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Teologia dell'Ordine Agostiniano

Sant'Agostino, ms. Plut2 della Biblioteca di Firenze

 

Sant'Agostino, ms. Plut2 della Biblioteca di Firenze

 

 

LA TEOLOGIA AGOSTINIANA

 

 

 

Nel 1277, tre anni dopo la morte di Tommaso di Aquino, ardevano più che mai vive le controversie che agitavano le scuole filosofiche della Parigi dotta ed accademica del secolo XIII. La divulgazione delle principali opere di Aristotele, i commenti greci ed arabi avevano infuso nuove e più ardite correnti di pensiero nell'insegnamento speculativo dei maestri che nel Medio Evo prescolastico si erano ispirati ai principi che S. Agostino, dopo avere largamente attinto alla tradizione neo-platonica, aveva elaborato e posto come base della sua grande organizzazione della filosofia cristiana.

L'occidente aveva avuto non soltanto la sorte di ritrovare i monumenti smarriti della sapienza greca, ma d'iniziarsi ancora ai sistemi dottrinali che il genio arabo aveva escogitato. Erano ormai lontani i tempi nei quali Abelardo poteva con ragione lamentarsi che di Aristotele non si conoscesse né la fisica né la metafisica. Ma il lavoro gigantesco di questi divulgatori e seguaci dello Stagirita non era riuscito ad imporsi, nella cerchia degli studi regolari ecclesiastici, senza grandi lotte e contrasti e proibizioni dell'autorità religiosa.

Una serie di provvedimenti adottati in Parigi fra il 1210 e il 1215, e la dichiarazione di Gregorio IX con la quale nel 1231, fissando il suo regolamento fondamentale per l'Università parigina, ribadiva l'anatema che egli stesso tre anni innanzi aveva scagliato contro la metafisica aristotelica, mostrano quante diffidenze le nuove correnti filosofiche avessero suscitato negli ambienti ecclesiastici destinati a vegliare sull'ortodossia dell'insegnamento impartito nelle grandi università medioevali. Ma il pontefice aggiungeva che la condanna doveva considerarsi duratura fino al giorno in cui, con un nuovo e più rigoroso esame, si fosse pronunziato un definitivo giudizio sulle opere di Aristotele. Si voleva evidentemente lasciare, per l'avvenire, un ponte di passaggio fra le vecchie e le nuove correnti intellettuali. Parigi era allora il centro del movimento culturale europeo. La vita accademica della grande metropoli non era disorganizzata come un secolo prima, ai tempi delle grandi lotte fra realisti e nominalisti. Allora Pietro Abelardo poteva scendere dalla nativa Bretagna e tenere le sue lezioni, disputatore insuperabile, sulla cattedra levata alle libere aure di S. Genoveffa.

Ora invece l'insegnamento era ufficialmente impartito nelle quattro facoltà teologiche, dei decretisti, degli artisti, della medicina, di cui si componeva l'Universitas sorta fin dal 1200 come spontanea associazione fra maestri e studenti incorporati nelle scuole della cattedrale di Notre-Dame. Vi accorrevano ad insegnarvi i più reputati maestri della dottrina cristiana, provenienti da tutti i paesi e spesso da altre università. Perché la filosofia medioevale non aveva peculiarità nazionali, e lo scienziato di quel tempo, assorbito nel circolo della scienza universale, in ogni centro organizzato del sapere trovava lo stesso mondo intellettuale unificato da Roma, raccolto in una fede dal cristianesimo. Alberto Magno, Tommaso di Aquino, Bonaventura da Bagnorea levarono alto grido con il loro tentativo fortunato di una riforma della filosofia cattolica.

In seguito Sigieri di Brabante, Matteo d'Acquasparta, Riccardo di Middleton, Goffredo di Fontaines, Egidio Romano, Giacomo da Viterbo, Enrico di Gand, una folla di grandi, illustrarono quella scuola famosa. E Scoto, professore ad Oxford, a Parigi, a Colonia, dottore sottile e pungente, vi teneva lezione, nei primi anni del secolo XIV, a numerosi discepoli, maneggiando mirabilmente contro Tommaso l'arme terribile dell'ironia. Nel 1308 anche Dante, dopo una lunga dimora nel Casentino, nella corte dei conti Guidi, con nel cuore e nella carne l'amaro ricordo della passione che la donna di pietra vi aveva scatenato, si recava a Parigi e si dava, dice il Boccaccio, "allo studio della filosofia e della teologia, ritornando ancora in sé dell'altre scienze ciò che forse, per gli altri impedimenti avuti, se n'era partito".

Tre grandi scuole filosofiche si contrastavano il terreno a Parigi nella seconda metà del secolo XIII: l'antica scolastica o sistema pretomistico, il peripatismo della scuola albertino-tomista, l'aristotelismo averroistico di cui Sigieri di Brabante, elogiato da Pietro du Bois ed immortalato nel paradiso dantesco, era il propugnatore più acclamato. L'averroismo negava l'individualità spirituale asserendo che l'intelletto onde s'illumina ogni uomo è uno, sosteneva una Provvidenza ristretta al solo governo generale, lo svolgersi progressivo delle intelligenze che informano gli astri, il fatalismo negli avvenimenti del mondo, l'eternità della materia, l'emanazione da Dio. La polemica più ardente si svolgeva fra i seguaci dell'agostinismo e i tomisti.

Questi ultimi battevano in breccia i caposaldi della dottrina così detta agostiniana, nella quale mancava una distinzione formale tra l'ordine delle verità rivelate e quelle naturali, tra il dominio della teologia e quello della filosofia, era definita la preminenza della nozione del bene su quella del vero e il conseguente primato della volontà sull'intelligenza, l'impossibilità della creazione del mondo ab aeterno, la necessità che alcuni atti intellettuali dell'uomo siano prevenuti da un'azione illuminatrice da parte di Dio, la positiva attualità per quanto infima ed embrionale della materia prima indipendentemente da ogni informazione sostanziale, l'individuazione dell'anima per virtù propria, non in conseguenza dell'unione col corpo, in modo che nel composto umano la materia è come lo sfondo del quadro, la forma come il contorno e il disegno.

In opposizione alla scuola agostinista, il tomismo accettava la dottrina aristotelica della potenza e dell'atto, da cui l'Aquinate traeva molte tesi che differenziano il suo sistema dagli altri indirizzi filosofici dell'epoca. Il grande dottore sosteneva inoltre l'esatta e precisa differenza tra natura e supernatura, tra fede e scienza, teologia e filosofia, concepiva la materia prima come qualche cosa di puramente potenziale, rigettava la teoria della pluralità delle forme sostanziali sino ad allora generalmente ammessa, riteneva quale principio d'individuazione la materia quantitate signata. Erano queste le principali dottrine intorno alle quali ferveva la lotta delle due correnti filosofiche.