Ippona: La Basilica di sant'Agostino
vista dai resti della città romana.
EPISTOLA 211
di Agostino
In questa lettera, scritta verso il 424, Agostino richiama alla concordia le monache del monastero di Ippona che avevano provocato una ribellione mentre cercavano di cambiare la superiora. Agostino depreca le discordie e le rivalità tra le suore, prescrivendo loro una possibile regola di vita monastica. I fatti cui accenna Agostino nella prima parte della lettera si verificarono dopo la morte di sua sorella, che aveva retto santamente il grande monastero femminile di Ippona per molti anni. Nella comunità era scoppiato un conflitto, degenerato poi in una piccola rivolta contro la nuova superiora, Felicita, forse in occasione di una lagnanza fatta da costei a qualche monaca. Agostino aveva già scritto alle monache su questa questione l'Epistola 210, ma la lettera non ottenne però l'effetto desiderato.
Agostino si trovò costretto a scrivere allora la Lettera 211 senza andare di persona a parlare con le suore. La lettera esprime il grande dolore del Santo per l'accaduto ed una esortazione alla concordia. Il contenuto della Lettera 211 anticipa la Regola di S. Agostino e anzi da taluni autori è considerata la vera e propria regola agostiniana.
La lettera è sostanzialmente divisa in due parti: la prima (n. 1-4) contiene una riprensione (obiurgatio) mentre la seconda (n. 5-16) contiene un "libretto" di norme per la vita monastica (informatio).
La Regola
La distinzione tra le due parti è resa ancor più evidente da alcuni antichi manoscritti che inseriscono un explicit al termine della prima e un incipit all'inizio della seconda. Quest'ultima parte, che contiene appunto la Regola e che come tale fu dettata, cioè come norma stabile di vita monastica, ci è pervenuta in due testi identici e diversi: identici nel contenuto e diversi nella forma. La differenza consiste essenzialmente nel genere femminile e maschile. Che si tratti di un solo testo - e quindi di un solo autore - non c'è dubbio. L'autenticità del testo della Regola non è in questione. Ma qual è la forma originale ? Cioè, quali furono i primi destinatari di questo celebre e prezioso "libretto" ?
Nel passato l'opinione prevalente era a favore delle monache, cioè delle sanctimoniales, cui era diretto il testo inserito in questa lettera. Ma oggi la critica, dopo lunghi e attenti studi, propende per la priorità del testo diretto ad servos Dei, cioè ai monaci. Il codice di Corbie, che risale al secolo VIII ed è il più antico, lo riporta appunto in maschile e termina con un Explicit Regula S. Augustini episcopi.
Lo studio critico più importante e ormai indispensabile su questo tema è quello di P. LUCA VERHEIJEN, La Règle de Saint Augustin, I: Tradition manuscrite; II: Recherches historiques, Parigi 1967.
Per una breve sintesi delle questioni principali del medesimo argomento si veda anche AGOSTINO TRAPÉ, S. Agostino - La regola, Milano 1971.
EPISTOLA 211
Premessa
1. Come la severità è pronta a punire le trasgressioni che può incontrare, così la carità non vorrebbe trovare trasgressioni da punire. Ecco perché non mi sono recato da voi quando reclamavate la mia presenza non già per farvi gustare la gioia della vostra concordia, ma per aumentare la vostra discordia. In qual modo infatti avrei potuto disinteressarmi e lasciare impunita, qualora fosse scoppiata, anche in mia presenza, una ribellione così grave come quella che, se non vi ho assistito con i miei occhi, perché ero assente, tuttavia ha colpito le mie orecchie con i vostri strepiti? Se mi fossi trovato in mezzo a voi, la vostra rivolta sarebbe stata forse anche più grave, poiché sarei stato costretto ad opporre un netto rifiuto a quanto chiedevate, perché sarebbe stato un precedente dannosissimo alla sana disciplina regolare e per nulla utile al vostro bene e così vi avrei trovate disposte come io non vi vorrei trovare e voi stesse avreste trovato me disposto come non mi avreste voluto.
