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monaci e cultura agostiniani nel medioevo: Prospero d'Aquitania

Processione di monaci agostiniani in un affresco marchigiano del XIV secolo

 

Agostino ascolta sant'Ambrogio

 

 

PROSPERO D'AQUITANIA

Uno dei primi sostenitori del pensiero agostiniano

(390 Limoges - 455)

 

 

 

Già negli ultimi anni della sua vita, ma soprattutto dopo la sua morte avvenuta nel 430, la memoria di Agostino fu ben presto oggetto della profonda ammirazione e venerazione di contemporanei e posteri. L'opera di Possidio ne costituì il primo esempio, subito affiancato dalla attività letteraria di Prospero d'Aquitania, un teologo di origini gallo-romane che morì verso il 455. Prospero, o meglio Tirone Prospero, era nato intorno al 390 a Limoges in Aquitania e dalle sue opere si arguisce che percorse l'abituale corso di studi classici, in una Gallia ancora fiorente nell'istruzione, immagine di quella che già nel I secolo Plinio aveva chiamato "un'Italia, piuttosto che una provincia".

Il contenuto di un suo poema in 122 versi, il "Poema coniugis ad uxorem" lascia intendere che da giovane doveva essersi sposato. Prospero probabilmente ebbe moglie, cosa che non impediva, a quel tempo, di accedere al sacerdozio e anche all'episcopato. Ma nel caso di Prospero, non sembra che egli sia stato ordinato sacerdote. Non è noto perché dall'Aquitania si sia spostato a Marsiglia, dove passò gran parte della sua vita come monaco laico, senza alcuna carica e grado ecclesiastico. Le testimonianze letterarie del V secolo sono assai utili per comprendere la diffusione della popolarità di Agostino in tutto l'impero romano. Nella fattispecie possiamo ricavare interessanti conoscenze sulla accoglienza goduta dal pensiero agostiniano presso i suoi contemporanei.

Non mancarono certo oppositori, il che mostra la fecondità della sua opera, che trovò in Prospero d'Aquitania un efficace discepolo. Prospero anche se non conobbe S. Agostino di persona, ne fu amico e in varie occasioni difese il suo pensiero sulla dottrina della grazia. Quando gli furono note le reazioni suscitate da questa dottrina nei vari monasteri di Marsiglia e della Provenza e lo informò con lettera dei commenti e del suo operato. In quest'opera ebbe il sostegno di un altro laico Ilario. Già attorno al 426 Prospero compose un volumetto, il Carmen de ingratis, redatto in 1002 esametri, dove assunse le difese di Agostino contro alcuni monaci di Marsiglia e di Lérins, che avevano cercato di contestare le argomentazioni sostenute dal vescovo di Ippona, riguardo alle tematiche della grazia e della predestinazione.

In questo scritto egli rielaborò alcune riflessioni che aveva già esposto in una sua precedente lettera indirizzata a Rufino (cfr. J. P. MIGNE, Patrologiae cursus completus, Series latina, Parigi, 1844-1864, 51, 91-148 e 77-90). Tre anni dopo, nel 429 chiese addirittura delle spiegazioni supplementari direttamente ad Agostino (J. P. MIGNE, op.cit., 51, 67-74 ; Epist. 225-226, Corpus Scriptorum ecclesiasticorum latinorum, Vienna 1866, 57, 454-481. Cfr. anche J. Chéné, in Bibliothèque augustinienne, Livres de S. Augustin, Parigi 1939, 24, 390), che gli rispose con il Praedestinatione sanctorum e il De dono perseverantiae, due testi che originariamente costituivano una sola opera, l'ultima scritta dal grande Dottore della Chiesa prima che morisse (28 agosto 430). Prospero ne fece l'apologia in un altro suo scritto, il Pro Augustino responsiones ad excerpta Genuensium (J. P. MIGNE, op.cit., 51, 187-202) redatto per la necessità di controbattere alcune obiezioni sollevate da due sacerdoti di Genova, Camillo e Teodoro. Il suo sforzo in difesa dell'opera di Agostino non ottenne però quei risultati che si aspettava. Neppure la morte di Agostino placò le critiche alla sua dottrina degli oppositori che si facevano chiamare Marsigliesi. In Provenza si sviluppò una reazione antiagostiniana la cui ampiezza e durata si spiegano forse con l'atteggiamento di certi discepoli di Agostino che tendevano a rendere Dio responsabile non solo della santità umana ma anche dei suoi peccati. Prospero denuncia le deformazioni della dottrina agostiniana, sia che vengano da avversari di Agostino o dai suoi discepoli senza giudizio. Poiché era forte il desiderio di una condanna formale delle idee professate a Marsiglia e a Lérins, Prospero ed Ilario decisero di recarsi a Roma per sollecitare l'intervento di papa Celestino I (431) per condannare le dottrine dei maestri provenzali.

