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Martiri AfricaNI: Lucio e Montano

Lo scriba: particolare di un mosaico proveniente da una tomba doppia di Tabarka (IV-V sec.)

Lo scriba: particolare di un mosaico proveniente

da una tomba doppia di Tabarka (IV-V sec.)

 

 

LUCIO, MONTANO E I LORO COMPAGNI

 

 

 

Una cieca retata di polizia provoca l'arresto di parecchi cristiani della comunità cartaginese. Due di loro muoiono in carcere. Altri cinque saranno giustiziati, nel maggio del 259, dopo otto mesi di interrogatori, di privazioni e di sofferenze. A guisa di memoriale, i prigionieri redigono una lettera che riferisce le condizioni della loro detenzione e proclama la loro speranza.

Completata dopo il loro martirio da un testimone oculare, questa lettera è oggi uno dei più commoventi documenti antichi sull'universo carcerario. Nell'oscurità e nell'afa di una cella, spossati dalla fame e dalla sete, angosciati dall'attesa interminabile della morte, i detenuti, dei quali si ignora la posizione esatta all'interno della Chiesa, si rifugiano nella preghiera e nei sogni. Questi, abbaglianti di luce, non hanno bisogno, per essere interpretati, dei manuali di oniromanzia pagana: essi parlano di bevande rinfrescanti e di sbarre che cadono, di un fanciullo-guida nella notte e di un aldilà risplendente in cui si è accolti dal vescovo Cipriano di Cartagine, da poco decapitato.

Dietro a ogni avvenimento della loro prigionia, questi comuni cristiani scoprono la presenza del Dio di misericordia al quale il salmista fa dire: «Invocami nel giorno dell'angoscia, io ti libererò e tu mi renderai gloria ... Scritta in una lingua relativamente sobria, quest'opera si colloca nella tradizione inaugurata dalla Passione delle sante Perpetua e Felicita. Lucio e i suoi compagni hanno voluto, espressamente, insegnare alle generazioni future che la repressione più violenta non ha il potere di spezzare coloro che camminano sulle orme di Cristo. La nostra sola fonte di informazione su Lucio e i suoi compagni è il racconto in latino della loro prigionia e del loro martirio, considerato fin dal XVI secolo come uno dei gioielli della letteratura cristiana antica.

In seguito a una sommossa che era degenerata in un tentativo d'assassinio a danno del proconsole d'Africa, otto cristiani di Cartagine sono arrestati dalla polizia. La condanna a morte del vescovo Cipriano, eseguita alcuni giorni prima, il 14 settembre del 258, aveva già provocato veementi proteste e anche dei tafferugli. In una provincia regolarmente agitata da forze centrifughe (essa tenterà anche la secessione intorno al 265), la situazione è tesa per il potere.

 

Una lettera dal carcere

La prima parte della Passione dei martiri è una lettera collettiva, inviata dai prigionieri ai loro fratelli cristiani rimasti in libertà. Parecchi documenti di questo tipo si sono conservati tanto in greco quanto in latino, in particolare nella corrispondenza di san Cipriano: espressione letteraria di uno spirito comunitario che pare non avere l'equivalente nel mondo pagano. Dalla seconda parte della Passione apprendiamo il nome del redattore principale della lettera: si tratta di Flaviano, che, dopo aver citato il proprio nome al terzo posto nell'enumerazione iniziale, ha evitato in seguito di mettersi in scena.

Ma l'ispirazione del testo, che manca talora di coerenza, rimane autenticamente collettiva. Il racconto in prima persona plurale si interrompe solamente quando l'uno o l'altro dei prigionieri narra ai compagni di carcere i suoi sogni notturni. Oltre che ai fratelli di Cartagine, il documento si rivolge espressamente alle generazioni future, a «testimonianza fedele della magnificenza di Dio» e a «memoria delle sofferenze sopportate con l'aiuto del Signore». Gli otto cristiani sono in un primo momento sorvegliati a vista. Costretti a udire le chiacchiere dei guardiani, che predicono loro il rogo, essi vivono per qualche ora nel terrore di un supplizio che, agli occhi di persone semplici, pareva impedire ogni possibilità di resurrezione futura della carne. Con sollievo perciò essi si vedono incarcerati nella cittadella di Cartagine, nonostante l'oscurità della cella.