2. Come dunque scrive l'Apostolo ai fedeli di Corinto: «Chiamo Dio a testimonio della mia vita che non sono più venuto a Corinto per avere riguardo di voi. Non è vero che vogliamo far da padroni sulla vostra fede; noi al contrario siamo cooperatori della vostra gioia», così anch'io dico che non sono venuto tra voi per avere riguardo per voi. Io però ho avuto riguardo anche verso me stesso «affinché non avessi tristezza su tristezza»; invece di mostrarvi il mio volto, ho preferito sfogarmi con Dio per voi e trattare la questione, assai pericolosa per voi, non già a parole con voi, ma con le lacrime davanti a Dio, perché non voglia cambiare in tristezza la gioia che sono solito godere di voi e trovare talvolta consolazione tra tanti scandali, di cui è pieno questo mondo, pensando alla vostra numerosa comunità, al vostro casto affetto, alla vostra santa vita, alla speciale grazia largitavi da Dio non solo di rinunciare alle nozze terrene, ma di preferire di abitare perfettamente concordi nella comunità della casa di Dio, per essere tutte un cuore solo e un'anima sola tesa verso Dio.
3. Considerando questi beni che voi possedete, questi doni di Dio, il mio cuore suole trovare quel poco di riposo che mi è possibile tra le numerose tempeste dalle quali è agitato a causa d'altri mali. Correvate bene; chi vi ha stregate? Questa persuasione non viene da colui che vi ha chiamate. Una piccola quantità di fermento ... . Non voglio dire quel che segue, poiché desidero piuttosto, e prego Dio, e vi esorto a far sì che il fermento si cambi in melio perché tutta la pasta non si cambi in peggio. Se dunque in voi sono rigerminati i buoni sentimenti, pregate di non soccombere nella tentazione, di non ricadere cioè nei litigi, nelle gelosie, nelle antipatie, nelle discordie, nelle maldicenze, nelle ribellioni, nelle mormorazioni. Noi infatti non abbiamo piantato in mezzo a voi il giardino del Signore né lo abbiamo irrigato, per poi temere da parte vostra simili spine. Se poi siete così deboli da continuare a essere agitate, pregate d'essere liberate dalla tentazione. Quelle però che mettono tra voi lo scompiglio, se ancora mettono scompiglio, se non si correggeranno, subiranno la condanna, chiunque esse siano.
4. Considerate quale sventura sia il fatto che, mentre ci rallegriamo dei Donatisti nell'unità della Chiesa, dobbiamo piangere scismi nell'interno del monastero. Perseverate nel buon proposito e non avrete più desiderio di cambiar la superiora. Durante la sua permanenza per tanti anni nel monastero siete cresciute non solo nell'età, ma anche nel numero; fu lei la madre che vi ha accolte non già nel seno ma nel cuore. Tutte voi che siete entrate nel monastero ve l'avete trovata e come suddita obbediente e gradita alla santa preposita mia sorella, oppure come la preposita stessa che vi ha accolte. Sotto di lei siete state educate, avete ricevuto il velo, vi siete moltiplicate, ed ora vi agitate perché vi sia cambiata, mentre dovreste piangere se noi volessimo cambiarla. E' la stessa che già conoscete, è la stessa alla quale vi siete presentate, è la stessa con cui siete cresciute per tanti anni. Colui che avete ricevuto come nuovo è solo il superiore. Se andate in cerca di novità per causa di lui e se vi siete ribellate alla vostra madre superiora solo per malanimo contro di lui, perché non avete chiesto piuttosto che fosse cambiato proprio lui ? Se invece inorridite di fronte a una simile eventualità, poiché so bene quanto gli volete bene e lo venerate in Cristo, perché non amate piuttosto la vostra madre? I principi da lui seguiti nella vostra direzione spirituale vengono talmente sconvolti ch'egli preferisce abbandonarvi anziché sopportare codesta odiosa maldicenza, che cioè si vada dicendo che voi non avreste cercato un'altra superiora, se non aveste cominciato ad avere lui come direttore spirituale. Calmi dunque Iddio e riconcilii i vostri animi; non prevalga in mezzo a voi l'azione del demonio, ma trionfi nei vostri cuori la pace di Cristo. Non vogliate correre verso la perdizione per il dolore dell'animo, perché non si compie quel che desiderate, o per il rimorso e la vergogna d'aver desiderato una cosa che non avreste dovuto desiderare, ma piuttosto pentitevi e tornate alla virtù; non abbiate però il pentimento di Giuda, il traditore, ma piuttosto le lacrime di Pietro, il pastore.
