un ruolo secondario. Alla riforma dei conventi menzionati non fu collegata soltanto l'acquisizione di proprietà terriere, in sè degna di approvazione, bensì anche quella delle consuetudini delle antiche e venerabili abbazie. Ciò fu tuttavia per i Guglielmiti, come il tempo dimostrò, un cavallo di Troia. La plurisecolare formula benedettina fu infatti a lungo andare più forte della spiritualità eremitica e della volontà di riforma dei Guglielmiti. Il loro Ordine, costretto dalle condizioni economiche e sotto la spinta della tradizione, si adeguò ai Benedettini dando così inizio all'allontanamento dai conventi situati al di là delle Alpi, che andarono per un'altra strada. I monasteri fondati nel XIII secolo a nord delle Alpi, non si svilupparono in maniera così chiara ed uniforme come quelli della provincia madre toscana. Se anche in origine la Curia avesse avuto intenzione di fare dei Guglielmiti inviati verso il nord degli alleati attivi nella cura d'anime, dando così all'Ordine un'impostazione chiaramente determinata, bisogna considerare questo progetto come fallito, dal momento che il reale sviluppo della loro comunità prese tutt'altra direzione. I Guglielmiti nella loro espansione evitarono in generale le città, ambito della cura d'anime e di agitazione politica, cercando invece la solitudine, scopo di tutti gli eremiti.
La trovarono nelle regioni non ancora toccate nel XIII secolo dallo sviluppo del territorio d'antico insediamento: nella zona costiera delle Fiandre, nelle Ardenne, nella Foresta Nera e nella Selva Turingia, ed infine nelle colonie orientali, in Pomerania, nel Brandeburgo, in Ungheria, ed in Boemia. Qui la vita non era certamente idilliaca. Solo mediante il duro lavoro e grandi sacrifici, gli eremiti, i monaci ed i conversi riuscirono ad edificare nelle regioni aride o incolte dei conventi che non dovettero essere abbandonati già dopo breve tempo. Così, ad esempio, gli inizi del loro convento di Biervliet, situato nelle Fiandre marittime furono così poveri, che i suoi primi abitanti, Ugo di Antwerpen e sette confratelli, non poterono festeggiare la fondazione del loro convento con vino o birra, ma soltanto con un sorso d'acqua, come la tradizione dell'Ordine riferisce molto concretamente. I monaci furono in grado di porre fine alla miseria iniziale del loro convento, fondato nel 1249 su terreni incolti da Margherita delle Fiendre, soltanto attraverso la lunga e faticosa coltivazione della loro proprietà terriera accresciuta nel corso del XIII secolo dalla donazione dei conti delle Fiandre; il che fino a quando la grande piena del 1376 non annientò il loro lavoro. Queste condizioni caratteristiche dei conventi situati nella zona costiera, sussistevano, in forma diversa, anche per una serie di conventi dell'interno. A Burlo, ad esempio, a partire dal 1267, i Guglielmiti incrementarono sostanzialmente le loro entrate soltanto mediante la coltivazione dello "ZWOLLSCHEN VENNS".
Questa bonifica delle terre e la coltivazione che ad essa seguiva nell'ambito di un'amministrazione in proprio, che fu innanzitutto la più importante fonte di reddito dei conventi di campagna, vennero fondamentalmente realizzate dai conversi, i cui diritti e doveri venivano regolamentati dagli statuti dell'ordine sul modello dei Cistercensi. Numerose sedi sorsero nei paesi dell'interno, anche laddove altri religiosi non vedevano più alcuna possibilità di sopravvivenza a causa delle cattive condizioni del terreno e di donazioni troppo esigue. In molti casi, come ad esempio a Bernardfagne, i Guglielmiti presero degli eremi che potevano servire come base per l'esistenza di uno o due eremiti solamente, e non per un convento. Soltanto attraverso un duro sacrificio e la tenacia, essi riuscirono in questi casi a garantire almeno un minimo per l'esistenza. A tale proposito, accanto alla esenzione da determinati tributi, tornò loro utile la possibilità, già concessa nel XIII secolo dalla Curia e dall'episcopato, di accettare e raccogliere elemosine per il proprio mantenimento e per la costruzione dei conventi e delle chiese conventuali.