 

La relazione del martirio

Ciò che segue non è più che una lunga attesa, nei tormenti della sete, della fame e della malattia: attesa punteggiata solamente dalle convocazioni giudiziarie e dalle visite dall'esterno. Lucio e i suoi compagni hanno trovato in prigione altri fratelli, tra i quali una donna, Quartillosia, il cui figlio e il cui marito avevano già subito il martirio. In questo piccolo gruppo che cerca di vivere nella carità, la promiscuità non sembra essere sentita come una sofferenza. I detenuti si comunicano i loro sogni, nei quali cercano instancabilmente di leggere il loro avvenire e di trovare dei motivi di speranza. Si intuisce infatti che l'indebolimento progressivo dei corpi fa temere la capitolazione delle volontà. Il messaggio finale della lettera è un'esortazione «alla concordia, alla pace e all'unità», il che fa pensare che la Chiesa di Cartagine, come già nove anni prima sotto il regno di Decio, si fosse divisa dinanzi alla persecuzione. La parte che segue è meglio costruita, ma più convenzionale. Degli otto cristiani arrestati verso la fine di settembre del 258, due sono morti in prigione: Primolo e Donaziano.

La sorte di un terzo, Reno, non è precisata, ma si può supporre con una certa verosimiglianza che sia stato rilasciato. Flaviano ha affidato a un amico l'incarico di riferire il processo e l'esecuzione dei cinque ultimi membri del gruppo. L'udienza, però, non si svolge esattamente come era stato previsto. Tutti confessano la loro fede, ma l'avvocato di Flaviano, al fine di permettere a questo di sfuggire alle disposizioni della legge, nega che il suo cliente sia diacono. Un tale argomento rende necessario un supplemento d'inchiesta, di modo che il caso di Flaviano si trova disgiunto da quello dei suoi quattro coimputati. Egli è ricondotto in carcere mentre i suoi compagni, condannati a morte, vanno gioiosi al supplizio. Lucio, timido per natura e indebolito dalla prigionia, teme la ressa, e si apparta con poche persone alle quali manifesta sino alla fine la sua umiltà. Giuliano e Vittorico raccomandano ai fratelli i chierici che hanno fatto loro visita in carcere. Montano, le cui forze sono rimaste intatte e che è sempre stato sicuro nel parlare, arringa a lungo la folla degli amici e dei curiosi.

Le sue parole, che riflettono l'insegnamento di Cipriano, si rivolgono, con un'autorità profetica, agli scismatici e alle diverse componenti della comunità cristiana: come la lettera collettiva, anch'esse si chiudono con un appello ardente alla pace della carità. Alcuni istanti prima di essere decapitato con la spada, nel momento in cui gli si coprono gli occhi, Montano fa tenere da parte metà della benda per Flaviano e chiede a Dio per l'amico la grazia del martirio entro tre giorni. La fine della Passione dimostra che una giusta preghiera è esaudita dal Signore. La dilazione imposta a Flaviano da amici maldestri è per lui un'occasione di esercitare la sua pazienza. Sua madre, pari per fervore a quella dei Maccabei, vera figlia di Abramo, si affligge nel veder rinviare il martirio del suo unico figlio: egli la consola dimostrandole la sua costanza. Ai condiscepoli pagani che lo esortano a sacrificare per pura formalità e a scegliere la vita piuttosto che la morte, egli risponde che la morte, agli occhi di un cristiano, non è che apparenza. Il terzo giorno, Flaviano compare di nuovo dinanzi al proconsole.