Le norme
5. Eccovi le norme che prescriviamo siano osservate da voi che vi trovate nel monastero. Il motivo principale per il quale siete riunite insieme è che viviate unanimi nella casa e formiate un cuor solo ed un'anima sola verso Dio; non dite nulla: E' mio, ma ogni cosa sia comune tra voi; dalla vostra superiora sia distribuito a ciascuna di voi il vitto e il vestiario, non però a tutte in uguale misura, poiché non tutte avete la medesima salute, ma ad ognuna secondo le sue necessità. Così infatti leggete negli Atti degli Apostoli: Essi avevano tutto in comune e veniva distribuito a ciascuno secondo le sue necessità. Coloro che, quando entrarono nel monastero possedevano qualcosa nel mondo, lo mettano di buon grado in comune: coloro che invece non ne possedevano, non cerchino di avere nel monastero ciò che non potevano avere neppure nel mondo. Tuttavia si vada incontro ai bisogni della loro insufficienza, quando è necessario, anche se la loro povertà, quando erano fuori, permetteva loro di procurarsi neppure l'indispensabile. Non per questo però si stimino ora felici per avere trovato un vitto e un vestiario che non potevano trovare nel mondo.
6. Non si montino neppure la testa per il fatto d'essere entrate nella comunità di coloro alle quali nel mondo non avrebbero neppure osato accostarsi, ma tengano il cuore in alto e non cerchino i beni terreni affinché i monasteri non diventino utili ai ricchi e non ai poveri, se quelli che vi si umiliano, questi invece vi si vantano. D'altra parte però, quelle che credevano d'essere qualcosa nel mondo, non disdegnino le loro consorelle che sono venute alla santa comunità da uno stato di povertà. Dovrebbero anzi vantarsi non tanto della dignità dei ricchi genitori, quanto di vivere nella comunità con le sorelle povere. Non devono inoltre nemmeno inorgoglire per avere portato qualcosa dei loro beni alla comunità e, ancor più, non debbono vantarsi delle loro ricchezze, per il fatto che vengono distribuite al monastero, anziché averle godute nel mondo. Ogni altro vizio infatti ci spinge a compiere azioni cattive, ma la superbia insidia anche le buone per guastarle. Che giova allora elargire i propri beni ai poveri e diventare poveri, se poi la misera anima, nel disprezzare le ricchezze, diventa più superba di quello che era quando le possedeva ? Vivete dunque tutte in perfetta concordia e onorate le une nelle altre Dio, di cui siete diventate il tempio.
La preghiera
7. Dedicatevi con diligenza alle preghiere nelle ore e nei tempi stabiliti. L'oratorio non sia usato se non per lo scopo a cui è destinato e da cui prende il nome. Se perciò qualcuna, avendone tempo, volesse pregare anche fuori delle ore stabilite, non ne venga impedita da chi volesse usarlo per qualche altro scopo. Quando pregate Dio con salmi e con inni, meditate col cuore ciò che proferite con la bocca. Non cantate se non ciò che è prescritto di cantare: evitate quindi di cantare ciò che non è scritto per essere cantato.
