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Conventi AgostinianI Femminili: Schio

Visto del monastero di Schio

Chiesa e monastero di Schio

 

 

LA SOPPRESSIONE NEL 1867

di mons. Luciano Dalle Molle

 

 

 

Rovistando tra le vecchie carte del nostro monastero agostiniano mi è capitato tra mano un documento singolare che risale al 1867. Si tratta del bando con cui la «Regia Intendenza delle Finanze in Vicenza» metteva all'asta il «brolo» e gli altri beni immobili del monastero. Non era la prima volta che ciò succedeva.

Già nel 1810 un decreto napoleonico sopprimeva tutti gli ordini religiosi nella ex-repubblica veneta. Anche le nostre Agostiniane dovettero allora abbandonare il loro convento. Invano l'arciprete del tempo mons. Manfrin Provedi aveva tentato di convincere le autorità sull'utilità pubblica del monastero affinché non venisse incluso nel provvedimento di soppressione.

«Questo monastero, così egli scriveva, è molto utile agli abitanti perché vi mettono in educazione le loro figliole e perché profittano della Chiesa che è molto ben uffiziata e vi profittano specialmente nell'inverno, non potendo in questa stagione in cui cadono spesso le nevi, soffiano di frequente i venti, durano a lungo i ghiacci prevalersi della loro parrocchia che sta sopra un picciol colle e la cui ascesa è pesante fino alla gioventù». Ovviamente a nulla servì tale supplica ! La badessa Mr. Francesca Polissena Mioli e le 36 monache, comprese le 20 provenienti da Marostica, furono estromesse dal loro convento.

Lo stabile fu messo all'asta e acquistato da privati. La chiesa restò di proprietà del demanio e un anno dopo, per interessamento del senatore del Regno Sebastiano Bologna, che ne dimostrò l'utilità per la popolazione, il direttore del demanio la cedette in proprietà alla fabbriceria della parrocchia. Ma di ciò e del seguito della storia abbiamo scritto nel Bollettino di febbraio del 1999.

 

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La nuova soppressione, di cui intendiamo parlare, risale all'anno 1867. Il 30 luglio del 1866, prima ancora che il Veneto venisse incorporato all'Italia in nodo definitivo, un decreto reale estendeva alla nostra terra, insieme con lo Statuto, l'ordine di soppressione delle Corporazioni Religiose. In applicazione a tale decreto il 28 marzo 1867, il Delegato Demaniale prendeva possesso del monastero agostiniano. Il 16 settembre dello stesso anno venivano messi all'asta i beni mobili del convento. Nelle cronache del monastero è conservata la trascrizione del bando e dei beni che venivano messi all'incanto.

Diceva così: «La Real Intendenza provinciale di finanza in Vicenza Rende noto che verranno posti in vendita per asta pubblica i sotto indicati beni di provenienza del soppresso Monastero delle Agostiniane di Schio in riserva di portare a pubblica conoscenza, mediante ulteriore avviso, il giorno in cui avrà luogo il primo esperimento ed i successivi».

Un corridoio del monastero di Schio

Corridoio del monastero

Segue l'elenco dei beni mobili posti all'asta. Citiamo a titolo di esempio: «n. 36 mantilli (tovaglie) lino operati, n. 16 canape lino, n. 104 salviette 6 tavole noce e due laterali pure di noce 4 credenze o cantonali e 26 casse pino 2 maestà di noce da portiera 1 pianoforte in estremo disordine 10 sedie noce e altre 25 in sorte in estremo disordine Secchio rame attaccato al pozzo ed altro per riporvi il zolfo Altri diversi oggetti e pezzi di legno il tutto in disordine Pignatta in rame ed un'altra vecchia Cogoma e gratugia Una farsora grande e due piccole, graticola e 4 menestri tutto ferro.

Venivano messe all'asta anche le scorte alimentari delle monache: n. 24 sacchi frumento, 8 sacchi frumentone, 1 sacco e tre staia riso, 100 libbre caffè, 200 libbre zucchero, 50 fascine, legna grossa ecc.. ecc..» In quella occasione si verificò un fatto veramente increscioso. Un documento dell'epoca dice: «Quando l'entrata al monastero fu libera, il cortile si trasformò in una piazza da mercato; i monelli si facevano lecito d'arrampicarsi sulle finestre del piano inferiore e chiamare e schiamazzare e farne il peggio». Non sappiamo quale sia stato l'esito della licitazione. Però fa pensare a quali conseguenze si potesse giungere nel secolo scorso in seguito alla soppressione degli Ordini religiosi.

