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Percorso : HOME > Iconografia > Cicli > Seicento > FirenzeCICLo AGOSTINIANo del Chiostro dei Morti a firenze
Giovanni da San Facondo libera il popolo dalla peste: particolare della gente
NANNETTI NICCOLO'
1675-1749
Chiostro dei Morti del Convento di S. Spirito a Firenze
Giovanni da San Facondo libera il popolo dalla peste
"Nella Decima quarta, dipinta da Niccolò Nannetti si mira un gran numero di popolo, sanato dalla peste colle proprie mani dal Santo."
La scena si riferisce ad un episodio miracoloso che vede come protagonista Giovanni da san Facondo monaco agostiniano. Come specifica la scritta sottostante l'affresco "LIBERA SAN GIOVANNI CON LE PROPRIE MANI GRAN NUMERO DI GENTE DALLA PESTE", la vicenda eccezionale ha per protagonista san Facondo. In una affollata scena, il santo si erge davanti ad un ammalato di peste, lo tocca sulla testa e lo guarisce. Intorno a loro altre persone assistono alla scena con attenzione e stupore per quanto sta avvenendo. Alcuni sono increduli, altri manifestano con vigore e gesti di mani la loro meraviglia. Ai piedi si notano altresì alcuni corpi di persone morte.
Tutta la vita del santo è colma di episodi miracolosi. Durante il noviziato fece rapidi progressi nell'ubbidienza e nell'umiltà, e Dio gli concesse il dono dei miracoli. Essendogli stata affidata la cura del refettorio e della cantina, per sovvenire ai bisogni della numerosa comunità, moltiplicò con un semplice segno di croce, per diversi mesi, il vino di una botticella che non sarebbe potuto bastare più di una settimana. Poco dopo la professione religiosa (1464) Giovanni fu eletto maestro dei novizi e quindi Definitore della Provincia, carica questa che gli fu rinnovata per sette volte di seguito, fino alla morte. Nessuno era più esemplare di lui nell'osservanza della Regola, nessuno era più diligente di lui nel farla osservare. Considerava difatti la più piccola infrazione ad essa come un'apostasia. Un giorno gli capitò di rimanere involontariamente in un luogo più di quanto il Priore gli aveva concesso. Giovanni ne provò una così grande afflizione che, in penitenza, ottenne di restarsene per due giorni chiuso in una stanza senza cibo e senza bevande. Era così delicato di coscienza che sentiva il bisogno di confessarsi fino a tre volte il giorno non tollerando la più piccola infrazione alla virtù della giustizia. Il Priore gliene fece le rimostranze perché gli pareva che affaticasse inutilmente i confessori e desse cattivo esempio ai confratelli inducendoli a credere che commettesse numerose e gravi colpe. Dio concesse al suo servo un grado molto elevato di contemplazione, che gli faceva trascorrere intere notti nella dolcezza dell'estasi e talora rapito per aria. Dopo mattutino egli non tornava più a letto, ma si preparava alla Messa. Mentre la celebrava Gesù Cristo gli appariva di frequente più splendente del sole e gli concedeva, in familiari colloqui, sublimi conoscenze riguardo alla grandezza del divino sacrificio. Nel celebrarlo Giovanni impiegava d'ordinario due ore.
Egli riprendeva il vizio ovunque lo scovava, senza guardare in faccia ad amici o a persone costituite in dignità. Non gli mancarono affronti e minacce di morte da parte di signori che si sentivano presi di mira per le loro usure e i loro vizi, o di signore che si sentivano biasimate per il lusso sfrenato e le quotidiane dissolutezze, ma Dio lo liberò dalle loro insidie finché la sua missione non fu terminata. Per ordine dei superiori Giovanni riprese l'opera pacificatrice che aveva già svolto nella città prima che si facesse religioso. In quel tempo Salamanca era perturbata da due fazioni opposte.
Alcuni sediziosi avevano avuto l'ardire di comparire armati nella chiesa in cui predicava la pace, pronti a suscitarvi risse. Un giorno, divorato dallo zelo per la casa di Dio, illuminato dallo Spirito Santo, con voce possente e profetica ammonì che chi avesse avuto l'ardire di mettere mano alla spada per eccitare il tumulto sarebbe morto all'istante. Uno dei più ostinati, sprezzante delle sue minacce, volle estrarre la spada dal fodero, ma il presuntuoso cadde a terra fulminato tra lo spavento generale. Quel pubblico castigo sortì l'effetto desiderato. A Salamanca, dopo anni di guerre, che tre re di Spagna avevano inutilmente cercato di fare cessare, fu ristabilita la pace. Il santo di Dio continuò a predicare contro i disordini che potevano provocare altre turbolenze: le ingiustizie sociali, il concubinato e il meretricio. Per ricondurre i peccatori sul retto sentiero non temette di andarli a scovare nei postriboli e ricordare loro la necessità di praticare la castità per salvarsi. Di questa angelica virtù il santo ne fu per così dire il martire.