8. Domate la vostra carne con digiuni e con l'astinenza dal cibo e dalle bevande per quanto lo consente la salute. Ma se qualcuna non può digiunare, non prenda cibo fuori dell'ora del pasto se non quando è malata. Quando state a tavola, fin tanto che non vi alziate, ascoltate senza fare rumore e discussioni se non ciò che vi si legge secondo l'usanza, affinché non si sfami soltanto la gola, ma anche le orecchie abbiano fame della parola di Dio.
Attenzione alle più deboli
9. Se quelle che sono più delicate per il precedente tenore di vita vengono trattate diversamente nel vitto, ciò non deve recare fastidio nè sembrare ingiusto a quelle che un differente tenore di vita ha rese più robuste. Non devono neppure crederle più fortunate per il fatto che mangiano quello che non mangiano esse, ma debbono anzi rallegrarsi con se stesse, per essere capaci di una frugalità di cui quelle non sono capaci. Così pure, se a quelle che sono entrate nel monastero da abitudini più raffinate si danno cibi, abiti, letti e coperte che non si danno ad altre, che sono più robuste e perciò più fortunate, queste devono pensare quanto quelle siano scese dalla loro vita mondana per abbracciare questa, anche se non sono potute arrivare alla frugalità delle altre, che sono di costituzione fisica più resistente. Quelle più robuste poi non devono avere risentimenti nel vedere che le altre ricevono qualcosa di più, non perché in tal modo vengono onorate, ma perché vengono tollerate, per evitare quel detestabile disordine per cui nel monastero le ricche diventano mortificate e parsimoniose, mentre le povere diventano schizzinose.
D'altra parte però, allo stesso modo che le malate devono mangiare di meno per non aggravarsi, così durante la convalescenza debbono essere trattate in modo da potersi ristabilire al più presto, anche se provengono da una condizione di estrema povertà nel secolo, come se la recente indisposizione le avesse poste nello stesso stato di debolezza, cagionato alle ricche dal precedente tenore di vita. Ma una volta ristabilite in salute, riprendano la normale loro abitudine di vita, la quale è certo più felice poiché è tanto più consona alle serve di Dio, quanto minori sono le loro esigenze. Tosto che siano tornate vigorose, non rimangano attaccate al piacere dei riguardi a cui le avevano sollevate le esigenze che si devono alle inferme. Si stimino più ricche quelle che saranno più forti nel sopportare la frugalità, poiché è meglio avere meno bisogni che possedere più cose.
I vestiti
10. Il vostro abito non dia nell'occhio e non cercate di piacere per le vesti ma per il contegno. I veli per coprire la testa non siano tanto sottili da far vedere al di sotto le reticelle dei capelli. Da nessuna parte portate scoperti i capelli e non lasciateli liberi fuori del velo per trascuratezza nè acconciateli con ricercatezza. Quando uscite di casa, camminate insieme, e così pure rimanete insieme quando arriverete nel luogo al quale vi recate. Nel modo d'incedere o di stare in piedi, nell'abito, in ogni vostro atteggiamento, non vi sia nulla che adeschi la passione di alcuno, ma tutto sia consono alla vostra castità consacrata. I vostri occhi, anche se cadono su qualcuno, non si fissino su nessuno. Certo, quando uscite di casa, non vi è proibito di vedere degli uomini, ma solo di desiderarli o voler essere desiderate da loro. La donna viene desiderata e prova desiderio non solo col tatto, ma anche con l'affetto e con lo sguardo. Per conseguenza non dovete nemmeno dire di avere il cuore pudico qualora abbiate gli occhi impudichi.
