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PITTORI: Carlone Carlo Innocenzo

Morte di Agostino

Morte di Agostino

 

 

CARLONE CARLO INNOCENZO

1710

Rattenberg, chiesa Agostiniani

 

Morte di Agostino

 

 

 

La pala d'altare dipinta da Carlo Carlone per l'altare principale della chiesa agostiniana di Rattenberg raffigura il momento della morte di Agostino. Il santo, dall'aspetto vegliardo, è disteso sul letto, mentre una folla di angeli di dispone attorno al suo capezzale e volteggia nell'aria indicando, al livello superiore il cielo dove appare la Trinità.

 

Rattenberg costituisce la prima realizzazione in Austria di un ciclo agostiniano nel 1700. Nel 1971 il monastero venne lasciato decadere e ristrutturato infine come museo, inaugurato nel 1993. Le raccolte mostrano tesori artistici tirolesi di ben nove secoli. Ne fanno parte sia alcuni veri capolavori del periodo romanico e gotico sia molte testimonianze di arte religiosa popolare. Al Museo Augustiner è stato conferito nel 2005 il premio "Tiroler Museumpreis" e nel 1994 il premio "Österreichischer Museumspreis".

Rattenberg è un villaggio di neppure 1000 abitanti specializzato nella lavorazione artigianale del vetro e del cristallo, un tempo fiorente centro minerario per l'argento. Il villaggio, già città murata nel 1393 (sono visibili i resti delle mura), è dominato dai ruderi di una possente roccaforte già menzionata nel 1074, ingrandita e donata al Tirolo da Massimiliano I e distrutta nel 1782. Oltre alla massiccia parrocchiale di san Virgilio (1473-1507) che si alza sotto il torrione e gli spalti, è notevolissima la chiesa dei Servi di Maria che risale al XIV secolo.

Annessa a questa chiesa c'è l'attiguo convento (oggi scuola) con un bel chiostro gotico con volte reticolate. È stata trasformata in stile barocco dall'italiano D. F. Carlone nel 1708 e decorata dallo stuccatore P. D'Allio.

 

Agostino muore il 28 agosto 430 mentre i Vandali di Genserico stanno assediando Ippona.

 

31. 1. Quel sant'uomo, nella lunga vita che Dio gli aveva concesso per l'utilità e il bene della santa chiesa (infatti visse 76 anni, e circa 40 anni da prete e vescovo), parlando con noi familiarmente era solito dire che, ricevuto il battesimo, neppure i cristiani e i sacerdoti più apprezzati debbono separarsi dal corpo senza degna e adatta penitenza.

31. 2. In tal modo egli si comportò nella sua ultima malattia: fece trascrivere i salmi davidici che trattano della penitenza - sono molto pochi - e fece affiggere i fogli contro la parete, così che stando a letto durante la sua infermità li poteva vedere e leggere, e piangeva ininterrottamente a calde lacrime.

31. 3. Perché nessuno disturbasse il suo raccoglimento, circa dieci giorni prima di morire, disse a noi, che lo assistevamo, di non far entrare nessuno, se non soltanto nelle ore in cui i medici entravano a visitarlo o gli si portava da mangiare. La sua disposizione fu osservata, ed egli in tutto quel tempo stette in preghiera.

31. 4. Fino alla sua ultima malattia predicò in chiesa la parola di Dio ininterrottamente, con zelo e con forza, con lucidità e intelligenza.

31. 5. Conservando intatte tutte le membra del corpo, sani la vista e l'udito, mentre noi eravamo presenti osservavamo e pregavamo, egli - come fu scritto - si addormentò coi suoi padri, in prospera vecchiaia (1 Re, 2, 10). Per accompagnare la deposizione del suo corpo, fu offerto a Dio il sacrificio in nostra presenza, e poi fu sepolto.

31. 6. Non fece testamento, perché povero di Dio non aveva motivo di farlo. Raccomandava sempre di conservare diligentemente per i posteri la biblioteca della chiesa con tutti i codici. Quel che la chiesa aveva di suppellettili e ornamenti, affidò al prete che alle sue dipendenze curava l'amministrazione della casa annessa alla chiesa.

31. 7. Né durante la vita né al momento di morire trattò i suoi parenti, sia quelli dediti alla vita monastica sia quelli di fuori, nel modo consueto nel mondo. Quando viveva, dava a costoro, se era necessario, quel che usava dare agli altri, non perché avessero ricchezze ma perché non fossero poveri e non lo fossero troppo.

31. 8. Lasciò alla chiesa clero abbondante e monasteri di uomini e donne praticanti la continenza con i loro superiori; inoltre, biblioteche contenenti libri e prediche sia suoi sia di altri santi, dai quali si può conoscere quanta sia stata, per dono di Dio, la sua grandezza nella chiesa e nei quali i fedeli lo trovano sempre vivo. In tal senso un poeta pagano, disponendo che i suoi gli facessero la tomba in luogo pubblico ed elevato, dettò questa epigrafe: Vuoi sapere, o viandante, che il poeta vive dopo la morte? Ecco, io dico ciò che tu leggi: la tua voce è la mia.

POSSIDIO, Gesta Augustini 31, 1 - 8

 

 

Carlo Innocenzo Carlone

Nato a Scaria d'Intelvi nel 1687, Carlo Innocenzo Carlone o Carloni apparteneva ad una famiglia comasca di artisti da diverse generazioni. Era figlio di Giovanni Battista Carloni, stuccatore, e di Taddea Maddalena Allio. Suo fratello Diego Francesco fu un valente stuccatore e architetto.

Giovanissimo seguì il padre in Germania per apprendere la lingua tedesca e per essere avviato all'arte dello stucco; ma dimostrando una decisa tendenza alla pittura, il padre lo affidò al pittore conterraneo Giulio Quaglio, che lo portò con sé a Venezia e a Udine.

Dopo il 1706 si recò a Roma per perfezionare la propria educazione pittorica avendo come maestro Francesco Trevisani. Trasferitosi in Austria, esegue molteplici lavori sia per chiese che per palazzi signorili. Durante il periodo invernale spesso torna in Italia.

Nel 1717 si sposò con Giulia Caterina Corbellini da cui ebbe quattro figli maschi e nove figlie. Morì a Scaria d'Intelvi nel 1775.

Carlone si distinse per un genere di pittura briosa e vivace, che richiedeva più fantasia ed estro prospettico che accuratezza nel disegno.