Giovanni da San Facondo
Giovanni da San Facondo González de Castrillo (Sahagún, 1430 - Salamanca, 11 giugno 1479) è stato un sacerdote e religioso spagnolo, venerato come santo dalla Chiesa cattolica. Nacque da una nobile famiglia a Sahagún un comune della Spagna del XV secolo. Prima che venisse ordinato sacerdote, lo zio fece in modo da fargli usufruire di un beneficio ecclesiastico con cura d'anime. Giovanni non accettò il beneficio, ritenendo tale dono non proveniente dalla grazia di Dio, ma da una manovra economica. Per la sua indole fu posto al servizio del vescovo di Burgos, Alfonso da Cartagena, che lo ordinò sacerdote, all'incirca all'età di 33 anni. Insoddisfatto della vita nella curia, alla morte del vescovo entrò nell'Ordine di Sant'Agostino il 18 giugno 1463. Si consacrò definitivamente al Signore il 28 agosto 1464. Il santo fu pure nominato Priore del convento di Salamanca a due riprese, nel 1471 e nel 1477. Morì nel 1479 e le sue spoglie sono conservate nella cattedrale nuova di Salamanca. I cittadini scolpiranno sul sepolcro del santo dopo la sua morte: "Hic jacet per quem Salmantica non jacet". Viene ricordato soprattutto per la sua umiltà e sincerità, fu un promotore di pace. Difensore dei diritti dei più poveri in particolare degli operai. Da ricordare la sua particolare devozione al culto eucaristico. Profondamente umile e sincero, fu instancabile promotore della pace e della convivenza sociale e difese strenuamente i diritti degli operai. Ebbe una spiccata devozione all'Eucaristia. Beatificato nel 1601 da papa Clemente VIII, fu canonizzato da papa Alessandro VIII nel 1690. La sua memoria liturgica ricorre il 12 giugno ed è invocato contro i calcoli renali dai quali egli stesso era stato guarito.
Nannetti Niccolò
Niccolò Nannetti nasce a Firenze nel 1675. Pittore italiano minore del periodo rococò, Niccolò Nannetti non ha lasciato molte notizie di sé. Alcune fonti lo indicano allievo di Alessandro Gherardini.
In compenso ci sono rimaste molte testimonianze su suoi affreschi indicate in varie guide e itinerari di città toscane del '700-'800. Fu molto legato a Giovanni Domenico Ferretti con il quale lavorò nella Villa Puccini di Scornio, vicino a Pistoia dove decorò la volta del salone, con un affresco che rappresenta Ercole in Gloria. Sempre nel pistoiese affrescò il Convento di Santa Maria in Selva Agostiniano a Borgo a Buggiano con Il trionfo di Maria Vergine partecipò alla decorazione, a più mani, di Palazzo Amati Cellesi, sempre a Pistoia. Sempre con il Ferretti partecipò anche agli affreschi della chiesa dei Santi Prospero e Filippo, dove si trova anche una tela fra quelle dei Miracoli di San Filippo, precisamente : San Filippo che libera il Pontefice da un'infermità. Uno degi suoi affreschi più celebri si trova nella Basilica della Santissima Annunziata di Firenze, nella Cappella dei Sette Santi Fondatori dei Servi di Maria ed è del 1727. Il suo affresco, che si trova sotto la cupola del Volterrano, rappresenta appunto i Sette Santi Fondatori dell'Ordine dei Serviti. Decorò ad affresco anche il Coro del Monastero e chiesa di San Niccolò di Prato. Niccolò Nannetti non fu soltanto un frescante ma anche pittore di tele d'altare all'interno dell'Abbazia di Vallombrosa, presso Firenze viene conservata una grande tela Gregorio VII e Enrico IV a Canossa nella chiesa di Santa Maria Assunta. Notevole è anche la pala dell'altare, con Il transito di San Giuseppe, della Badia fiesolana, dove affrescò anche il resto della chiesa brunelleschiana annessa al convento dei monaci Roccettini.
Con lui collaborò spesso il quadraturista Rinaldo Botti, con il quale ebbe un rapporto molto stretto e ci offre una cronologia delle opere di questo pittore. Con il Botti affrescò: nel 1708 il soffitto con la Gloria di San Donato nella distrutta Chiesa di San Donato dei Vecchietti, la cui sorte, insieme agli affreschi del Nannetti, fu due volte segnata. La prima volta perché fu soppressa e sconsacrata, nel 1785, al tempo del Granduca Pietro Leopoldo di Lorena, e la seconda volta, nel 1888, demolita durande il cosiddetto Risanamento di Firenze, voluto dai Savoia, che invece di risanare ha distrutto gran parte del centro romano-medievale della città. Nel 1721, sempre col Botti, la chiesa di San Domenico a Pistoia, nel 1729 il Convento di Santa Lucia alla Castellina e nel 1734 affreschi per l'Oratorio dei Vanchetoni. Padre Giuseppe Richa, autore di una grossa opera sulle chiese fiorentine, cita nel quinto tomo delle sue Notizie Istoriche delle Chiese fiorentine (1757) quattro medaglioni dipinti dal Nannetti e la decorazione a fresco della volta, stavolta con l'ausilio del quadraturista Pietro Anderlini, per la Compagnia delle Stimmate che si riuniva in un ambiente sotterraneo della Basilica di San Lorenzo dove: « ...è tutta dipinta a fresco la Volta, con uno sfondo grazioso colorito del [...] Nannetti. [...] Le quali pitture si scopersero adì 17 di settembre, festa delle Stimmate, nel 1718 ...» Niccolò Nannetti morì nel 1749, probabilmente a Firenze.