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Percorso : HOME > Monachesimo agostiniano > Storia dell'Ordine > Guglielmiti > Storia dei GuglielmitiKasper Elm: L'UNIONE FRA GUGLIELMITI ED EREMITI AGOSTINIANI
Le congregazioni agostiniane di monte pisano
da una tela di Miguel de Santiago a Quito (1656)
L'UNIONE FRA GUGLIELMITI ED EREMITI AGOSTINIANI
(1256-1266)
di Kasper Elm
Gli anni dal 1245 al 1256 furono densi di avvenimenti e rappresentarono per l'Ordine un periodo non soltanto di rapida crescita, ma anche di tensioni interne e di minacce dall'esterno. Com'era facilmente prevedibile, già poco dopo l'espansione al di là dei confini della Toscana, emersero disaccordi ed opposizioni al nuovo sviluppo, che tuttavia non furono in un primo momento così forti da distruggere l'unità dell'Ordine. Ad una reale minaccia circa l'esistenza autonoma dell'Ordine quale "Ordo eremiticus" si giunse soltanto nel 1256, nell'anno, quindi, in cui i Guglielmiti raggiunsero il loro culmine, ed in cui, contemporaneamente si concluse la prima grande ondata di espansione. Questa minaccia, ossia la fusione nell'Ordine degli Eremiti Agostiniani, formato nel 1256, aveva la sua origine soltanto in minima parte nelle difficoltà interne all'Ordine.
Essa proveniva dalla Curia, dove in quell'anno il cardinale diacono di S. Angelo in Pescheria, Riccardo Annibaldi, cercava di portare a termine molto energicamente le disposizioni volte alla riorganizzazione del movimento eremitico italiano, ed iniziate molto tempo prima.
Nel corso della diffusione dell'Ordine al di là delle Alpi, già attorno al 1250 fu possibile notare segnali di disordine ed accenni di una divisione, nel momento in cui emerse che la guida dell'Ordine a Malavalle non era più in grado di mantenere il controllo sulle nuove sedi e di impedire evoluzioni particolari che minacciavano l'unità dell'Ordine. Ciò risulta chiaramente dal fatto che l'11 ottobre 1250 essi si videro costretti ad invocare, attraverso l'intervento di Innocenzo IV, l'aiuto dell'episcopato tedesco contro i tentativi separatistici che provenivano da "Ordinis fugitivi et alii qui eorum fratres se nominant" e che condussero alla fondazione di conventi che si sottraevano alla generale Osservanza, e che si rivolsero all'Ordine "vilipendium, infamiam et scandalum", come accadde a Weissenborn attorno al 1250.
Il pericolo della discordia non incombeva soltanto nel nord, dove poteva essere visto tutt'al più come fenomeno concomitante all'impetuosa espansione; esso fu molto più forte in Italia, patria dell'Ordine. Qui furono gli antichi eremi ad opporsi al nuovo corso che insisteva per la centralizzazione e l'espansione, dal momento che evidentemente davano poca importanza al fatto di rinunciare alla loro autonomia, a malapena limitata dall'accettazione della regola di Guglielmo, ed al fatto di assoggettarsi ad un priore generale. Già nel secondo venticinquennio del XIII secolo S. Antonio di Ardenghesca e l'eremo di Torre di Palma, che avevano aderito alla regola guglielmita rispettivamente nel 1211 e nel 1232, abbandonarono l'unione dell'Ordine. Verso il 1251 si costituì attorno a S. Benedetto di Monte Fabali una congregazione a sè o, più probabilmente, una frazione dell'Ordine, al cui vertice era un priore generale, come risulta da una bolla di Innocenzo IV indirizzata il 27 agosto 1251 al "Generali heremi S Benedicti de Monte Fabali ac ceteri priores et fratres heremitae Ordinis S. Guilelmi".
