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CICLo AGOSTINIANo di Corciano

Traslazione delle spoglie di S. Agostino da Genova a Pavia, foto di Marco Mariotti Paradisi con l'autorizzazione del proprietario signor Paolo Massini

Traslazione delle spoglie di S. Agostino da Genova a Pavia

 

 

MAESTRO DI CORCIANO

1650-1680

Corciano, ex convento agostiniano

 

Traslazione del corpo di Agostino

 

 

 

La scena riprende una analoga stampa di una celebre vita illustrata di Agostino che apparve a Parigi nel 1624. Il suo autore Adams Schelte da Bolswert fu uno dei migliori incisori della scuola di Anversa, che in quegli anni produsse molteplici Vite di Santi. L'opera di Schelte consta di 28 incisioni, assai curate, dal tratto nitido e sicuro. Il soggetto principale è ben visibile il che accresce la leggibilità della scena e dei paesaggi, belli e luminosi. I costumi sono quelli del Seicento: sono stati omessi gli episodi dell'infanzia, cosicché la vita inizia dalla conversione. Come nella stampa di Schelte in primo piano troviamo la bara di Agostino che è portata a braccia con davanti lo stesso re Liutprando riconoscibile per il vestito da nobiluomo. Cavalieri, monaci, fedeli fanno ala al passaggio in un grandioso assembramento. Sullo sfondo si vede una grande città con una cinta muraria, chiese e un grande faro rivolto verso il mare: è Genova dove approdò la nave dalla Sardegna.

 

Sembra che il trasporto delle spoglie del santo in Sardegna nel 486 sia stata opera di vescovi africani fra i quali spicca Fulgenzio di Ruspe, uno dei più venerandi proscritti di famiglia senatoriale cartaginese. Le persecuzioni vandaliche contro i cristiani sotto i regni di Unerico e Trasamondo, consigliarono a molti cristiani l'esilio in Gallia e in Italia. Anche il vescovo Fulgenzio, che in una certa misura è l'ultimo discepolo di Agostino in terra africana, fu costretto all'esilio. Con lui le spoglie giunsero a Cagliari, dove ancora oggi nella chiesa di san Saturnino (V sec.) si venera la tomba vuota di Agostino. L'invasione saracena dell'isola di nuovo non concesse riposo alle spoglie del santo, che furono riscattate da Liutprando, il quale se le portò definitivamente a Pavia. Alcuni anni dopo la sua morte i barbari che erano divenuti padroni della città profanavano le chiese; allora i fedeli presero il corpo del santo e lo trasportarono Sardegna; erano passati 280 anni dalla sua morte.

 

Un lungo resoconto della traslazione delle spoglie del santo ci è noto da Beda il Venerabile (672-735), contemporaneo all'avvenimento. Nel IX secolo si trova un breve accenno nel Martirologio di Adone che fu composto a Lione prima dell'anno 859: "Hujus corpus venerabile primo de sua civitate propter barbaros Sardiniam translatum nuper a Luitprando rege, dato magno pretio, Ticinis relatum ... "

 

Un altro racconto dell'episodio è noto da Jacopo da Varagine:

Il re appena lo seppe si affrettò ad andare incontro alle reliquie e le ricevette con gioia e venerazione. Il giorno appresso non si riuscì a procedere fino a che il re non ebbe fatto il voto di innalzare una chiesa in onore di S. Agostino se le reliquie fossero giunte a Pavia. Fatto il voto si poté procedere con la massima facilità, ed il re, fedele sue promesse costruì in onore del santo una magnifica basilica, sul luogo stesso dove il miracolo era avvenuto. Lo stesso fatto accadde il giorno appresso a Casale, ed anche lì fu eretta una chiesa. Il re vedendo che il santo era desideroso che fossero erette delle chiese in suo onore, e d'altra parte temendo che egli volesse fermarsi in qualche città differente da quella che egli stesso aveva scelto, si affrettò a costruire una chiesa in ciascun dei luoghi dove, passando, il corpo soggiornava. Giunto finalmente a Pavia, lo fece riporre con gran venerazione nella chiesa di S. Pietro.

JACOPO DI VARAGINE, Legenda Aurea

 

PHILIPPE DE HARVENGT, Vita Augustini, 33

 

Liutprando sentendo che i Saraceni, devastata la Sardegna, infestavano anche quei luoghi ove un tempo, per salvarle dalla profanazione dei barbari, erano state trasportate e onorevolmente sepolte le ossa di sant'Agostino vescovo, mandò dei messi, e pagando una forte somma, le ottenne, le trasportò a Pavia e le ripose con l'onore dovuto a così grande padre. In questi giorni la città di Narni fu occupata dai Longobardi

PAOLO DIACONO, Historia Langobardorum, VI, 48

 

Vittore di Vita (latino: Victor Vitensis. Visse all'incirca tra il 430 e dopo il 484) fu un vescovo africano della provincia di Bizacena, autore della Historia persecutionis Africanae Provinciae, temporibus Geiserici et Hunirici regum Wandalorum, la principale testimonianza contemporanea delle politiche anti-nicene del regno ariano dei Vandali. Inizialmente divisa in cinque libri, l'opera è oggi pubblicata in tre, dei quali il primo, che si occupa del regno di Genserico (427-77), è un riassunto di altre opere, mentre i restanti due, che coprono il regno di Unnerico, sono il risultato della testimonianza diretta di Vittore. Sebbene talvolta esageri nelle sue descrizioni, sono pochi gli eventi raccontati e non accaduti.

VITTORE DI VITA, De persecutione Vandalica, II, 2-3, CSEL 7, 13-38