I suoi amici hanno fabbricato un falso per salvarlo, ma egli riafferma di essere diacono e, nonostante l'imbarazzo evidente del magistrato e la rumorosa simpatia del pubblico, ottiene di essere condannato. La sua morte, in mezzo a un grande concorso di popolo, assomiglia più a un trionfo che a un'esecuzione capitale. Un violento acquazzone consente provvidenzialmente al piccolo gruppo dei fratelli di appartarsi per un ultimo bacio di pace. Flaviano ricorda ai membri della comunità il duplice comandamento dell'unità e dell'amore e raccomanda un candidato alla successione di Cipriano. Muore pregando, con gli occhi coperti dalla benda che gli aveva lasciato Montano.

 

Sette racconti di sogni

I sogni assicurano l'unità dell'opera e conferiscono ad essa, per un lettore d'oggi, il suo tono così particolare. Quattro sono riferiti e subito interpretati nella lettera collettiva. Altri tre, di cui Flaviano è stato il beneficiario e sui quali egli aveva taciuto per discrezione, sono narrati dal cronista degli ultimi giorni dei martiri. Analoghi a quelli che sono esposti in altre Passioni africane (in particolare quella di Perpetua e Felicita), essi sono stati ampiamente commentati dagli psicanalisti e dagli storici moderni, che sono in generale d'accordo nel riconoscere il loro carattere non letterario. I racconti più lunghi sono vicini alla lingua parlata e si distinguono nettamente, sul piano stilistico, dalle parti narrative che sono attribuibili a Flaviano o al suo continuatore anonimo. Avrebbe però torto chi vedesse in questa diversità un motivo per isolare i sogni dal loro contesto interpretativo e per considerarli come documenti greggi. Un testo agiografico è sempre una forma di preparazione, e i redattori scelgono ciò che deve entrare a fame parte in riferimento ai loro scopi apologetici o parenetici.

Quello che oggi è visto come un fenomeno psichico, legato al subcosciente dell'individuo, non era altro, per questi cristiani del III secolo, che un messaggio implicito e premonitore della compassione divina. Nonostante le condizioni penose in cui vivevano i prigionieri, non è fatta parola di alcun incubo. Colui che sogna prova semplicemente una sensazione oscura di disagio, un'inquietudine diffusa che corrisponderebbe, in uno stato di veglia, a un momento di depressione spirituale.

La parte successiva del sogno reca una risposta positiva e luminosa, tanto più abbagliante quanto più si avvicina il momento cruciale della grande prova. I quattro sogni che sono inseriti nella lettera iniziale formano una specie di rivelazione progressiva del disegno di Dio riguardo ai suoi servitori sofferenti. In conformità con la profezia di Isaia (IX, 1), Reno non vede dapprima che delle lucerne che precedono i prigionieri, i quali camminano ancora senza meta nelle tenebre. Il prete Vittorico, che era già in carcere quando vi sono giunti Lucio e i suoi compagni, fa un passo in più nella contemplazione del mistero: le lucerne di Reno sono divenute il volto risplendente di un fanciullo-guida, ma nessuna via d'uscita si apre dinanzi ai prigionieri; la vista del paradiso è negata a Vittorico, che riceve l'incarico, in quanto prete, di incoraggiare i fratelli ricordando loro le parole che concludono la visione di Giacobbe: «In verità, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo ! ... Quanto è terribile questo luogo ! Esso è proprio la casa di Dio e la porta del cielo» (Genesi, XXVIII, 16-17).

La tappa successiva è superata da Quartillosia, che è più degli altri protesa verso il martirio, in quanto anela a ricongiungersi con il figlio e il marito, già incoronati nella prova. « Vidi - ella dice - venire qui nel carcere mio figlio, che ha sofferto la sua passione; sedendo sulla vasca dell'acqua, egli disse: "Dio ha visto la vostra tribolazione e la vostra sofferenza". E dopo di lui entrò un giovane di statura straordinaria, che portava, una per mano, due coppe piene di latte, e disse: "Fatevi coraggio, Dio si è ricordato di voi ". E da quelle coppe che portava diede a tutti da bere, e le coppe non si svuotavano. E d'un tratto fu tolta la pietra che divideva in due la finestra; ed ecco anche le sbarre della finestra stessa, tolte di mezzo, lasciarono entrare liberamente la vista del cielo. E il giovane posò a terra le coppe che portava, una a destra e l'altra a sinistra, e disse: "Ecco, siete sazi e vi rimane latte in abbondanza, e vi sarà data ancora una terza coppa". E se ne andò».