Il convento di Monte Fabali non ritornò nell'unione dell'Ordine, ma rimase indipendente dalla casa madre; i suoi abitanti vennero designati in una bolla di Alessandro IV del 9 aprile 1256 come "Fratres Eremitae de Fabali", senza che si facesse notare altro della loro appartenenza agli altrettanto citati guglielmiti. Poco più tardi essi si unirono all'Ordine cistercense, dopo che nel 1253, al culmine della crisi, avevano pregato il Capitolo Generale dei Cistercensi di accoglierli, e dopo che erano stati giudicati da una commissione dell'Ordine degni di essere accettati. Nel 1254 le agitazioni raggiunsero il culmine. I frati dell'Ordine si videro costretti ad ottenere nell'ambito della Curia la destituzione di Giovanni, che fino ad allora era stato il loro priore generale. In un Capitolo Generale a A. Guglielmo, cui prese parte un priore domenicano, quale rappresentante del cardinale di S. Sabina, incaricato del Compromesso, si ebbero le dimissioni del priore generale e fu eletto quale nuovo priore generale frate Guberto, che il vescovo di Forlì, su autorizzazione di Innocenzo IV, confermò ed insignì della carica. I retroscena di questo contrasto, che emergono soltanto dai registri papali, e di cui invece non si fa parola nella tradizione dell'Ordine, rimangono a noi sconosciuti. I priori generali Giovanni e Gubertus hanno evidentemente esercitato il loro ufficio solo per breve tempo, e sembra siano stati più che altro esponenti di gruppi contrapposti che non vere e proprie guide dell'Ordine, come furono invece senza dubbio i loro successori Guglielmo (circa 1260-169), Lamberto (circa 1269-1273), Marco (circa 1273-1279) e Raniero (morto el 1298). In quel periodo così critico per l'unità dell'Ordine, morì nel 1254 Innocenzo IV.
La sua morte diede al cardinale Riccardo Annibaldi, nipote di Alessandro IV, la possibilità di attuare il piano, da lungo tempo preparato, per l'unificazione degli eremi e delle comunità eremitiche, molto numerose in Italia, e di porre fine contemporaneamente alle spiacevoli divisioni all'interno dell'Ordine dei Guglielmiti. Il 15 luglio 1255, in nome di Alessandro IV, egli ordinò ai priori dei Guglielmiti e degli eremiti di Monte Fabali, da questi separati, di inviare due rappresentanti per ogni convento con delega di voto da parte dei loro confratelli, ad un'udienza a Roma ancora da stabilire in maniera precisa. Lo stesso invito fu rivolto ai priori di molta altre congragazioni religiose italiane, che in parte erano comunità eremitiche ormai soltanto di nome: i Brettinesi, i Zambonini e gli Eremiti Agostiniani toscani, che, proprio come i Guglielmiti, erano giunti ad uno spiccato sviluppo organizzativo. I Brettinesi traevano il loro nome di "Fratres Eremitae de Brettino" dalla località di Brettino nei pressi di Fano, nella marca di Ancona, dove all'inizio del XIII secolo molti credenti si erano riuniti attorno ad una chiesa dedicata a S. Biagio, per seguire -dal 1228 secondo la regola agostiniana - Cristo povero in perfetta povertà come i Francescani. Già alcuni decenni dopo la fondazione, il gruppo, originariamente eremitico, predicando e mendicando si diffuse al di là dei confini delle Marche, dove, attorno alla metà del secolo, contava più di quaranta sedi.
