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Percorso : HOME > Iconografia > Pittori > Elenco > Quattrocento: Maestro umbroPITTORI: Maestro umbro
Sant'Ambrogio battezza Agostino a Milano nel 387 d. C.
MAESTRO UMBRO
1500
Francoforte sul Meno, Museo Statale
Battesimo di sant'Agostino
La tavola appartiene alla predella della cosiddetta leggenda di sant'Agostino, opera di un maestro umbro, che visse intorno al 1500. La tavola misura cm 25.9 di altezza e cm 43.2 di larghezza. La tavola era conservata a Londra nella Collezione R. H. Benson prima di passare a Francoforte dopo l'acquisizione da parte del Städelsches Kunstinstitut und Städtische Galerie.
La predella è composta da tre pannelli con altrettante scene della vita di Agostino. La predella è generalmente costituita da una o più piccole tavole con orientamento orizzontale, che si trova sotto la pittura principale. Dal momento che occupa sempre l'intera larghezza della scena della tavola, la predella rappresenta una specie fascia che si trova alla base delle pale d'altare italiane trecentesche e quattrocentesche. Spesso la predella è utilizzata per raccontare storie di santi. Nel nostro caso, l'ignoto maestro, che lavora in Umbria, ha scelto alcune fra le tappe più importanti della vita di sant'Agostino. Nelle tre scene si raccontano alcuni episodi del suo impegno per la Chiesa cattolica, fra cui, nel pannello di sinistra troviamo il battesimo di sant'Agostino.
La scena in cui Ambrogio battezza Agostino è piuttosto articolata e si sviluppa in almeno tre comparti che evidenziano tre scene distinte. Al centro troviamo Ambrogio che sta battezzando con l'acqua Agostino, seminudo, con le mani giunte in preghiera e ben ritto in piedi. Accanto si notano alcuni chierici e rari spettatori. La maggior parte dei presenti all'episodio sono concentrati a destra (le donne, fra cui spicca Monica) e a sinistra (gli uomini, cavalieri, nobili, personaggi a vario titolo).
La scena si svolge all'interno di una chiesa dall'architettura rinascimentale con proporzioni rigorosamente classiche.
Dopo qualche settimana ancora d'insegnamento di retorica, Agostino lasciò tutto, ritirandosi insieme alla madre, il figlio ed alcuni amici, ad una trentina di km. da Milano, a Cassiciaco, l'attuale Cassago Brianza, in meditazione e in conversazioni filosofiche e spirituali; volle sempre presente la madre, perché partecipasse con le sue parole sapienti.
Era venuta intanto la primavera; al principio della quaresima, Agostino ritornò dunque a Milano, con Alipio e Adeodato, per ottenere l'iscrizione tra i competentes, i catecumeni cioè ritenuti maturi che avrebbero ottenuto il battesimo per la Pasqua successiva. A Milano partecipò con il vescovo Ambrogio a una preparazione specifica al Battesimo, che Agostino seguì con il figlio Adeodato e l'amico Alipio. E nella notte sul 25 aprile 387, giorno di Pasqua, egli otteneva il lavacro rigeneratore, per mezzo di Ambrogio. Agostino ricevette il battesimo insieme all'amico Alipio che era stato convertito dalle prediche di S. Ambrogio, e ad Adeodato, figlio dello stesso Agostino, natogli mentre era ancora filosofo pagano. Allora S. Ambrogio secondo quello che lui stesso dice, gridò: Te Deum laudamus. S. Agostino seguitò: Te Dominum confitemur.
Si tratta di una leggenda tardiva che attribuisce ai due santi, uniti in questa circostanza solenne, la composizione del Te Deum, di cui ciascuno avrebbe cantato, improvvisandola, una strofa.
Non è che una leggenda dell'alto Medioevo, ma molto bella, e piena di significato.
Giunto il momento in cui dovevo dare il mio nome per il battesimo, lasciammo la campagna e facemmo ritorno a Milano. Alipio volle rinascere anch'egli in te con me. Era già rivestito dell'umiltà conveniente ai tuoi sacramenti e dominava così saldamente il proprio corpo, da calpestare il suolo italico ghiacciato a piedi nudi, il che richiede un coraggio non comune. Prendemmo con noi anche il giovane Adeodato, nato dalla mia carne e frutto del mio peccato. Tu l'avevi ben fatto. Era appena quindicenne e superava per intelligenza molti importanti e dotti personaggi.
AGOSTINO, Confessioni 9, 6, 14
Realizzata nel 1510 la predella è conservata al Museo statale di Francoforte sul Meno e nella sua particolare struttura, con i suoi tre pannelli, rappresenta un ottimo esempio di applicazione dei principi di progettazione fondamentali del Rinascimento italiano. Vi si possono incontrare le condizioni che l'architetto e teorico Leon Battista Alberti definì nei suoi scritti sulla pittura che invitavano gli artisti ad essere i veri rappresentanti della "maniera moderna" secondo la sensibilità del Rinascimento. Secondo lo stile proposto da Alberti le immagini sono costruite come una finestra attraverso la quale si guarda in uno spazio profondo e illusionistico, in un gioco narrativo la cui storia viene espressa da una grande varietà di figure, le cui diverse posizioni nello spazio così come il linguaggio del loro corpo, riescono a dare vita agli episodi narrati. E, al centro dell'attenzione dello spettatore, vi è l'accattivante prospettiva centrale che trova la sua prima applicazione nel secondo decennio del Quattrocento, a Rinascimento ormai cominciato.
L'opera viene attribuita a un generico Maestro umbro del tardo Quattrocento o inizio Cinquecento. Nella vecchia e duratura diatriba per l'attribuzione dell'opera gli storici dell'arte hanno proposto nomi prestigiosi quali Perugino, Pinturicchio e il giovane Raffaello. Tuttavia la tavola non è attribuibile ad alcuno di loro, anche se le immagini mostrano somiglianze con le loro opere. Sicuramente fu realizzato nel contesto di una delle loro botteghe in Umbria.