I corpi sono ancora prigionieri, ma la «porta del cielo» è ormai aperta. Il fanciullo si è trasformato in giovane; il confronto non deriva più dalla meditazione sulle Scritture, ma dal cibo eucaristico (portato, fin dall'indomani, da un suddiacono e da un catecumeno). La terza coppa annunciata sembra essere quella del martirio. A Montano infine è riservata la rivelazione ultima. I centurioni che, nella realtà, avevano assurdamente girato in cerchio nel foro senza sapere dove dovessero condurre gli imputati, guidano questa volta i loro prigionieri in una pianura lontana, immensa e scintillante di candore. La presenza, in questo luogo, di Cipriano rivela che si tratta del paradiso dei giusti, celato poco prima a Vittorico. La luce che vi regna era prefigurata, nelle visioni precedenti, dalle lucerne, dal volto radioso del fanciullo e dalla sinistra aperta sul cielo.

Essa richiede non solo il candore di una veste nuziale, ma anche la trasparenza assoluta del cuore. La lunga attesa dei detenuti si spiega con la necessità di purificarsi da ogni sozzura. Nel Regno possono entrare solamente coloro che sono divenuti essi stessi luce nella notte per gli altri. Nel racconto redatto dal continuatore anonimo, i tre sogni di Flaviano presentano una progressione analoga. Dapprima preoccupato per il timore della sofferenza, poi angosciato dall'idea di essere separato dai compagni, il martire perviene infine, nel suo ultimo sogno, alla pace interiore. Questa riconciliazione con se stesso è simboleggiata dall'elogio pubblico che fa di lui sua madre e dal fatto che un vescovo in persona, già rivestito di luce, è inviato ad annunciargli l'imminenza della passione. Poiché ha conquistato la pace, Flaviano è divenuto degno del sacrificio. La stretta corrispondenza tra la realtà e il sogno procede da una riflessione, individuale e collettiva, sul valore religioso del martirio.

 

I santi e il loro ambiente

Questi confessori cartaginesi, che nella tribolazione hanno voluto divulgare i loro sogni, le loro angosce e le loro speranze, rimangono sotto molti aspetti degli sconosciuti. L'introduzione della loro lettera ci fa sapere che Donaziano e Primolo erano catecumeni. Vittorico, che riceve l'incarico di commentare per i compagni di prigionia la visione di Gia-obbe, è prete. Una circostanza del processo consente di attribuire a Flaviano il titolo di diacono. Di tutti gli altri, si ignorano completamente la condizione sociale e la posizione precisa all'interno della comunità cristiana. Gli storici moderni hanno supposto che i quattro condannati del 23 maggio 259 - Lucio, Montano, Giuliano e Vittorico - facessero parte anch'essi del clero, come se la qualità di laico riconosciuta a Flaviano fosse tale da permettere a questo di sfuggire alla pena capitale.

Si dimentica in realtà che il secondo editto di Valeriano colpiva anche notabili e funzionari e che inoltre l'arresto degli imputati era stato conseguente a una sommossa. Famiglie intere, come quella di Quartillosia, furono eliminate nel corso della persecuzione, che evidentemente non si limitò ai vescovi, preti e diaconi. È dunque imprudente voler a tutti i costi precisare ciò che gli autori della nostra unica fonte hanno passato sotto silenzio. Risulta chiaro tuttavia, dai discorsi dei martiri, che i tre protagonisti - Lucio, Montano e Flaviano - hanno beneficiato direttamente degli insegnamenti di Cipriano e conoscevano dall'interno i dissidi esistenti nella Chiesa cartaginese.