 

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Il 26 ottobre dello stesso anno 1867 fu pubblicata l'asta del «brolo» e delle altre proprietà immobiliari delle monache. Ed è questo il documento di cui parlavo all'inizio. Vi si legge tra l'altro: «L'incanto sarà tenuto nel giorno 26 ottobre e successivi alle ore 11 antimeridiane in Schio dal R. Commissario Commisuratore Sig. Pio Batt. De Marchi... L'asta sarà tenuta mediante gara e la delibera verrà fatta all'estinzione della candela a favore di quello che sarà risultato maggior offerente...” Segue l'elenco dei beni messi all'incanto: Un brolo irriguo ed orto di pertiche censuarie 14.02.ai numeri di mappa 204. 205 con la rendita di £ 111.31. Prezzo su cui viene aperta l'asta £ 4.000. Una casa che si estende anche sopra il n. 298 con la rendita di £ 14,04 ... Prezzo £ 849,44 Un magazzino in mappa al n. 50.54 con la rendita di £ 9,36. Prezzo £ 529,49.

Conosciamo l'esito dell'asta. Il sen. Alessandro Rossi acquistò il brolo per mezzo di un suo dipendente e le monache continuarono a goderne i frutti. Il monastero restò di proprietà del Demanio, ma le monache poterono continuare ad abitarvi perché la legge di soppressione permetteva ai religiosi di convivere nella loro casa o in parte di essa a piacimento dell'Autorità fino a che fossero sopravvissuti in numero di almeno 6.

Però non potevano accettarne di nuovi senza il consenso dell'Autorità. Su questo argomento ho trovato diverse circolari dell'Intendenza di Finanza, della Direzione del fondo per il culto ecc.., a mio avviso interessanti di cui, se avremo l'opportunità, parleremo in altra occasione. Basti dire per ora che nell'ottobre del 1886 un decreto governativo ordinava l'espulsione dai monasteri di proprietà demaniale di tutte le Religiose non riconosciute dalla Legge, cioè quelle che non erano in convento nel 1867. In favore delle Agostiniane intervenne allora il sen. Antonio Toaldi che riuscì a salvare la nostra comunità, dimostrando che la scuola che le monache gestivano era necessaria al bene della città.

 

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Fu il senatore Alessandro Rossi che volle liberare il monastero dal pericolo di nuove soppressioni. Il 14 giugno 1890 l'amministrazione del fondo per il culto cedeva il monastero agostiniano al Municipio di Schio, che ne aveva fatto domanda. Era Sindaco lo stesso senatore Rossi. La motivazione addotta era di adibire lo stabile ad Asilo Infantile. Sei mesi dopo il Municipio lo vendeva per ventimila lire a Francesco Rossi, figlio di Alessandro e questi, due mesi dopo, il 17 gennaio 1891, lo cedeva alle monache per dodicimila lire, poi condonate. Per di più Alessandro Rossi, tra il 1890 e il 1892 fece eseguire, a sue spese, un radicale restauro di tutto il monastero. Suo figlio Francesco, nel 1904, vendeva alle monache anche il «brolo» che era stato acquistato dai Rossi nel 1867 e ne condonava tutto il debito. La definitiva sistemazione del nostro monastero agostiniano nel 1904 coincideva così con la fine della lotta religiosa in Italia.

 

 

DALLE «CRONACHE» DEL MONASTERO AGOSTINIANO

 

Della chiesa di Sant'Antonio abate e del monastero agostiniano ho avuto modo di parlare varie volte nel nostro «Bollettino» parrocchiale. In particolare circa le vicende liete e tristi del monastero ho scritto nel «Bollettino» di febbraio del 1999. Un periodo particolarmente triste per la vita delle monache fu quello che andò dalla fine del '700 alla metà dell'800. La bufera napoleonica si abbatté anche sul nostro convento che nel 1810 fu soppresso, messo all'asta e acquistato dalle famiglie Gardellin e Maraschin. Solo nel 1826 le tre sorelle sr. Maria Giuseppina, sr. Maria Angela e sr. Maria Ludovica Pasini, figlie di Ludovico e sorelle di Eleonoro Pasini, riuscirono a mettere insieme la somma necessaria per recuperare almeno una parte del monastero, quella che era stata acquistata dalla famiglia Gardellin. L'altra parte rimase di proprietà dei Maraschin. Mi sembra interessante ripercorrere queste vicende seguendo le cronache manoscritte che il monastero conserva e che ho potuto vedere per gentile concessione della Madre badessa.

 

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Immagine del chiostro del monastero di Schio

Chiostro del monastero

Scrive dunque la cronista: «Dopo la soppressione napoleonica le tre sorelle Pasini si radunarono in una casetta, non si sa se di proprietà delle Pasini, e si diedero ad una vita tanto grama con lo scopo di risparmiare denaro onde poter fare l'acquisto del loro monastero. Con la povertà volontaria sostennero anche i dileggi di coloro che le dicevano povere vecchie imbecilli e vane sognatrici… Parte del monastero era stato ceduto ai Maraschin, i quali venivano trasformandolo in una elegante palazzina: il rimanente del fabbricato, quello più lontano dalla Chiesa, era divenuto proprietà dei Signori Gardellin: e fu appunto da costoro che le nostre povere Religiose ne poterono fare l'acquisto.