E' evidente che i conventi sorti in tali circostanze non potevano essere grandi. Attorno al 1270 i conventi dell'Ordine contavano in media 5-10 conventuali, una frazione, quindi, dei tredici monaci che secondo l'antico uso monastico costituivano inizialmente un convento. Nessun convento dell'Ordine raggiunse mai il numero di quaranta conventuali che consentiva ai monasteri cistercensi di fondare delle sedi figlie. Sebbene i Guglielmiti ricercassero nel XIII secolo soprattutto l'isolamento, alcuni dei conventi sorsero nelle immediate vicinanze delle città; così fu a Parigi, Worms, Spira e Magonza. Nel XIV e nel XV secolo il numero di questi conventi di città aumentò, giacchè non era più possibile per i Guglielmiti conservare i loro conventi appartati e danneggiati da guerre o da catastrofi naturali; essi quindi li abbandonarono per andare a vivere all'interno delle mura delle città, come a Bruges o Aalst. Neppure nei più antichi conventi di città, situati al di fuori delle mura di protezione, fu possibile sottrarsi all'influenza della vita cittadina. Poichè qui non era praticamente possibile vivere dei frutti del proprio lavoro manuale, le loro entrate consistevano in massima parte in elemosine, rendite ed oblazioni, come accadeva nei conventi di campagna.
Questo modo di assicurarsi il mantenimento avvicinò i conventi cittadini agli Ordini mendicanti che si garantivano l'esistenza nello stesso modo. Non stupisce di conseguenza il fatto che i Guglielmiti, abbastanza spesso, venissero assimilati ad essi, sebbene la mendicità non fosse certo per loro di fondamentale importanza, come invece lo era per i frati questuanti; per loro, infatti, essa non aveva sostanzialmente altra funzione se non quella di incrementare i redditi derivanti dal proprio lavoro, dalle decime e da altri tributi similari. A Parigi, dove una persona beffarda come Ruteboefe già nel 1263 rammentava ai Guglielmiti solo in senso ironico la vita da eremiti di un tempo, il re Filippo IV rilevò chiaramente questa particolare funzione della mendicità per i Guglielmiti: "sont povres medians et n'ont point de propro, combien que leur ordre soit fondée sur propro". La cerchia di persone che rese possibile l'espansione dei Guglielmiti al di là delle Alpi era, per quanto riguarda la sua composizione, diversa e più variegata rispetto a quella che aveva appoggiato l'ordine in Italia, i cui componenti furono da ricercare quasi esclusivamente nella Curia. Conformemente alla caratteristica fondamentale dell'Ordine, eremitica e volta ad un'esistenza rurale, tale cerchia si componeva sostanzialmente di membri dell'aristocrazia. Oltre alla devozione personale ed ai numerosi rapporti casuali o genealogici, non sempre chiari, di cui si dirà più avanti, furono non da ultimo interessi di tipo economico che li portarono a sostenere l'Ordine. La grande nobiltà, fra cui la contessa delle Fiandre assieme ai suoi potenti pari e ai suoi vassalli, poterono incaricare i Guglielmiti, che erano senza pretese, della bonifica e della coltivazione dei territori che si trovavano ancora intatti nei loro possedimenti, e cioè più o meno le fasce costiere, senza dover temere che i loro insediamenti portassero ad un'eccessiva concentrazione di potere. In parte sulla base del libero prestito, i Guglielmiti si resero benemeriti nelle Fiandre della trasformazione, nel XII secolo, dei terreni comitali incolti, arginati certo, ma non ancora coltivati.