Ciascuno di loro ha una sua personalità ben precisa: Lucio è fragile e modesto; Montano è invece noto per la sua eloquenza e non risparmia i consigli; Flaviano è ancora vicino al mondo delle scuole, e sono i suoi antichi compagni di studi che tentano di salvarlo contro la sua volontà; del resto, l'amico a cui egli ha affidato l'incarico di continuare la sua opera è anche lui un intellettuale, esperto nelle finezze della retorica e della prosa metrica. Il racconto iniziale della prigionia e le ultime parole dei condannati ci fanno conoscere certi aspetti della società africana del III secolo. La comunità cristiana è profondamente divisa, e non è un caso che il tema fondamentale della Passione sia quello della pace che deve regnare tra i fratelli. Lo scisma causato dagli strascichi della persecuzione di Decio non è ancora stato riassorbito. Parecchi cristiani che hanno abiurato sotto le minacce cercano indebitamente di sfuggire alle conseguenze disciplinari della loro debolezza. Per una sorta di contraccolpo, le numerose scomuniche provocano dei contrasti nelle file stesse dei fedeli. Ma queste ombre non devono far dimenticare il fervore dei prigionieri, la coraggiosa solidarietà di una parte del clero con i detenuti, la carità sollecita dei fratelli verso i condannati a morte.

L'impronta lasciata da Cipriano è profonda, e il vescovo martire rimane i riferimento ultimo dei cristiani nella tempesta. La società pagana, dal canto suo, non compare sotto una luce polemica. I magistrati persecutori non sono chiamati per nome, poiché sono solamente gli strumenti di un padrone esigente che è il diavolo: «Perché dovrei adirarmi, dice Flaviano, contro un uomo che ripete soltanto ciò che gli è ordinato di dire ?».

I rappresentanti del potere sono manifestamente messi a disagio da una repressione impopolare e temono le udienze pubbliche. Il nuovo proconsole non ha le medesime ragioni del suo predecessore di lasciarsi trascinare dalla collera: si accontenterebbe di un falso per evitare a Flaviano una sentenza di morte, se l'accusato stesso si mostrasse maggiormente disposto a collaborare, e quando la folla si esaspera non acconsente a servirsi della tortura. I guardiani del carcere sono naturalmente più rozzi e non hanno alcun motivo di riservare al cristiano un trattamento privilegiato: sono capaci tuttavia di chiudere gli occhi su certe visite dall'esterno, se lo si chiede loro con le parole giuste. Il racconto sugli ultimi giorni dei martiri mostra chiaramente che i cristiani godevano di grande simpatia presso i pagani. Per amicizia nei confronti di Flaviano si tenta di ingannare in suo favore la giustizia ufficiale.

I suoi compagni di studi accettano senza difficoltà la credenza del loro amico in un Dio unico e creatore, ma non riescono a comprendere il suo desiderio di morte carnale, che essi interpretano come una follia suicida. Al momento dell'ultima udienza in tribunale, che vedrà la condanna di Flaviano, il pubblico non è veramente ostile: se chiede che si ricorra alla tortura, è per una sorta di pietà distorta, per spezzare cioè l'ostinazione di un accusato sordo ad argomenti meno convincenti. La luce sotto la quale appare la società cartaginese non ha nulla, è chiaro, di convenzionale.