Questi indirizzò una lettera ai vescovi della Gallia nel tentativo di porre fine alle critiche degli oppositori, sostenendo il pensiero di Agostino e la sua stessa persona scrivendo che uomo di tanto sapere, che anche i miei predecessori lo annoverarono fra i migliori maestri. L'accorato appello alla concordia di Papa Celestino I (J. P. MIGNE, op. cit. 50, 528-530) rimase tuttavia senza alcun effetto. Cassiano infatti potè pubblicare il suo Commonitorium così come Arnobio il Giovane rese pubblico il suo Praedestinatus. Una tale situazione spronò ulteriormente Prospero a replicare, assumendosi le difese di Agostino. Videro così la luce uno dopo l'altro i trattati De Gratia et libero arbitrio contra Collatorem (J. P. MIGNE, op. cit., 51, 213-273) e Pro Augustino responsiones ad capitula obiectum Gallorum calumniatum (J. P. MIGNE, op. cit., 51, 155-174) e Pro Augustino responsiones ad capitula obiectionum Vincentianum (J. P. MIGNE, op.cit., 51, 177-186), portati a termine tra il 432 e il 434.

Fino al 440 troviamo Prospero impegnato a comporre un gran numero di scritti teologici sempre rispondendo alle diverse calunnie e obiezioni contro S. Agostino, coinvolgendo anche i papi che si succedevano a Roma e fu proprio papa Leone I Magno, che trovandosi in Gallia, dispose che Prospero lo seguisse a Roma e lo impegnò nella cancelleria pontificia (440). Qui ritrovò la tranquillità dello spirito, non si occupò più delle controversie sulla Grazia, anche perché morto nel 435 Cassiano, il maggiore oppositore di Marsiglia, la disputa si placò. Prospero poté così dedicarsi alla diffusione del pensiero agostiniano e quindi sul polemista, prevalse l'esegeta, il compilatore, il cronista. Dopo il suo trasferimento a Roma, nel 450 ebbe nuovamente l'opportunità di ritornare sul problema della Grazia nel suo De vocatione omnium gentium (J. P. MIGNE, op.cit., 51, 647- 722). In questa occasione tuttavia mitigò il rigore della dottrina agostiniana e fece alcune concessioni ai suoi avversari. Autore in prosa, le sue opere si contano a centinaia, commenti, sentenze, epigramma, esposizione dottrinale in versi. Compose a Roma anche l'unica opera che non parla di S. Agostino, il Chronicum integrum, una cronaca universale dalle origini fino alla presa di Roma da parte di Gianserico (455).

Poco prima di morire Prospero compilò una raccolta di sentenze, il Liber sententiarum ex operibus S. Augustini deliberatum (J. P. MIGNE, op. cit., 51, 427- 496), in 392 artico1i, che, secondo un procedimento letterario a lui caro, riscrisse in distici negli Epigrammata S. Augustini (J. P. MIGNE, op. cit., 51, 497-532). L'attaccamento di Prospero al maestro Agostino rimase immutato per tutta la sua vita, per quanto il suo pensiero abbia subito nel tempo qualche variazione. A Roma, Prospero d'Aquitania sarebbe stato collaboratore e scrivano del Papa Leone I, detto Leone Magno. Per questo viene considerato modello dei segretari, ed è stato dato come Patrono a tutti i segretari. e naturalmente alle segretarie. Non solo: il Santo francese è considerato anche uno dei Patroni dei poeti, per i suoi delicatissimi versi d'amore. D'amor umano, rivolto a una donna, ma considerato e cantato come unione di anime oltre che di corpi; come armonia spirituale oltre che dei sensi.

Prospero morì verso il 463 e l'unico cenno di un culto resogli nell'antichità è un affresco nella basilica di S. Clemente a Roma, che lo raffigura con un aureola intorno alla testa, con i capelli tagliati a forma di corona dei monaci, con addosso una tunica a maniche larghe stretta ai fianchi da una cintura. La pittura chiaramente presenta la figura di un monaco. E' fuor di dubbio che si tratta proprio di Prospero, perché in quella basilica papa Zosimo nel 417, condannò il pelagianesimo e i semipelagiani, di cui il grande scrittore fu fiero confutatore. Da principio agostiniano intransigente, in reazione a Cassiano e ai lerinesi, Prospero attenuò poi le sue espressioni e mitigò la sua dottrina, probabilmente sotto l'influsso di S. Leone, pervenendo infine intorno ai problemi della Grazia e della predestinazione a concezioni più moderate. Certamente fu un appassionato sostenitore della dottrina di Sant'Agostino sulla Grazia e sulla predestinazione: le sue opere sono praticamente l'unica fonte che ci fornisce notizie sulla sua persona e sulla sua attività di scrittore che lo occupò per la maggior parte della sua vita. Per difendere la dottrina della Grazia e della predestinazione elaborata da S. Agostino, Prospero diventò egli stesso teologo di rara grandezza, focalizzando il suo pensiero fondamentalmente su due temi: l'universalità della volontà salvifica di Dio e la predestinazione. In questa prospettiva egli sosterrà che Dio concede a tutti gli uomini la grazia sufficiente per salvarsi. Nello stesso tempo negherà con intransigenza la predestinazione al peccato e alla perdizione: Dio non ha colpe della dannazione, ma coloro che si perdono, lo fanno di loro volontà. A Prospero bisogna riconoscere la chiarezza espositiva, e lo sforzo comunicativo di rendere accettabili i rigidi e fermi principi agostiniani, che per questo sono stati spesso fraintesi e non solo dagli eretici.

