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PITTORI: Palmezzano Marco

Agostino vescovo e dottore della Chiesa

Agostino vescovo e dottore della Chiesa

 

 

MARCO PALMEZZANO

1500-1530

Faenza, Pinacoteca Comunale

 

Agostino vescovo e dottore della Chiesa

 

 

 

Marco Palmezzano ha dipinto questa tavola con pittura a tempera delle dimensioni di cm. 62 in larghezza e 149 in altezza, dove S. Agostino è raffigurato in piedi con libro aperto in una mano e il bastone pastorale nell'altra. la scena è ambientata in un interno con colonne decorate a "grottesche".

Il santo, inserito in una elegante architettura con colonne e pilastri ornati da grottesche su fondo oro, è raffigurato a figura intera con in capo una mitra bianca impreziosita con gemme montate in oro. Il piviale color rosso è arricchito con decorazioni in oro e veste scura.

Sotto il piviale si nota facilmente la presenza della tonaca nera dei monaci agostiniani, che con questo attributo iconografico intendevano manifestare ai fedeli la loro diretta discendenza da Agostino, quale Padre fondatore e istitutore della regola che seguivano.

 Agostino, dal volto meditativo e maturo, con una folta barba che gli scende sul petto, è intento a leggere un libro che tiene in mano, mentre con la mano sinistra regge un sottile e signorile bastone pastorale. La pennellata, le scelte cromatiche e l'uso di una luce calda, sono elementi che derivano dalla pittura veneta. In particolare si possono riferire al temperamento artistico di Giovanni Bellini ed evidenziano una fase importante nel percorso artistico di Palmezzano.

Il dipinto presente nella Pinacoteca faentina già nel 1865, fu visto nel 1777, insieme ad altre tre tavole che raffigurano "L'arcangelo Raffaele e Tobiolo", "San Girolamo" e un "Santo Vescovo", nella sacrestia della chiesa faentina di sant'Agostino da Marcello Oretti, che le attribuì a Palmezzano.

Questa originaria attribuzione è stata concordemente confermata da tutta la letteratura successiva, mentre la provenienza è stata oggetto di controversie. Le due tavole raffiguranti sant'Agostino e l'Arcangelo, sono sicuramente due frammenti di uno stesso polittico, che non può essere identificato né con quello dipinto nel 1537 per Lucia Calzolari di Cesena e né con quello eseguito nel 1505 per la chiesa di San Girolamo dell'Osservanza di Faenza. La testimonianza di Marcello Oretti e la presenza di sant'Agostino risolverebbero il caso a favore della chiesa di Sant'Agostino come sede d'origine.

 

 

8. 1. Ma il beato Valerio, ormai vecchio, che più degli altri esultava e rendeva grazie a Dio per avergli concesso quello speciale beneficio, considerando quale sia l'animo umano, cominciò a temere che Agostino fosse richiesto come vescovo da qualche altra chiesa rimasta priva di pastore, e così gli fosse tolto. E ciò sarebbe già accaduto, se il vescovo, che era venuto a sapere la cosa, non lo avesse fatto trasferire in un luogo nascosto, sì che quelli che lo cercavano non riuscirono a trovarlo.

8. 2. Il santo vecchio, vieppiù timoroso e ben consapevole di essere ormai molto indebolito per le condizioni del corpo e per l'età, scrisse in modo riservato al primate di Africa, il vescovo di Cartagine: faceva presente la debolezza del corpo e il peso degli anni e chiedeva che Agostino fosse ordinato vescovo della chiesa d'Ippona, sì da essere non tanto suo successore sulla cattedra bensì vescovo insieme con lui. Di risposta ottenne ciò che desiderava e chiedeva insistentemente.

8. 3. Qualche tempo dopo, essendo venuto Megalio, vescovo di Calama e allora primate della Numidia, per visitare dietro sua richiesta la chiesa d'Ippona, Valerio, senza che alcuno se l'aspettasse, presenta la sua intenzione ai vescovi che allora si trovavano lì per caso, a tutto il clero d'Ippona ed a tutto il popolo. Tutti si rallegrarono per quanto avevano udito e a gran voce e col massimo entusiasmo chiesero che la cosa fosse messa subito in atto: invece il prete Agostino rifiutava di ricevere l'episcopato contro il costume della chiesa, mentre era ancora vivo il suo vescovo.

8. 4. Allora tutti si dettero a persuaderlo, dicendo che quel modo di procedere era d'uso comune e richiamando esempi di chiese africane e d'oltremare a lui che di tutto ciò era all'oscuro: infine, pressato e costretto, Agostino acconsentì e ricevette l'ordinazione alla dignità maggiore.

8. 5. Successivamente egli affermò a voce e scrisse che non avrebbe dovuto essere ordinato mentre era vivo il suo vescovo, perché questo era vietato dalla deliberazione di un concilio ecumenico, che egli aveva appreso soltanto dopo essere stato ordinato: perciò non volle che fosse fatto ad altri ciò che si doleva essere stato fatto a lui.

8. 6. Di conseguenza si adoperò perché da concili episcopali fosse deliberato che coloro che ordinavano dovevano far conoscere a coloro che dovevano essere ordinati o anche erano stati ordinati tutte le deliberazioni episcopali: e così fu fatto.

POSSIDIO, Vita di Agostino, 8, 1-6

 

 

Marco Palmezzano

Grazie ad un'attività artistica eccezionalmente longeva (dal 1484 al 1539), Marco Palmezzano fu un indiscusso protagonista dell'erte pittorica in Romagna. Fra le sue qualità scopriamo una matura pittura prospettica, che lo rende caposcuola a partire dalla fine del Quattrocento. Agli inizi della sua carriera artistica, nelle sue pale di grandi dimensioni, amò firmarsi "Marcus de Melotiis", cioè Marco di Melozzo, esprimendo in questo modo apertamente i suoi riconoscimenti nei confronti del concittadino illustre che gli era stato maestro. A parte il breve periodo veneziano, Palmezzano condusse la propria esistenza in Romagna, divenendo l'artista di riferimento per la piccola aristocrazia locale che gravitava intorno alla corte di Caterina Sforza, signora di Forlì. Nel forlivese si trovano numerose sue opere di pubblico dominio: a Forlì, sua città natale, a Castrocaro Terme, a Forlimpopoli e a Meldola. Altre sono poi conservate nella Chiesa della Collegiata e nella Chiesa dell'Osservanza a Brisighella (Ravenna).