 

Autenticità e sopravvivenza del documento

Somiglianze incontestabili - a un duplice livello, stilistico e aneddotico - tra la Passione delle sante Perpetua e Felicita e quella di Lucio e Montano hanno fatto dubitare dell'autenticità della seconda opera. Ma si ammetterà senza difficoltà che la fama di cui godevano Perpetua e Felicita, l'impiego liturgico del racconto del loro martirio per una cinquantina d'anni, il suo valore esemplare in periodo di crisi bastano a spiegare l'influsso esercitato dalle due sante donne sui cristiani di Cartagine. Testimoniando della compassione di Dio nei loro confronti, riferendo ai fratelli i loro sogni, i prigionieri sono consci di imitare le martiri dell'anno 203. Quanto all'agiografo incaricato di continuare il racconto fino all'esecuzione dei detenuti, egli prende chiaramente come modello il suo lontano predecessore. La narrazione degli avvenimenti del 258-259 è il memoriale di un combattimento e di un sacrificio, analoghi a quelli dei Maccabei o dei tre Ebrei nella fornace, che sono del resto, gli uni e gli altri, ricordati esplicitamente nel testo. La Passione, come quella di Perpetua e Felicita, presenta un nuovo esempio della fedeltà di Dio e prolunga, in certo qual modo, la rivelazione delle Scritture.

Daniele nella fossa: mosaico del pavimento proveniente dalla cappella funeraria di Borj el-Youdi (V sec.)

Daniele nella fossa: mosaico del pavimento di una cappella funeraria

a Borj el-Youdi (V sec.)

Il titolo doppio di Actus et Visio, che si trova in uno dei migliori manoscritti, è certamente antico e pone il documento in rapporto con gli Atti degli Apostoli, in particolare con il versetto 2, 17, dove è ripresa una profezia di Gioele: «Negli ultimi giorni, dice il Signore, effonderò il mio Spirito su ogni uomo ... I vostri giovani vedranno visioni e i vostri vecchi sogneranno sogni». La lettera collettiva dei prigionieri è scritta in uno stile meno ricercato rispetto alla continuazione dell'agiografo. Non si può perciò considerarla come un artificio letterario e mettere in dubbio l'autenticità complessiva dell'opera. Ciò non esclude la presenza, all'interno del testo che è giunto a noi, di diverse modificazioni, introdotte verosimilmente in tre momenti distinti. Come redattore principale della lettera dal carcere, Flaviano ha potuto stilizzare, e reinterpretare i sogni dei compagni.

E ugualmente possibile che il continuatore anonimo abbia ritoccato, secondo le regole della creazione letteraria, le parti narrative del racconto dei martiri. Infine, l'impiego dell'opera nella liturgia esponeva il documento alla possibilità di una certa attualizzazione, volta a eliminare gli elementi divenuti con il tempo incomprensibili o addirittura contrari alla disciplina della Chiesa. Allo stato attuale delle nostre conoscenze, solo la terza serie di modificazioni può essere chiarita con certezza. La Passione di Lucio e Montano, infatti, è stata tramandata in Occidente secondo due recensioni che dipendono da tradizioni africane differenti. In un primo gruppo di manoscritti, conformemente al calendario di Cartagine del VI secolo, i martiri sono festeggiati il 23 maggio, e Lucio è presentato come loro principale rappresentante.

In una seconda famiglia, essi sono commemorati il 24 febbraio, e Montano è qui distinto dagli altri, con l'assegnazione, a lui solo, di un titolo peraltro enigmatico. Ora, la prima recensione omette certe raccomandazioni dei martiri, concernenti l'elezione del successore di Cipriano e la reintegrazione dei cristiani che avevano abiurato. Questa soppressione sembra derivare da un desiderio della gerarchia di cui già troviamo testimonianza nella corrispondenza di Cipriano, quello cioè di evitare che l'autorità morale dei confessori della fede fosse abusivamente invocata in questioni di ordine disciplinare. Nonostante l'esistenza di questa doppia tradizione liturgica, il culto dei martiri cartaginesi del 259 pare essersi poco sviluppato. Mentre si sono conservate in Africa tante tracce della devozione alle vittime delle persecuzioni, nessuna iscrizione e nessun sermone possono con certezza essere messi in rapporto con Lucio, Montano o uno qualsiasi dei loro compagni. L'assenza a Cartagine di una basilica che fosse loro dedicata è stato probabilmente un elemento a loro sfavore, e nessuna traslazione di reliquie ha diffuso il culto di questi martiri fuori dell'Africa, contrariamente a ciò che è avvenuto per esempio per i loro contemporanei numi di, Mariano e Giacomo, divenuti in Umbria i patroni della cattedrale di Gubbio.