Poco più tardi, nel 529, il concilio di Orange privilegiò la sua opera dottrinale a favore di Agostino e ricavò la maggior parte dei suoi canoni proprio dal Liber sententiarum (in epoca carolingia la sua opera fu tenuta in grande considerazione, specialmente dai teologi. Cfr. per maggiori particolari L. VALENTIN, St. Prosper d'Aquitaine, Tolosa 1900; M. CAPPUYNS, Le premier représentant de l'augustinisme médioéval, Prosper d'Aquitaine in Recherches de théologie ancienne et médioévale, I, 1929, 309-337). In tale occasione infatti fu sanzionata la definitiva condanna del movimento lerinista, noto anche sotto il nome di semi-pelagianesimo. Sarà in qualche modo la vittoria postuma di Prospero. Ai fini della nostra indagine l'attività letteraria di Prospero ha il merito di fornire qualche indicazione sulla vita di Agostino, che rinverdisce a breve distanza di tempo la analoga e felice testimonianza di Possidio. La sua Cronaca, per quanto contenga qualche inesattezza nella cronologia complessiva (cfr. O. PERLER, Les voyages de Saint Augustin, Paris 1969, 166-168), registra gli avvenimenti della vita di Agostino con singolare precisione e con qualche particolare in più del solito, come é lecito aspettarsi da un amico e fedele discepolo.

Le note tuttavia, trattandosi di una Cronaca, sono in ogni caso molto brevi e scarne. Esse ci introducono alla conoscenza degli episodi essenziali della vita di Agostino, quali la nascita (PROSPERO D'AQUITANIA, Epit. Chronic., 1304, ed. Th. Mommsen, Chronica minora I, MGH, Auctores antiquissimi, 9, Berlin 1892), l'elezione episcopale (PROSPERO D'AQUITANIA, op .cit., 1202-1207 : "Augustinus beati Ambrosii discipulus multa facundia doctrinaque excellens Hippone (regio) in Africa episcopus ordinatur"), e la morte (PROSPERO D'AQUITANIA, op. cit., 1304 : "Theodosio XIII et Valentiniano III ... Aurelius Augustinus episcopus per omnia excellentissimue moritur V Kal.Sept. libris Iuliani inter impetus obsidentium Wandalorum in ipso dierum suorum fine respondens et gloriose in defensione Christianae gratiae perseverans").

La laconicità di Prospero non deve meravigliare, poiché oggetto della sua opera non é la vita del santo, quanto piuttosto la storia contemporanea, nel cui svolgersi gli episodi citati hanno costituito tappe altrettanto fondamentali, capaci di mutarne il corso. L'opera e l'attività di Agostino apparivano dunque eccezionali già ai suoi contemporanei, i quali non mancavano occasione per rimarcarlo.

 

[a. 454]

Inter Valentinianum Augustum et Aetium patricium post promissae invicem fidei sacramenta, post pactum de coniunctione filiorum, dirae inimicitiae convaluerunt, et unde fuit gratia caritatis augenda, inde exarsit fomes odiorum, incentore, ut creditum est, Heraclio spadone, qui ita sibi imperatoris animum insincero famulatu obstrinxerat, ut eum facile in quae vellet impelleret. Cum ergo Heraclius sinistra omnia imperatori de Aetio persuaderet, hoc unum ereditum est saluti principis profuturum, si inimici molitionem suo opere praeoccupavisset, unde Aetius imperatoris manu et circumstantium gladiis intra palatii penetralia crudeliter confectus est, Boetio praetorii praefecto simul perempto, qui eidem multa amicitia copulabatur.