Con questa coltura intensiva essi portarono avanti, sebbene in misura molto più ridotta e con molta meno manodopera, il lavoro intrapreso dalle grandi abbazie di S. Bavo e di S. Pietro a Gent, e, dopo di loro, dai Cistercensi. In alcuni casi, come ad esempio a Wasungen e a Mengen, il divieto esplicito di stabilirsi nelle città "LANDESHERRLICH" [cioè città sotto il dominio di un signore] , doveva impedire all'Ordine di trascurare l'attività agricola a favore della mendicità loro fondamentale consentita. Il proposito di far partecipare in certo qual modo l'Ordine ad una fase avanzata di sviluppo del territorio e di una utilizzazione più intensiva dei propri possedimenti, giocò certamente un ruolo importante anche per conventi ed abbazie come quelli di Stablo-Malmedy, di S. Germano, di S. Ciriaco e di S. Albano, che cedettero ai conventi dell'Ordine una parte della loro proprietà immobiliare in cambio di tributi, dal momento che l'iniziativa ed anche la necessità di una sua trasformazione e di un suo utilizzo più intensivo partirono proprio da loro. La maggior parte dei conventi guglielmiti dovettero tuttavia la loro fondazione ed il sostegno ricevuto non all'alta aristocrazia ed alla chiesa, bensì alla nobiltà minore. Quest'ultima fondò e promosse i conventi dell'Ordine come propri conventi domestici, le loro chiese come sepolcri, i loro conventi come asilo per i figli minori, che qui, assieme ai figli di borghesi e contadini, potevano intraprendere la vita monastica senza una grossa dote.
La semplicità dei Guglielmiti consentiva a questo ceto, che conduceva una vita di ristrettezze dal punto di vista materiale, collocato in una situazione precaria, fra un dominio territoriale in espansione ed il predominio economico delle città, di acquisire, mediante la donazione di pochi HUFEN [antica misura terriera], benemerenze simili a quelle che i signori ed i nobili dell'alto medioevo avevano potuto avere soltanto grazie ad ampie cessioni. Nel basso medioevo, nell'ambito dell'intero capovolgimento sociale ed in seguito al crescente trasferimento dei conventi nelle vicinanze dei centri abitati cittadini, si rafforzò il legame dell'Ordine con la borghesia, che contribuiva al mantenimento dei conventi attraverso numerose donazioni, anche se non sempre significative, e che mandava i figli come professi nei conventi dei Guglielmiti, dove essi, nel XIV e nel XV secolo, diedero, sotto l'aspetto corporativo, il colpo decisivo. Mentre in Italia lo sviluppo si risolse nell'adeguamento dei Guglielmiti ai Benedettini, nel nord, come risulta da un rapido sguardo d'insieme, l'Ordine seguì i Cistercensi non soltanto dal punto di vista temporale, ma anche per quanto riguarda molteplici tratti fondamentali. Assieme al "ramo" femminile dei Cistercensi, l'Ordine dei Guglielmiti appartiene alle comunità religiose che fecero l'ultimo, anche se debole, tentativo di fare della terra e dei rapporti agrari la base di un Ordine - mentre nel medesimo periodo la città ed i rapporti borghesi determinarono il carattere dei grandi Ordini del futuro. Le condizioni economiche, il limitato isolamento ed un'aristocrazia non più disposta o in grado di fare grosse donazioni, si collegarono alle intenzioni ascetiche dell'Ordine, portando ad una forma di vita che nella sua povertà e nella sua solitudine rurale - e non da ultimo attraverso il numero ristretto dei conventuali - rappresentò quello che altri Ordini eremitici più importanti poterono raggiungere soltanto mediante complicate sintesi di elementi eremitici e cenobitici: la combinazione della vita eremitica con le esigenze della vita comunitaria monastica. Non ci si può tuttavia non rendere conto che, al più tardi a partire dal XIV secolo, anche nel nord l'esistenza dei Guglielmiti perdette il suo carattere eremitico.
La possibilità che i Guglielmiti, diversamente dai primi Cistercensi, ebbero davanti a sé di distribuire la loro proprietà, ed ancor di più le forme di guadagno ottenute mendicando e praticate inizialmente nel XIII secolo soltanto a scopo compensativo, annientarono di nuovo le condizioni favorevoli ad una vita eremitica cui erano giunti attraverso la propria volontà e molteplici circostanze di tipo economico. Il proprio lavoro manuale, la vita in solitudine e la meditazione diminuirono, senza però che subentrasse al loro posto l'attività degli Ordini mendicanti, totalmente diversa e collegata sostanzialmente alla città ed alle attività borghesi, e senza che la vita dei Guglielmiti giungesse ad un nuovo equilibrio.