Quando due cuori, anche senza scambiarsi una parola, si rivelano impudichi mediante scambievoli sguardi e, con vicendevole affetto, si compiacciono del desiderio carnale, addio castità, anche se i corpi sono rimasti intatti dalla immonda violazione. La donna che fissa lo sguardo su un uomo e si compiace d'essere guardata da lui, non pensi di non essere notata da altri, mentre agisce così: è veduta, e come! perfino da chi essa non immagina. Ma anche supposto che rimanga nascosta e che nessuno la veda, come si comporterà con Colui che scruta dall'alto e al quale non si può nascondere nulla? Si dovrà forse pensare che egli non veda per il fatto che nel vedere è tanto più paziente quanto più è sapiente? La donna consacrata abbia dunque timore di dispiacere a Dio. Per non desiderare di vedere impunemente un uomo, pensi che Dio vede tutto: ecco perché è stato raccomandato il santo timore di Dio dove sta scritto: Dal Signore è detestato chi fissa lo sguardo. Quando perciò vi trovate riunite in chiesa e dovunque si trovino anche degli uomini, custodite a vicenda la vostra pudicizia; così Dio, che abita in voi, vi proteggerà anche in questo modo, cioè per mezzo di voi stesse.
Il comportamento
11. E se avrete notato in qualcuna di voi questa petulanza degli occhi di cui parlo, ammonitela subito, affinché il difetto non progredisca, ma sia stroncato fin dal principio. Se poi, anche dopo l'ammonimento, la vedrete ripetere la stessa mancanza, in quel giorno o in qualunque altro, chiunque se ne accorga, la riveli subito come se si trattasse d'una persona ferita da guarire. Prima però la indicherà ad una seconda o ad una terza consorella, affinché possa essere accusata sulla testimonianza di due o tre persone e quindi indotta ad emendarsi, anche per mezzo di un'adeguata severità. Non dovete poi reputarvi malevole quando segnalate un simile difetto; poiché non sareste più benevole, se tacendo, permetteste la rovina delle vostre sorelle mentre potreste salvarle parlando. Se per esempio una tua compagna avesse un'ulcera nel corpo e volesse occultarla per paura d'una operazione chirurgica, non saresti crudele a non parlarne e pietosa a palesarla? Quanto più dunque devi denunziarla affinché non imputridisca più funestamente nel cuore?
Qualora però, dopo l'ammonizione, abbia trascurato di correggersi, prima di indicarla alle altre dalle quali dovrebbe essere convinta se negasse, deve essere segnalata prima alla superiora; si potrebbe forse evitare in questo modo, con un rimprovero fatto piuttosto in segreto, che vengano a saperlo le altre. Se negherà, allora di fronte ad essa che dice d'essere innocente si devono portare le altre testimoni in modo che sia incolpata non più da una sola, ma la sua colpa possa essere provata da due o tre testimoni alla presenza di tutte. Una volta trovata colpevole, deve subire la punizione riparatrice stabilita dalla superiora o dal sacerdote. Se ricuserà di subirla, anche se non se ne andrà via spontaneamente, sia espulsa dalla vostra comunità. Non si prende questo provvedimento per crudeltà, ma per misericordia, per evitare che rovini molte altre con il suo funesto contagio. Le norme che vi ho suggerite sull'immodestia degli occhi siano osservate con diligenza anche nello scoprire, proibire, palesare, giudicare, e punire le altre colpe, usando amore verso le persone e odio verso i peccati. Qualunque suora poi andasse tanto avanti nel male da ricevere di nascosto da un uomo delle lettere o qualsiasi dono anche piccolo, se lo confesserà spontaneamente venga perdonata e si preghi per essa; se invece verrà colta sul fatto e sarà provata la sua colpa, venga punita molto severamente a giudizio della superiora o del sacerdote, o perfino del vescovo.