I Zambonini veneravano come fondatore Giovanni Bono, il quale, nato a Mantova nel 1168, da ragazzo abbandonò la sua patria ed andò come giullare in giro per il mondo, fino a quando, nel 1208, non si convertì andando a vivere come "peccator eremita" una vita di penitenza e di rinunce presso S.Maria di Budriolo, vicino a Cesena. Mentre egli fino alla sua morte visse la maggior parte del tempo da eremita, i suoi seguaci, che dal 1255 seguirono la regola agostiniana, girarono per la Lombardia e la Romagna predicando e mendicando come i Francescani ed i Brettinesi. Diversamente da quanto accadde ai Brettinesi, la tensione fra le intenzioni eremitiche del fondatore e la pratica apostolica degli anni successivi condusse a "multiplices contestationes et discordiae", cioè ad uno scisma dell'Ordine, al quale fu possibile porre fine soltanto con uno compromesso in cui Lanfranco da Milano fu eletto priore generale. In contrapposizione a questi gruppi di eremiti, per quanto riguarda gli Eremiti Agostiniani di Toscana si trattava di gruppi di eremiti non omogenei ed indipendenti gli uni dagli altri, e che risalivano in parte agli Eremiti Canonici dell'XI e del XII secolo. Solo nel 1244 essi erano stati riuniti in un unico Ordine secondo la regola agostiniana, e nel 1256 contavano più di 70 case, cosicchè erano il più importante dei gruppi convocati dal cardinale Riccardo. Quando, nell'aprile del 1256, i rappresentanti dei gruppi eremitici citati si riunirono in S. Maria del Popolo, venne loro presentato lo scopo del raduno, che non era stato ancora formulato in modo preciso nella bolla d'invito. Il cardinale, in nome del Papa, esortò gli eremiti a sciogliere le congregazioni in cui fino ad allora si erano riuniti, e ad unirsi in un unico Ordine. Dopo discussioni la cui vivacità si può soltanto immaginare, gli eremiti aderirono al progetto papale di unificazione: era sorto il nuovo Ordine degli Eremiti Agostiniani. Come conclusione del capitolo, Alessandro IV emanò, il 9 aprile 1256, la bolla "Licet ecclesiae catholicae", nella quale vennero riportate le conclusioni dell'assemblea e venne approvato il nuovo Ordine.
Le donominazioni dei singoli gruppi di eremiti e congregazioni usate fino ad allora, vennero sostituite da quella comune di "Ordo Fratrum Eremitarum S. Augustini", tutte le Osservanze in vigore fino ad allora furono dichiarate nulle, e al loro posto fu riconosciuta come regola generalmente vincolante la regola agostiniana e Costituzioni proprie formulate poco più tardi. Affinchè l'unità giuridica fosse completa, tutti i privilegi conferiti ai singoli gruppi furono trasferiti all'intera unione. Per manifestare l'unità anche verso l'esterno, al posto dei diversi abiti dei vari Ordini, che, a causa della loro somiglianza con quello dei frati minori, avevano dato luogo a confusione e a contrasti, subentrò un unico abito: la "cuculla nigra cum zona cincta". Al vertice del nuovo Ordine subentrò colui che fino ad allora era stato il priore generale dei Zambonini, Lanfranco da Milano, il quale tuttavia non fu eletto dall'assemblea; fu la Curia a conferirgli questo incarico. Gli vennero riconosciuti ampi poteri, di includere nella unione le case non presenti alla riunione in S. Maria del Popolo, e di vincere eventuali resistenze mediante punizioni imposte dalla chiesa. Al suo fianco era il cardinale Riccardo Annibaldi, il vero promotore dell'unificazione, al quale Alessandro IV trasferì il protettorato sull'Ordine e tutti i poteri che competevano al cardinale protettore dei Francescani, in questo caso ad Alessandro IV stesso. Con questa unificazione, fino ad allora mai avvenuta, la Curia perseguiva diverse finalità. Essa volle condurre ad unità e ad un chiaro ordinamento il gran numero di eremi e di comunità eremitiche, che popolavano l'Italia ed i territori ultramontani seguendo regole differenti e consuetudini differenti per quanto riguardava la condotta di vita e l'abito, e volle porre fine alle loro discordie nella compagine di un unico Ordine: "sic appareat distincta diversitas, ut non sit confusio indescreta...sed singula queque certum proprii modi Ordinem sortiantur". Contemporaneamente la Curia volle portare a compimento un'altra tendenza già emersa nella storia delle congregazioni unite. Essa si propose di fare dei gruppi eremitici un Ordine di semplici pastori d'anime, nel quale la vita lontano dal mondo doveva assolutamente passare in seconda linea di fronte alla opere della vita apostolica, compiti questi, che al Papa ed all'esperto cardinale Riccardo Annibaldi, in un periodo di disordine e di sovvertimento politico e religioso, dovevano sembrare più urgenti ed utili rispetto alla tensione alla salvezza personale.