A ciò si prestarono tre pie persone di Schio: il M. Rev.do don Giuseppe Rossetti, il Sig. Gaetano Garbin e il Sig. Gaetano Scarpieri che nel 1826 comperarono lo stabile per conto delle Religiose, le quali s'impegnarono di pagarne l'importo nel corso di sei anni, come infatti fecero. E fu così che dopo 16 anni rimisero il piede fra quelle mura benedette che sole rimanevano a testimoniare l'antica pietà, poiché il resto era stato trasformato in abitazione secolare. Tutto era da restaurare per ridurlo allo stato primitivo e ci volle del coraggio!, ma il più era fatto». La cronista si diffonde poi a parlare delle fatiche e dell'impegno delle Monache per rendere abitabile il monastero.

Poi continua: «Ci voleva però la Chiesa, perché quella primitiva restava tagliata fuori dal Palazzo Maraschin. Molte erano le difficoltà sulla riuscita dell'impresa, perciò pochi porgevano mano. Tra questi una vecchia cronaca del Convento ricorda con profonda riconoscenza il M. Rev.do Arciprete don Luigi Piccoli che tanto si interessò e colle parole e coi fatti». La chiesa iniziata il 21 settembre 1834 con la posa della prima pietra, fu solennemente benedetta il 4 agosto 1839 e aperta al culto pubblico. A coprire le spese concorsero anche i Maraschin proprietari del palazzo sorto su una parte del monastero.

Un suo rappresentante il canonico Andrea Maraschin, mosso dal rimorso perché la sua famiglia aveva occupato una parte del monastero, indirizzava all'Arciprete di Schio questa lettera datata 4 settembre 1826: «Sentito il progetto del ripristino delle Monache in porzione del fu Convento di S. Antonio di questa città, io mosso dal desiderio di cooperare per quanto sta in me al maggior lustro della Religione e della Patria, sendo che le suddette Monache si assumono anche a carico la educazione delle fanciulle e mosso poi anche specialmente di porre in calma la mia coscienza e quella dei miei eredi e successori sul possesso della porzione del Convento acquistata dalla mia Famiglia, mi obbligo con questa mia lettera, che intendo e voglio abbia per me e per i miei eredi ogni più valida forma di obbligazione ad esborsare per la fabbrica della nuova Chiesa in servizio delle Monache entro quattro anni mille ducati veneti solo per altro che eseguita sia la seguente condizione: che venga ottenuta dalla S. Sede per me e per i miei eredi e successori una piena e perpetua benedizione sull'acquisto e sul possesso della porzione del Convento che attualmente possiede la mia Famiglia: sicché né io né i miei eredi e successori possan venire mai più in verun modo su ciò molestati o turbati ...»

 

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Sappiamo che la nuova chiesa delle Monache dopo solo 40 anni fu abbattuta per lasciar il posto all'attuale voluta dal sen. A. Rossi per il Quartiere nuovo. Non è che le Monache abbiano accolto con molto entusiasmo la decisione del Senatore. Scrive la cronista: «Venne abbattuta la nostra Chiesa, che contava appena quarant'anni di vita e con essa il bello e comodo Coro, che ne aveva diciannove, frutti l'una e l'altro di ansie, di sacrifici non indifferenti da parte di quelle poche e coraggiose Madri che avevano posto mano al ripristino. Il nuovo Tempio seppellì nell'ombra e nell'umido di tramontana il Monastero, tolse alcune delle celle migliori per posizione e in più sostituì due malagevoli Cori a quello preesistente».

 

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Immagine della sala capitolare del chiostro del monastero di Schio

Sala capitolare

Poco prima la cronista aveva parlato del colera dell'anno 1855 che aveva mietuto vittime anche nel monastero, tra cui la Abbadessa Mr. Maria Chiara Navarotto morta «in odore di santità». E aggiunge: «Altra singolarissima ospite di quegli anni fu una piccola negra, Giuseppina di Maria Morette, schiava africana proveniente da Marsiglia. Aveva sei anni e morì a sedici il 4 luglio 1874 di lenta infiammazione di cuore e di testa». Era dunque di poco più anziana di santa Bakhita, si chiamava Giuseppina come la nostra Santa, era di pelle nera ed era stata schiava come lei.

Il nome originale di questa giovane monaca di colore era Baath ed era giunta a Schio a sei anni e mezzo, assieme a un'altra moretta, Kera, di cinque (che morì quasi subito), riscattate dai mercanti di schiavi musulmani da don Nicolò Olivieri. Battezzata nel nostro duomo l'8 marzo 1857 con i nomi di Maria Laura Giuseppina, questa prima immigrata di colore a Schio, studiò presso la Pia Scuola Femminile cittadina fino al 1863, quando le suore Dorotee che la reggevano furono sostituite dalle Canossiane. Entrata fra le Agostiniane nel 1864, le privazioni patite in schiavitù ne affrettarono la scomparsa nell'epidemia di dieci anni dopo. A questa nostra prima concittadina di colore Edoardo Ghiotto, collaboratore del «Bollettino» ha dedicato un'esauriente Scheda archivistica nel numero di aprile 1992.