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La Sacra Famiglia con Sant'Agostino
GAETANO GANDOLFI
1761
Collezione privata
La Sacra Famiglia con Sant'Agostino
Gaetano Gandolfi (1734-1802) è l'autore di questa raffigurazione della Sacra Famiglia con la presenza di Sant'Agostino. Dipinto a olio su tela il quadro presenta le dimensioni in altezza di 230 cm e in larghezza di 152 cm.
La Vergine con il Bambino troneggiano nella fascia superiore volgendo lo sguardo verso san Giuseppe e, più in basso, sant'Agostino. Al centro della fascia inferiore, davanti al bastone pastorale deposto per terra, un angioletto con la mano destra indica Agostino e ricorda una famosa leggenda secondo la quale Agostino avrebbe incontrato un bambino su una spiaggia mentre pensava al mistero della Trinità.
Agostino è seduto avvolto da magnifiche vesti con in testa la mitra assai elegante. Con la mano destra regge un grande libro aperto, mentre con la destra sembra minare un colloquio con la sacra Famiglia. Il suo sguardo è rivolto verso l'alto in direzione della Vergine e del Bambino. Una folta barba nera segna il suo viso dall'aspetto maturo ma ancora giovanile.
Come è verificabile dal suo ottimo stato di conservazione, la freschezza della pittura è tanto preziosa quanto rara. Questa composizione apparteneva ad una collezione privata bolognese e fu pubblicata per la prima volta da Donatella Biagi Maino (Gaetano Gandolfi, Torino 1995, pp. 31-32, 345-346). È probabile che l'opera appartenesse originariamente alla famiglia Salaroli, dato che, come risulta da una fotografia del 1930-1935, conservata negli archivi della famiglia Comelli, si trovava nella Villa Monsignori di San Giovanni a Calamosco. La provenienza di questo dipinto è interessante di buona importanza, poiché le vicissitudini di Villa Monsignori si intrecciano con alcuni degli episodi più significativi della storia della pittura bolognese. Pompeo Monsignori, che ne fu il suo primo proprietario, era legato da vincoli di amicizia ai cugini Carracci, che più volte furono suoi ospiti. Ludovico Carracci e i suoi collaboratori Lionello Spada e Francesco Brizio eseguirono affreschi su sua commissione. Nel Seicento la Villa passò in proprietà a Carlo Beccadelli e poi alla famiglia Salaroli che la tenne fino alla metà del Settecento. Venduta ai Nicoli, che la tennero fino al 1852, fu infine acquisita da Raffaele Bisteghi, che la lasciò in eredità a Giambattista Comelli nel 1902.
Negli anni '60 questo dipinto probabilmente non era più a Calamosco, dato che non fu rilevata nel corso del censimento dei dipinti conservati nelle ville bolognesi. L'opera fu commissionata dalla nobile famiglia Salaroli nel 1761 quando decisero di commissionare una nuova pala per la cappella della villa a Gaetano Gandolfi, un giovane promettente artista. Gandolfi era emerso artisticamente già da un decennio ed era protetto dal raffinato collezionista e bibliofilo Antonio Buratti, figura di rilievo negli ambienti culturali bolognesi. Buratti sostenne l'anno di studio a Venezia del giovane talentuoso Gaetano, permettendogli di studiare l'arte di Tiziano, Veronese e Tintoretto. Gandolfi rimase affascinato dalle innovazioni di Giovanni Battista Tiepolo, che aveva conosciuto negli anni formativi bolognesi all'Accademia Clementina dell'Istituto delle Scienze. Questo intenso percorso di studi fornirà a Gaetano Gandolfi spunti intellettuali notevoli nel corso della sua brillante carriera. Gandolfi ha inciso sulla pedana, su cui pianta il piede Agostino, la data 1761. Rispetto alle sue realizzazioni di soli due anni prima, la Pala di Piumazzo e la XIV Via Crucis, il dipinto della Sacra Famiglia evidenzia una cosciente autorevolezza per la sua novità compositiva e per la sua eccellente tavolozza. L'opera amalgama le influenze veneziane con la ricca gamma cromatica delle opere bolognesi seicentesche, che ha conosciuto nel corso dei suoi anni di studio. Le vesti rosa e celesti della sua giovane Maria ne fanno una tenera immagine di squisita grazia; parimenti il gesto gentile di benedizione del Bambino è pieno di raffinatezza.
La superba resa delle vesti che indossa Agostino, il drappo del piviale che riverbera di luce, il fermaglio raffigurato come una pietra preziosa brillantemente decorata e l'ascesa ritmica a gradini della composizione sono tutte nuove invenzioni. Elementi di questo tipo erano sconosciuti a Bologna durante gli anni di Giovan Pietro Zanotti all'Accademia, che aveva imposto un ritorno al classicismo. Gaetano Gandolfi fu eletto all'Accademia solo nel 1765 dopo essersi affermato non solo in Italia, ma anche in Inghilterra e Russia, dimostrandosi in anticipo sui tempi rispetto sia rispetto ai suoi connazionali che a molti suoi contemporanei.
Gaetano Gandolfi
Gaetano Gandolfi nacque a San Matteo della Decima nel 1734 in una una famiglia di artisti. Il fratello Ubaldo, il figlio Mauro e il nipote Democrito furono anch'essi valenti pittori. Adolescente raggiunge a Bologna il fratello Ubaldo, per dedicarsi anch'egli agli studi artistici all'Accademia di Belle Arti di Bologna, dove ebbe per maestri Felice Torelli e Ercole Lelli, scultore ed anatomista. Le prime opere pittoriche di Gaetano datano alla fine degli anni '50 del Settecento. Nel 1760 trascorse un anno a Venezia, dove studiò lo stile di Tiepolo e di altri pittori veneti. Tornato a Bologna si impose sulla scena bolognese, realizzando affreschi e tele in varie chiese e conventi della città felsinea. A partire dagli anni '70 si osserva una maturazione nella sua pittura che propone un ulteriore ampliamento culturale, in cui la componente classica si fa più forte. Nel 1775 eseguì la grande tela Nozze di Cana (530x679 cm) per il convento dei Canonici regolari di San Salvatore a Bologna, considerato uno dei suoi capolavori. La sua produzione si divide tra una religiosità equilibrata, ben evidente nelle pale d'altare, ma pure nei dipinti privati, e la più fresca e scherzosa pittura profana dove i soggetti mitologici si alternano a temi desunti dai grandi scrittori classici. Nel 1788 Gaetano si reca per alcuni mesi a Londra su invito dell'amico Dalton, dove incontrerà una realtà del tutto nuova dal punto di vista socio culturale e artistico, di cui permarrrà una traccia negli ultimi ritratti e dipinti a soggetto profano. Nel chiostro Terzo del cimitero monumentale della Certosa di Bologna, si trova il monumento funerario a Gaetano, Mauro e Democrito Gandolfi, attribuito allo scultore Giovanni Putti.
Morì a Bologna nel 1802.