In base all'esempio degli Ordini questuanti - la cui forma organizzativa divenne il modello dello sviluppo organizzativo dell'Ordine degli Eremiti Agostiniani - dalle pecore "erranti " doveva nascere un gregge, e da deboli gruppi doveva costituirsi un esercito compatto quale arma "ad hostiles spiritualis nequitie impetus conterendos", come viene felicemente detto nella bolla "Licet ecclesiae catholicae". A tale scopo provvidero direttamente una serie di disposizioni emanate dopo la conclusione delle assemblee di unificazione, che promossero l'attività pastorale mediante privilegi, che prescrivevano il trasferimento dei conventi di campagna nelle città, e che richiedevano una rigida pratica della povertà. Con tali pretese in contrasto con la pratica fino ad allora tipica di una parte degli eremiti, la Curia, stando alla testimonianza dello storico agostiniano Giordano von Quedlinburg, destò fra gli eremiti disordine e contrasti. In ciò potevano sentirsi solidali con i Carmelitani, che alcuni anni prima, sotto Simone Stock, avevano dovuto adeguare la loro regola eremitica agli incarichi pastorali - disposizione questa che anche i Serviti eseguirono e che i Camaldolesi temettero, nel momento in cui chiesero alla Curia l'approvazione della loro autonomia e della condotta di vita tenuta fino ad allora. Mentre i Zambonini, i Brettinesi e gli Eremiti Agostiniani, come i Carmelitani ed i Serviti, si rassegnarono a questo nuovo sviluppo ed in seguito cercarono di difendere il più possibile molto della loro identità, e nel nuovo ordine pastorale, di creare all'eremitismo una dimora per vie traverse ed in forma diversa, i Guglielmiti opposero energicamente resistenza. A quel tempo dovevano già aver saputo che con l'adesione a tale unione, con l'accettazione di una denominazione d'Ordine a loro estranea e con la perdita del loro abito, della loro regola e delle loro Costituzioni, avrebbero rinunciato alla storia vissuta fino ad allora, all'eredità di Guglielmo di Malavalle. Una rottura, questa, che la rinuncia alla proprietà comune dell'Ordine, decisa nell'ambito dell'assemblea di unificazione, ed il fatto che, se per Zambonini e Brettinesi questa decisione significava soltanto una conferma della pratica di povertà fino ad allora seguita, per gran parte degli insediamenti guglielmiti essa avrebbe determinato la perdita dei presupposti materiali per il loro modo di vivere eremitico-contemplativo. Già una volta, nel 1243, erano stati minacciati da questo pericolo, tuttavia quella volta erano sfuggiti al cambiamento del loro modo di vivere ed alla perdita della loro indipendenza. Quando infatti nel 1243 Riccardo Annibaldi, su incarico di Innocenzo IV, in una prima fase del progetto di unificazione realizzato nel 1256, aveva unito un gran numero di gruppi di eremiti che vivevano in Toscana secondo la regola agostiniana o senza alcuna regola particolare, alla congregazione già menzionata degli Eremiti Agostiniani, e lo aveva messo al servizio della "cura d'anime", i Guglielmiti erano stati espressamente esclusi dell'assemblea avente anch'essa luogo a Roma. Anzichè l'unificazione o lo scioglimento, Innocenzo IV aveva allora evidentemente ritenuto auspicabile l'addestramento dell'Ordine guglielmita. Il Papa, tuttavia, non aveva voluto liberare l'Ordine dei compiti pastorali. Su richiesta del clero universale, egli aveva ordinato ai Guglielmiti di adempiere ai doveri pastorali e di tenersi pronti, anche se non in linea di principio, tuttavia di volta in volta, per il servizio nella vigna del Signore.