Solamente grazie ai suoi pregi intrinseci e ad una certa consuetudine degli scribi, la Passione di Lucio e Montano è stata copiata di leggendario in leggendario, senza legami con un santuario particolare. In un'epoca in cui tante prigioni traboccano di condannati per reati di coscienza, essa ritrova, ahimè, una tragica attualità.

 

Cronologia

Nel 258 i cristiani d'Africa sono perseguitati in virtù dei due editti dell'imperatore Valeriano. Il primo sembra aver proibito sotto pena di morte le riunioni di culto; il secondo, il cui contenuto ci è riferito da una lettera di san Cipriano, ordinava l'esecuzione immediata dei vescovi, preti e diaconi, la deportazione dei funzionari cristiani, la confisca dei beni, l'esilio o la morte per i membri delle classi dirigenti che aderissero alla religione proscritta. A Cartagine, la prima vittima fu il vescovo Cipriano, giustiziato il 14 settembre, subito dopo la sua comparizione dinanzi al governatore, allora malato, della provincia d'Africa, Galerio Massimo. Quest'ultimo, secondo il redattore degli Acta Cypriani, sarebbe morto pochi giorni dopo.

Il sollevamento popolare che è ricordato all'inizio della Passione di Lucio e Montano si situa in questo intervallo di pochi giorni. Proprio la morte del proconsole, conseguenza della sua malattia e anche di un attentato commesso con il favore della sommossa, spiega la durata insolita della prigionia dei martiri. Il procuratore incaricato dell'interim fa comparire gli imputati, ma, per evitare di riaccendere i disordini, si limita a rinviare il processo. All'inizio della primavera, la riapertura della navigazione tra Roma e l'Africa consente l'insediamento di un nuovo proconsole, che un'iscrizione mutila indica con il nome di Lucio Messio. Il 23 e 25 maggio, quest'ultimo condanna alla decapitazione i cinque cristiani che erano sopravvissuti, in condizioni igieniche spaventose, a otto mesi di carcere. Tre settimane prima erano stati giustiziati in Numidia il diacono Mariano e il lettore Giacomo.

 

Il sogno di Montano e la sua lezione morale

«Montano aveva avuto delle discussioni con Giuliano a causa di quella donna che si era insinuata nella nostra comunità, senza avere con noi comunione di fede. E mentre, dopo il rimprovero che gli aveva rivolto, era rimasto con lui nella freddezza della discordia, nella medesima notte Montano ebbe una visione: ... Vennero qui, da noi, dei centurioni. E conducendoci questi per una lunga via, giungemmo infine in una pianura immensa, nella quale ci si fecero incontro Cipriano e Leucio. Giungemmo in un luogo splendente di bianchezza, e le nostre vesti divennero splendenti e la nostra carne fu trasformata sino ad apparire più splendente delle nostre vesti splendenti. La nostra carne, poi, era così trasparente che permetteva alla vista di penetrare fin nell'intimo del cuore. E guardando nel mio petto, vedo come delle macchie e, nella visione, mi svegliai.

E mi si fece incontro Luciano, e gli riferii la visione e gli dico: "Sai che quelle macchie sono causate dal fatto che non mi sono riconciliato subito con Giuliano ? ".

E in quel momento Montano si svegliò. Perciò, fratelli carissimi, conserviamo con tutte le nostre forze, la concordia, la pace e l'unità. Imitiamo fin da ora ciò che siamo destinati a divenire. Se ci attraggono le ricompense promesse ai giusti, se ci atterrisce la pena predetta agli ingiusti, se desideriamo vivere e regnare con Cristo, facciamo ciò che conduce a Cristo e al suo regno».