L'abito delle sorelle
12. I vostri vestiti conservateli in un unico luogo sotto una o due guardarobiere o quante basteranno a spolverarli e a preservarli dalle tarme; inoltre, come vi nutrite attingendo a una sola dispensa, così vestitevi servendovi d'un solo guardaroba. Se possibile, non curatevi di quali indumenti vi vengano dati secondo le esigenze della stagione, se cioè ciascuna di voi riprende quello deposto in antecedenza oppure uno diverso già indossato da un'altra, purché non si rifiuti a nessuna l'occorrente. Se però tra voi sorgono discussioni e mormorazioni per questo motivo, se cioè qualcuna si lamenta avere ricevuto una veste peggiore di quella da lei indossata in precedenza e trova sconveniente per lei vestire come vestiva un'altra sua consorella, ricavatene voi stesse la prova di quanto vi manchi del santo abito interiore del cuore, dal momento che litigate per gli abiti del corpo. Tuttavia, anche se viene tollerata questa vostra debolezza e vi si lascia riprendere quello che avevate deposto, lasciate nel guardaroba comune e sotto le comuni custodi quello che vi deponete. Allo stesso modo nessuna lavori mai per se stessa, per procurarsi indumenti e pagliericci o cinture o mantelli o veli per la testa, ma tutti i vostri lavori siano compiuti per il bene comune, con maggiore impegno e con più assidua diligenza che se ciascuna li facesse per sè. La carità, infatti, di cui sta scritto che non cerca il proprio tornaconto va intesa nel senso che antepone le cose comuni alle proprie, non le proprie alle comuni. E per questo motivo vi accorgerete d'aver tanto più progredito nella perfezione, quanto più vi sarete preoccupate del bene comune anziché del vostro. In tal modo su tutte le cose, di cui si serve la passeggera necessità, s'eleverà la virtù che rimane, cioè la carità. Ne viene di conseguenza che se qualcuno o qualcuna porterà alle proprie figlie o ad altre persone del monastero, legate per qualche vincolo di parentela, un oggetto, come un capo di vestiario o qualunque altra cosa, non venga accettato di nascosto anche se può essere considerato necessario, ma sia messo a disposizione della superiora affinché, ridotto a proprietà della comunità, venga distribuito a chi ne avrà bisogno. E se qualcuna avrà nascosto l'oggetto portatole, sia giudicata colpevole di furto.
Sollecitudine verso le ammalate
13. I vostri indumenti vengano lavati secondo le disposizioni della superiora da voi o dalle lavandaie, e ciò per evitare che un eccessivo desiderio di pulizia nelle vesti contagi l'anima di macchie interiori. Anche il lavacro del corpo e l'uso del bagno non sia troppo frequente, ma si conceda al solito intervallo di tempo, ossia una volta al mese. Quando però si deve fare il bagno per ragioni di malattia, non lo si differisca troppo, ma si faccia su consiglio del medico e senza criticare; perciò, anche se non lo vuole, la malata faccia quanto è doveroso per la propria salute dietro l'ordine della superiora. Se invece una suora lo vuole e può esserle dannoso, non si assecondi il suo desiderio; talora si reputa utile ciò che piace, anche se nuoce. Infine si dovrà credere senza esitare alla serva di Dio che manifesta un dolore fisico nascosto; se però non si è certi che per guarirla giova quel che le piace, si consulti il medico. Le suore non si rechino ai bagni, o dovunque sarà necessario andare, meno di tre alla volta. Colei che avrà bisogno di recarsi in qualche luogo, dovrà andarvi non con chi vuole, ma con chi le sarà assegnata dalla superiora. La cura delle malate, delle convalescenti e di quelle che, senza avere la febbre, soffrono di qualche indisposizione, deve essere affidata ad un'unica suora che prenda personalmente dalla dispensa quello che avrà reputato necessario a ciascuna. Le suore addette sia alla direzione della dispensa che del guardaroba e della biblioteca servano le consorelle senza mormorare. I libri vengano richiesti giorno per giorno nell'orario stabilito; non si devono dare a chi li richiede fuori orario. Vesti e calzature invece, se necessarie a chi le chiede, siano distribuite senza indugio da chi ne ha la custodia.