Quando, dopo la morte di Innocenzo IV, l'influenza di Riccardo Annibaldi cominciò ad aumentare nell'ambito della Curia, e le difficoltà interne misero a repentaglio l'unità dell'Ordine, non si ebbe più riguardo per la particolare evoluzione dell'Ordine guglielmita, sebbene Alessandro IV, con la sua entrata in carica, lo avesse ancora riccamente privilegiato. Nel 1256 i rappresentanti dei Guglielmiti non furono in grado di sottrarsi alle pressioni della Curia e dell'assemblea di unificazione. Anche se riluttanti e titubanti, come essi nel 1266 chiarirono, aderirono tuttavia in maniera giuridicamente vincolante all'unione, che dovette portare con sè un grande mutamento per quanto concerne il modo di vivere che fino ad allora li aveva contraddistinti. Subito dopo il Capitolo di S. Maria del Popolo, non appena presero coscienza del significato dell'unificazione, essi tentarono di revocare la loro adesione e di annullare la sanzione papale nella bolla "Licet ecclesiae catholicae". Già dopo quattro mesi questi tentativi furono premiati. Il 22 agosto 1256 Alessandro IV, con la bolla "Licet olim", dimise i Guglielmiti dall'unione e permise loro di conservare lo "status" d'ordine di prima, e cioè di continuare a vivere secondo la regola benedettina e le Costituzioni del loro Ordine "in solito habitu". Nello stesso periodo furono liberati dall'onere di tutti i tributi e fu loro consentito di conservare la proprietà comune e di incrementarla "contraria consuetudine vel statuto...non obstante". Otto giorni dopo questa concessione - di cui non sappiamo in quali circostanze sia stata ottenuta dalla Curia - il Papa conferì, in un certo qual modo come ultimo sigillo, il privilegio "Religiosam vitam eligentibus", che, in modo finora unico nella cancelleria papale, confermava l'Ordine non più come "Ordo monasticus", ma come "Ordo eremiticus". Una definizione, questa, che rompeva con la tradizionale suddivisione degli Ordini in "Ordo monasticus" e "Ordo canonicus", e che, a partire dal XII secolo, tenendo conto della crescente molteplicità degli Ordini, riconosceva una terza possibilità, l'Ordine eremitico. L'Ordine era salvo.
Nonostante la ritrattazione, la decisione di adesione promulgata nella bolla "Licet ecclesiae catholicae" non mancò di produrre i suoi effetti. Fra il 1256 e il 1266, in Germania, i conventi di Bedernau, Schoental, Seemannshausen, Weissenborn, Waldboeckleheim, Oberried, Wilhelmsthal, Lippene ed Holte si unirono al nuovo Ordine, e li seguirono i conventi boemi ed ungheresi di Ostrov, Stockau e Komar, mentre le case francesi, olandesi ed italiane non tennero conto della bolla. Una parte di questi conventi, per lo più ancora in fase di sviluppo, dall'annessione all'Ordine agostiniano e dal trasferimento nelle città ad essa collegato, sembra si aspettasse dei vantaggi, altri rinunciarono alla propria indipendenza soltanto coercitivamente e dopo aver opposto resistenza. Ancora nel 1263, sia il convento di Schoenthal che quello di Seemannshausen, entrambi della diocesi di Regensburg, contrariamente alle esplicite proteste dei loro abitanti e per iniziativa del provinciale agostiniano Guido Salanus, furono costretti alla fusione dal vescovo di Regensburg Leo Thundorfer, (il) commissionario di allora e rappresentante dei diritti degli Eremiti Agostiniani. Con il consenso dei Francescani e dei Domenicani, consultati nell'ambito della valutazione dei rapporti giuridici, il vescovo si richiamò alla bolla "Licet ecclesiae catholicae" senza attribuire alcun valore giuridico alla sua revoca. Allo scopo di porre fine a questa incertezza giuridica e di impedire che scissioni mettessero in pericolo la sostanza dell'Ordine, il vertice di quest'ultimo si rivolse ripetutamente alla Curia, chiedendo di affermare anche nella pratica il privilegio, accordato nel 1256, di poter rimanere nel "solito statu". Alessandro IV ed il suo successore Urbano IV rinnovarono di conseguenza le bolle "Licet olim" e "Religiosam vitam eligentibus", vietarono tassativamente l'apostasia di singoli membri e la caduta di interi conventi verso l'Osservanza più facile, la "levior pugna" degli Eremiti Agostiniani.