 

[a. 455]

Mortem Aetii mors Valentiniani non longa post tempore consecuta est, tam imprudenter non declinata, ut interfector Aetii amicos armigerosque eius sibimet consociaret. Qui concepti facinoris opportunitatem dissimulanter aucupantes egressum extra urbem principem et ludo gestationis intentum inopinatis ictibus confoderunt, Heraclio simul, ut erat proximus, interempto et nullo ex multitudine regia ad ultionem tanti sceleris accenso, ut autem hoc parricidium perpetratum est. Maximus vir gemini consulatus et patriciae dignitatis sumpsit imperium qui cum periclitanti rei publicae profuturus per omnia crederetur, non sero documento, quid animi haberet, probavit, si quidem interfectores Valentiniani non solum non plecterit, sed etiam in amicitiam receperit uxoremque eius Augustam amissionem viri lugere prohibitam intra paucissimos dies in coniugium suum transire coegerit. Sed hac incontinentia non diu potitus est. Nam post alterum mensem nuntiato ex Africa Gisirici regis adventu multisque nobilibus ac popularibus ex urbe fugientibus eum ipse quoque data cunctis abeundi licentia trepide vellet abscedere, [septuagesimo septimo adepti imperii die] a famulis regiis dilaniatus est et membratim deiectus in Tiberim sepultura quoque caruit. Post hunc Maximi exitum confestim secuta est multis digna lacrimis Romana captivitas et urbem omni praesidio vacuam Gisiricus optinuit, occurrente sibi extra portas sancta Leone episcopo, cuius supplicatio ita eum deo agente lenivit, ut, cum omnia potestati ipsius essent tradita, ab igni tamen et caede atque suppliciis abstineretur, per quattuordecim igitur dies secura et libera scrutatione omnibus opibus suis Roma vacuata est multaque milia captivorum, prout quique aut arte placuerunt, cum regina et filiabus abducta sunt.

 

da Prospero d'Aquitania, Cronaca

 

 

[a. 454]

Fra l'Augusto Valentiniano ed il patrizio Ezio, dopo giuramenti di reciproca lealtà, dopo un contratto di matrimonio tra i figli, si sviluppò una inimicizia profonda. Piuttosto che migliorare l'armonia divampò invece l'odio, su istigazione, si dice, dell'eunuco Eraclio che, con una falsa servilità, aveva irretito l'animo dell'imperatore a tal punto da fargli fare facilmente ciò che voleva. Eraclio dunque insinuava all'imperatore i peggiori sospetti su Ezio, convincendolo che l'unica soluzione, per salvarsi, fosse quella di arrivare a prevenire le macchinazioni del nemico. Ezio venne dunque crudelmente assassinato nelle stanze interne del palazzo per mano dell'imperatore, con la complicità delle spade dei presenti. Insieme a lui venne assassinato il prefetto del pretorio Boezio, che gli era legato da grande amicizia.

 

[a. 455]

Alla morte di Ezio seguì, poco dopo, la morte di Valentiniano. Nessuna precauzione era stata presa per evitarla: anzi l'uccisore di Ezio si circondava degli amici e degli uomini d'arme dell'ucciso. Costoro, che aspettavano l'occasione di attuare il loro disegno criminoso, colpirono il principe di sorpresa, mentre faceva una passeggiata in lettiga fuori città, senza che nessuno del suo folto seguito si opponesse a vendicare tale delitto. Con lui fu ucciso anche Eraclio, che gli era vicino. Perpetrato questo crimine, l'impero fu assunto da Massimo, che aveva la dignità di patrizio e che era stato console per due volte. Tutti erano convinti che avrebbe lavorato per il bene dello stato in pericolo, ma presto dimostrò con l'evidenza dei fatti ciò che aveva in animo, poiché non punì gli uccisori di Valentiniano. Al contrario li accolse fra gli amici, e proibì alla vedova di piangere la morte del marito, costringendola, dopo pochi giorni, a passare a nuove nozze con lui. Ma non godette a lungo i frutti della sua avidità. Infatti, due mesi dopo, alla notizia dell'arrivo dall'Africa di Genserico, mentre molti, aristocratici e popolani, fuggivano dalla città e mentre anche lui, dopo aver dato a tutti il permesso di partire, cercava di mettersi in salvo, fu fatto a pezzi dagli addetti al servizio regio ed a pezzi fu gettato nel Tevere, privo così di sepoltura. Alla morte di Massimo seguì una miserevole conquista di Roma, poiché Genserico occupò la città ormai priva di ogni difesa. Il santo vescovo Leone gli andò incontro alle mura e, per volontà di Dio, le sue preghiere impietosirono Genserico che si astenne dal compiere incendi, stragi e supplizi, pur potendolo fare. Per quattordici giorni, con una ricerca minuziosa mai ostacolata, Roma fu svuotata delle sue ricchezze e molte migliaia di prigionieri, che piacquero per l'età o per la professione, furono condotti a Cartagine, insieme all'Augusta e alle sue figlie.

 

da Prospero d'Aquitania, Cronaca