Correzione fraterna
14. Di alterchi tra voi non abbiatene mai, o troncateli al più presto; altrimenti l'ira arriva a diventare odio e trasforma in trave una pagliuzza, e rende l'anima omicida. Non riguarda certo i soli uomini ciò che sta scritto: Chi odia il proprio fratello è un omicida, ma nel sesso maschile, creato prima da Dio, ha ricevuto il precetto anche quello femminile. Chiunque ha offeso un'altra con insolenze o maldicenze, oppure col rinfacciare una colpa, si ricordi di riparare al più presto la sua azione e, quella che è stata offesa, perdoni anch'essa senza discussioni. In caso di un'offesa reciproca, anche il perdono dovrà essere reciproco, grazie alle vostre preghiere, che quanto più frequenti tanto più dovranno essere sante. Tuttavia colei che, pur tentata spesso dall'ira, s'affretta però a chiedere il perdono di quella che riconosce d'aver offesa, è certamente migliore di chi si adira più raramente, ma più difficilmente si piega a chiedere perdono. Colei che non vuol perdonare alla sorella, non speri di ricevere l'effetto della preghiera; colei poi che si rifiuta sempre di chiederlo o non lo chiede di cuore, sta nel monastero senza alcun giusto motivo, anche se non ne viene espulsa. Astenetevi dunque dalle parole offensive, ma se vi fossero uscite di bocca, non vi rincresca di far uscire il rimedio dalla medesima bocca da cui sono state provocate le ferite.
Quando però l'esigenza della disciplina vi costringe a rivolgere parole dure alle vostre inferiori per correggerle, non siete tenute a chiederne perdono, anche se vi accorgete d'avere ecceduto; per conservare una soverchia umiltà, non si deve spezzare il prestigio dell'autorità nei confronti di quelle che devono stare a voi soggette; si deve però chiederne perdono al Signore di tutte, il quale sa con quanta bontà amiate anche quelle che forse rimproverate più del giusto. Il vostro reciproco amore però non deve essere carnale, ma spirituale, poiché certi scherzi e giochi indecenti, anche se scambiati solo tra donne, non si devono fare non solo dalle vedove e dalle vergini serve di Cristo viventi nella professione dell'ideale religioso, ma in nessun modo nemmeno dalle maritate e dalle ragazze che hanno intenzione di maritarsi.
Carità nel comando
15. Si ubbidisca alla superiora come ad una madre, dandole i dovuti segni d'onore per non offendere Dio nella persona di lei; molto di più si obbedisca al sacerdote che vi dirige. Compito precipuo della superiora sarà quello di far osservare tutte queste norme; non trascuri per negligenza le eventuali infrazioni, ma le punisca e le corregga. Rimetta invece al sacerdote, che vi dirige, ciò che oltrepassa la sua competenza o le sue forze. La superiora non si reputi felice perché domina con la sua potestà, ma perché serve con la carità. Per l'onore sia elevata, davanti a voi, al di sopra di voi; per il timore sia prostrata ai vostri piedi davanti a Dio. Si mostri a tutte come esempio di opere buone; rimproveri le turbolente, rincuori le timide, sostenga le deboli, sia paziente con tutte, conservi con amore l'osservanza regolare, ne imponga il rispetto. Inoltre, sebbene sia necessaria l'una e l'altra cosa, preferisca tuttavia d'essere amata anziché temuta, pensando continuamente che dovrà rendere conto di voi a Dio. Voi quindi, quanto più le ubbidite, tanto più mostrerete pietà non solo verso di voi stesse, ma anche verso di lei, che si trova in un pericolo tanto più grave, quanto più alta è la sua posizione tra voi.
Esortazione finale
16. Il Signore vi conceda d'osservare con amore tutte queste norme, quali innamorate della bellezza spirituale e, mediante la vostra santa convivenza, fragranti del buon profumo di Cristo, non come schiave sotto la legge, ma come libere sotto la grazia. Perché poi possiate rimirarvi in questo libretto come in uno specchio, al fine di non trascurare nulla per dimenticanza, vi venga letto una volta alla settimana. Se troverete che mettete in pratica tutte le norme che vi sono scritte, ringraziatene il Signore, datore di ogni bene. Se invece qualcuna di voi si accorgerà d'aver commesso qualche mancanza, si penta del passato e stia in guardia per il futuro, pregando che le sia rimesso il debito e non sia indotta in tentazione.