L'abuso di Guido Salanus consentito da Leo Thundorfer sembra avesse portato la tensione fra i due Ordini a tal punto, che nella Curia si affermò la convinzione che un'ulteriore proroga della questione avrebbe potuto generare "redivivae contentionis". Clemente IV perciò, nel 1266, invitò entrambe le parti a Roma, affinchè chiarissero definitivamente il loro contrasto, ed affidò al cardinal Savelli l'attuazione del processo in cui Giovanni di Linsen e Guido Salanus, dal 1256 priore provinciale degli Eremiti Agostiniani, rappresentarono rispettivamente i Guglielmiti e gli Eremiti Agostiniani. Le trattative non condussero, in un primo momento, ad alcun risultato, poichè i Guglielmiti contestavano la legittimità della procura del priore generale Guido Salanus, il quale esigeva assolutamente per sè il diritto di rappresentare i conventi guglielmiti incorporati nel suo Ordine. Il Papa cercò di giungere ad un risultato, incaricando il cardinale Stefano d'Ungheria, cardinale protettore dei Guglielmiti, di trovare un compromesso. L'esito di tale compromesso, che fu concordato fra i due cardinali protettori Stefano d'Ungheria e Riccardo Annibaldi, venne notificato ed approvato da Clemente IV nell'agosto del 1266. In base ad esso, i tre conventi, molto spesso citati, di Marienpforte, Weissenborn ed Oberried, dovevano essere restituiti all'Ordine guglielmita, mentre tutti gli altri conventi oggetto di contrasti dovevano rimanere all'Ordine agostiniano qualora si trovassero nel "regnum Alemaniae et Ungariae". I conventuali dei tre conventi, che dopo la fusione avevano abbandonato i voti o che nel frattempo si erano recati in un altro monastero agostiniano, fino ad un determinato momento furono lasciati liberi di decidere se ritornare o meno all'interno dell'Ordine guglielmita. Per porre fine una volta per sempre alla lotta fra i due Ordini, la Curia privò i priori generali di qualsiasi possibilità di revisione attraverso l'imposizione di un "silentium perpetuum". Lo stesso scopo aveva il divieto tassativo di metter piede, "praetextu unionis vel aliqua causa", nei quattro conventi in discussione, e di ammettere professi provenienti da uno dei due Ordini. Oltre alla comminazione di censure ecclesiastiche e di una forte ammenda, i conventi contesi dovevano essere considerati come pegno, nel senso che i Guglielmiti sarebbero stati privati dei tre conventi menzionati e gli Agostiniani dei rimanenti, qualora si fossero resi colpevoli di una violazione della disposizione papale. L'esito delle trattative del 1266 fu sfavorevole ai Guglielmiti. Non va tuttavia delineato come ingiusto o come un impedimento allo sviluppo dell'Ordine.
Sotto Guido Salanus, che a quel tempo era ancora provinciale della provincia tedesca, i conventi guglielmiti annessi, che nel 1256 erano ancora agli inizi, avevano avuto un rapido sviluppo. In parte erano stati esentati per quanto riguarda l'adattamento, disposto dalla Curia, degli Agostiniani all'attività pastorale, ed erano stati trasferiti in città vicine. In questi casi l'investimento personale e materiale degli Eremiti Agostiniani era stato talmente grande, che la restituzione dei conventi contesi sarebbe stata una pretesa ingiusta nei loro confronti. Obiettivamente, tuttavia, quella dei Guglielmiti non fu una vera e propria perdita di sostanza, dal momento che i conventi perduti erano più che altro delle succursali molto lontane che non sarebbe stato opportuno mantenere più a lungo, e che avrebbero soltanto accelerato il processo di dissoluzione dell'Ordine nella dispersione, già di per sé grande, dei conventi. Le trattative del 1266 portarono ad una chiara e durevole separazione dei due Ordini affini per quanto riguarda la loro origine. Contemporaneamente stabilirono l'autonomia dell'Ordine guglielmita ed il suo carattere eremitico-monastico, che fino ad allora, nonostante il riconoscimento come "Ordo eremiticus" non era ancora stato assicurato in maniera definitiva. Una volta superato questo pericolo che minacciava l'esistenza dell''Ordine, venne alla luce il contrasto, già evidenziato, fra il ramo italiano dell'Ordine e quello ultramontano, che cominciarono ad allontanarsi l'uno dall'altro, se non in linea di principio, per alcuni sviluppi particolari. Tale contrasto ebbe una chiara ripercussione nelle Costituzioni, il cui sviluppo giunse a termine nel 1271, alcuni anni dopo la delimitazione ed il consolidamento della stabilità esterna.