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PITTORI: Macrino d'Alba

Madonna in adorazione del Bambino con i santi Giuseppe, Nicola da Tolentino, Agostino, Gerolamo e tre putti musicanti

Madonna in adorazione del Bambino con i santi Giuseppe, Nicola da Tolentino,

Agostino, Gerolamo e tre putti musicanti

 

 

MACRINO D'ALBA

1508

Alba, chiesa di S. Giovanni Battista

 

Madonna in adorazione del Bambino con i santi Giuseppe, Nicola da Tolentino, Agostino, Gerolamo e tre putti musicanti

 

 

 

Questa pala viene citata diverse volte in alcuni testi del Settecento con l'indicazione che si trovava presso l'altare di santa Maria o di sant'Agostino nella chiesa agostiniana di san Giovanni  Battista ad Alba. La cappella era di patronato della famiglia Cantoni.

L'autore ha privilegiato un uso attento della luce e una tavolozza sgargiante, elementi questi che trovano interessanti paralleli in altre opere della tarda maturità di Macrino. Ben poco si conosce della vita di Macrino (Gian Giacomo de Alladio, detto Macrino d'Alba). Nato intorno al 1460-65, iniziò la sua attività di pittore in Alba, quasi autodidatta, guardando le interessanti opere d'arte esistenti nella Chiesa di San Francesco (demolita nel 1813). Naturalmente dotato, dopo un breve periodo trascorso nella sua città, passò alla scuola lombarda del Foppa, per maturare poi a Roma, nell'ambiente artistico della fine del secolo XV, allievo della bottega del Pinturicchio a Roma, per merito di un collegamento di parentele tra i pontificati nepotisti di Sisto IV, di Innocenzo VIII, Alessandro VI e Giulio II.

A Roma l'artista imparò da Pinturicchio il gusto acceso e brillante del colore, l'esattezza dei dettagli, mutuata dalla pittura del nord europeo, l'inconfondibile tratteggio che finge le ombre e si sostituisce al chiaroscuro e quel particolare trattamento del colore che fece pensare ad un noviziato presso un affrescatore. Di tutto questo Macrino fece tesoro, portandone testimonianza in Piemonte, insieme con il rivoluzionario sfondamento arioso dei lontani paesaggi di sfondo, particolarità individuale dell'artista, che sostituisce i fondi d'oro e blu lapislazzuli. Sensibile ed aperto al mondo rinascimentale ed alla grande evoluzione pittorica del momento, Macrino seppe poi filtrare le lezione foppesca ed il fascino degli artisti toscani che operavano in Roma, attraverso quel gusto piemontese che gli aveva fornito le basi della sua pittura. Operò con sincerità, seguendo con intelligenza la sua epoca che lo portò a svolgere una pittura in composizioni ricche di tessuto cromatico, pur mantenendo un disegno fermo ed un vibrante chiaroscuro.

Lavorò a Casale, Alba, Vercelli e Moncalvo, con soste a Roma e Pavia, ma solo una parte dei suoi dipinti sono giunti a noi; la mancanza quasi totale dei documenti accentua le difficoltà di ricerca sul suo operato, soprattutto per quanto riguarda le pitture ad affresco, tecnica verso la quale Macrino ebbe particolare sensibilità e predisposizione, come narrano alcune memorie che citano opere ormai perdute. Fu notevole ritrattista, raffinato ed elegante, interprete sicuro ed incisivo, ma sempre morbido ed equilibrato nel chiaroscuro. Chiuse la sua breve esistenza nel secondo decennio del '500, lasciando una scuola modesta, ma attiva, che continuò ad operare in tono minore nella sua scia. L'opera è attualmente conservata nella chiesa di S. Giovanni Battista ad Alba ed ha un'ampia struttura compositiva con vari santi in un contesto urbano che privilegia l'adorazione del Bambino. Interessante la figura di Agostino ben ritta in piedi e con lo sguardo rivolto all'osservatore.

 

Nicola da Tolentino fece la sua professione religiosa (voti solenni) a meno di diciannove anni. Nel 1269 fu ordinato sacerdote. Dopo la sua ordinazione, predicò soprattutto a Tolentino, dove fu trasferito intorno al 1275. Nel convento di Sant'Agostino di Tolentino rimase fino alla sua morte nel 1305.

Celebri sin dal Medioevo sono i cosiddetti "panini miracolosi" di san Nicola, che servirono anche per la raccolta di farina da parte dei fedeli che si recavano al santuario e che dettero nome anche alla compagnia cerretana degli "affarinati", citata anche dal vescovo urbinate Teseo Pini nel suo Speculum Cerretanorum. Viene ricordato il 10 settembre.

La sua tomba, a Tolentino, è conservata con venerazione dai fedeli.

Il celebre santo marchigiano ha una propria amplissima iconografia, che ne trattano la vita e i miracoli. A Tolentino sorge la più bella e grande Basilica in suo onore. In diverse rappresentazioni Nicola viene raffigurato assieme ad Agostino, di cui fervente seguace sin dalla gioventù, quando indossò la tonaca nera degli agostiniani nel Trecento. Fu un asceta rigidissimo con se stesso e dolce e comprensivo con i poveri, i bisognosi e gli ammalati. Grande confessore, fu pieno di umana compassione per ogni tipo di miseria. L'incondizionata obbedienza, il distacco completo dai beni terreni, l'umiltà e la modestia furono costanti della sua vita.

Intorno a lui c'è sempre un'aura di prodigio, che comincia dalla nascita, avvenuta quando i genitori parevano destinati a non avere figli. Nel processo per la canonizzazione, aperto vent'anni dopo la sua morte, 371 testimoni verranno a parlare dei suoi moltissimi miracoli. Sappiamo inoltre che Nicola è anche un maestro di rigore ascetico, cioè di severità con sé stesso. Un insieme di elementi certo eccezionali, ma piuttosto staccati dal vivere comune della gente, incapace di miracoli e non ghiottissima di penitenza. Invece Nicola - a dispetto delle controindicazioni - è un santo sempre popolarissimo proprio tra la gente comune, di secolo in secolo: è l'amico dei giorni feriali, che viene in casa portando la festa.